Dai diamanti non nasce niente…dal fango nascono i fior. Parafrasando De André si può dire che nel fango di North Kinangop sia nato un fiore di nome Gianna Sandro.
L’hanno trovata proprio nel fango, un fagottino di cinque giorni, era a bordo strada, ma la sua voglia di vivere è stata più forte dello stesso fango, della pioggia che cade a ogni ora a North Kinangop, più forte persino delle formiche che le hanno morsicato il visino.
Era fradicia, infreddolita, impaurita, sicuramente, ma la sua voglia di vivere era più forte di tutto e di tutti. Consegnata nelle mani delle suore dell’ospedale, è stata ribattezzata Gianna Sandro, in onore di don Sandro Borsa, il direttore dell’ospedale che ha accolto questa piccola nel reparto di neonatologia e che le offrirà le migliori cure possibili.
Al resto hanno pensato i volontari, medici e non, presenti in ospedale. “Solo l’amore crea”, disse Massiliano Kolpe prima di essere finito dai nazisti, e così con l’amore dei volontari che si sono improvvisati mamme e papà Gianna Sandro è venuta al mondo una seconda volta.
Le coccole, gli abbracci, le carezze hanno restituito una neonata serena, persino più in forma dei “colleghi” del reparto di neonatologia dell’ospedale.
Il fiore nato nel fango ora è in attesa di un cognome e si spera di una mamma che non la abbandoni a bordo strada esposta al freddo e alle intemperie.
Se una cosa ho imparato è a non giudicare, molte famiglie, in Kenya, vivono nella miseria più totale, le donne hanno in media cinque figli e spesso sono costrette a crescerli da soli, una realtà che non possiamo nemmeno immaginare.
In ogni caso la madre biologica di Gianna Sandro avrebbe potuto lasciare la piccola in modo che venisse subito trovata e non mettere a rischio la sua vita nelle lunghissime ore in cui è rimasta sola.
Sia chiara, quella di Gianna Sandro è una condizione disperata e non è la norma, anzi, i bambini sono amati, sono curati, quella di North Kinangop e del Kenya delle montagne è una povertà diffusa, ma molto dignitosa che mi sento di paragonare a quella che si viveva nelle Langhe e nel Roero nell’immediato dopoguerra.
Dignità, sì è questa la parola che rappresenta le famiglie di questa zona, una parola che viene meno nelle baraccopoli di Nairobi, dove sono stato lunedì e martedì, dove si vive o si muore per pochi dollari e dove il sogno di un riscatto spesso si infrange contro una realtà dura da accettare: quella che impone che per un ricco, nel mondo, ci siano almeno 10 poveri, in Kenya la forbice aumenta a dismisura tra super ricchi e super poveri
Un mondo ingiusto che spero i piccoli, come Gianna Sandro, potranno cambiare nel corso del tempo.
Con questi pensieri di affetto per la piccola neonata di North Kinangop, mi approccio all’ultimo giorno che trascorrerò interamente in Kenya. Domani inizierà il viaggio che martedì mattina mi riporterà a Malpensa e quindi alla vita di tutti i giorni.
È tempo di bilanci, dopo oltre due settimane vissute in missione in Kenya, per la quarta volta. Due settimane fa nel Farinél mi approcciavo a questa esperienza con tanta voglia e altrettanta speranza e ovviamente non sono stato deluso.
Le emozioni vissute sono state fortissime e come scrissi due settimane fa, questa è stata la volta della consapevolezza.
Potrei raccontare mille esperienze vissute in questo luogo in cui vita e morte si intrecciano, mentre non si intrecciano mai la povertà più assoluta delle campagne e delle baraccopoli di Nairobi con i quartieri circondati da filo spinato dei ricchi o con i resort delle splendide spiagge bianche di Malindi o Watamu.
Quello che si vive in Kenya è una vita diversa, che viaggia a un ritmo differente dal nostro, dominata dalla natura e dai rapporti umani. I cellulari sono pochi e vengono usati solo per lavoro, gli smartphone sono ancora meno.
I bambini giocano per strada costruendo giochi con il fango, con le pietre, persino con i rifiuti, vivono in comunità e non sono contaminati dalla tecnologia.
Sono bambini che, come i coetanei italiani, vogliono giocare, vogliono essere spensierati, senza filtri che ne distruggano la fantasia e l’empatia.
Sono estremamente puri ed empatici e l’ho raccontato nel mio diario quotidiano su Instagram. Ogni volta che mi vedono con il braccio scoperto e la cicatrice li vedo seriamente colpiti e rattristati. Reagiscono dicendo “Sorry”, realmente dispiaciuti.
Stacy, la bambina più piccola, 4 anni, si è messa a piangere a dirotto la prima volta che ha visto la ferita, come se sentisse lei stessa addosso il dolore che stavo provando.
Una bambina che vive in uno dei posti più poveri del mondo, all'apparenza molto più sfortunata di me è entrata talmente in empatia con il mio dolore da sentirlo addosso e da mettersi a piangere.
Su questo bisogna lavorare.
I bambini sono puri in Kenya come in Perù, come in Italia, è il contesto che li rende diversi, dove per contesto intendo la famiglia e la scuola, prima di tutto.
Invece di lasciare i figli con un cellulare in mano a distruggere la propria fantasia, se mai avrò dei figli cercherò di educarli alla comprensione del prossimo, alla bellezza, all’empatia. Sicuramente è molto più facile e comodo, nelle nostre vite frenetiche, rifilare a una bambina o a un bambino uno smartphone o un tablet, è più facile e comodo regalare loro ogni cosa che chiedono.
Molto più complesso educare all’amore ricordando un’altra frase di Torquato Tasso "Perduto è tutto il tempo che in amar non si spende". E spero che di amore la piccola Gianna Sandro, ma anche Stacy, Sara e tutti gli altri bambini di North Kinangop possano trovarne tanto.


















