Non è solo il vino al centro della riflessione di Massimo Camia, chef stellato oggi a Novello e presidente dei ristoratori albesi. Dai suoi viaggi in Brasile, Ungheria, Repubblica Ceca e Tokyo, emerge un quadro ben più complesso. “Il momento è delicato, ma non drammatico. In Langa tendiamo a vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto, eppure siamo in una terra benedetta”. Il problema non è tanto un calo improvviso nei consumi, quanto il malessere globale, la mancanza di personale e la pressione mediatica negativa. Con lucidità e passione, Camia prova a mettere ordine nei fattori che oggi influenzano il mondo della ristorazione.
A distanza di sei mesi dal nuovo Codice della strada, avete visto davvero un calo nei consumi di vino?
“Personalmente non ho visto una discesa così forte. Qualcosa ha influito, certo. Ma non è la legge in sé, quanto il clima generale. La gente fa più attenzione: se deve cambiare la macchina, aspetta; se deve bere una bottiglia da 100 euro, magari ne prende una da 50. È un momento di attenzione globale alla spesa, ma non possiamo dire che la gente non beva più”.
È quindi una questione più ampia, che va oltre l’Italia?
“Sì, io ho girato tanto. A Tokyo, a San Paolo, in Repubblica Ceca, in Ungheria. Ovunque ho percepito una situazione di difficoltà. L’unico posto dove ho visto un po’ più di vivacità è Praga. Ma il resto del mondo è in una fase di malessere, e questo si riflette anche nei ristoranti. Non è che improvvisamente i soldi sono finiti. Semplicemente, c’è più attenzione, più prudenza. E il vino non è il primo bersaglio: magari si ordina un piatto in meno, o si beve al calice invece che alla bottiglia, ma l’esperienza rimane”.
Oltre ai consumi, però, c’è un’altra grande difficoltà: trovare personale.
“È il vero problema. A Tokyo, che è sempre stata la patria del lavoro, non si trovano camerieri. Figuriamoci qui, e dire che loro venivano a imparare da noi. Dopo il Covid c’è stata un’inversione totale: alcuni mestieri stanno scomparendo. Il pasticciere è diventato una razza in estinzione. Io ho avuto la fortuna di trovare una ragazza giovane, motivata, ma è un’eccezione. Camerieri? Praticamente zero. I ragazzi che hanno lavorato da me ora hanno tutti micro-ristoranti da 12-16 coperti, fanno tutto da soli, niente turni di notte, niente domeniche. È un cambiamento enorme”.
Che cosa si dovrebbe fare in questo scenario?
“Lo Stato dovrebbe aiutarci a gestire la stagionalità. Noi siamo in una zona turistica, sì, ma dall'Immacolata a Pasqua si lavora pochissimo. Eppure i costi rimangono sempre gli stessi. Il vero dramma è questo: la flessibilità del lavoro senza flessibilità dei costi. Io dovrei poter ridurre il personale nei mesi morti e riprenderlo in alta stagione, ma non è possibile. Lo Stato dovrebbe detassare, offrire agevolazioni, almeno in quei mesi. Ma non lo fa, perché ci vedono come una terra ricca, dove tutti stanno bene. In realtà non è così semplice”.
Qual è la ricetta?
“Bisogna riorganizzarsi, magari pensare a doppi turni. Ma se ho dieci dipendenti, come faccio a raddoppiare senza risorse? Non è sostenibile. Dobbiamo restare lucidi, capire che non siamo gli unici. In Germania ci sono problemi più gravi dei nostri. Ma noi, da bravi piemontesi, tendiamo a drammatizzare. Invece siamo fortunati: viviamo in una terra 'baciata dal Dio dei santi', come dico sempre. Dobbiamo smetterla di lamentarci e trovare le soluzioni. Perché qui, bene o male, si mangia ancora. Sempre. E le nostre zone sono tra le più frequentate”.






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