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Copertina | 13 ottobre 2024, 00:00

artificialMENTE. Alla VII Convention di Confcommercio della Provincia di Cuneo, il confine incerto tra reale e digitale nelle innovazioni tecnologiche

Il presidente provinciale Luca Chiapella: “Il nostro destino dipende dall’utilizzo che decideremo di fare delle innovazioni che l’Intelligenza Artificiale porta in dote, nella consapevolezza che ogni cambiamento rappresenta una grande opportunità da cogliere per diventare migliori”

Mercoledì 30 novembre 2022: una data spartiacque per la nostra società. Quel giorno OpenAI ha lanciato ChatGpt, l'Intelligenza Artificiale generativa capace di esprimersi come un essere umano. Una rivoluzione equiparabile alla scoperta del fuoco e della ruota.
E proprio il confine incerto tra reale e digitale nelle innovazioni tecnologiche è stato il tema su cui si è incentrata la VII edizione della Convention di Sistema organizzata da Confcommercio – Imprese per l’Italia della provincia di Cuneo, dal titolo “A.I. e digital presence / artificialMENTE”. Un evento di grande successo che si è svolto venerdì 11 ottobre nella sala Sant’Agostino di Palazzo Righini a Fossano, fortemente voluto dalla Confcommercio provinciale e dal proprio presidente Luca Chiapella.

Protagonisti della tavola rotonda sono stati due massimi esperti in materia: Massimo Giordani, Innovation manager e Presidente Associazione Italiana Sviluppo Marketing, e Davide Borra, Innovator manager, fondatore e direttore della No Real Interactive.
La Convention è stata organizzata con il patrocinio della Città di Fossano, con il contributo della Camera di Commercio di Cuneo, della Fondazione CRC e della Fondazione Cassa di Risparmio di Fossano e con il sostegno di Intesa Sanpaolo.

Presidente Luca Chiapella, questa è la settima edizione della Convention di Sistema, un tour iniziato ad Alba nel 2018. Perchè avete deciso di confrontarvi proprio sul tema dell'Intelligenza Artificiale?

Dal mio insediamento nel 2017 a livello provinciale abbiamo deciso di avviare un percorso itinerante all'interno della Granda, organizzando una Convention annual nelle varie territoriali. Abbiamo già toccato le sette città sorelle del Cuneese e rimangono ancora Ceva e Carrù. L'obiettivo è coinvolgere tutti i territori, trattando tematiche di attualità che riguardano i nostri settori di rappresentanza, ma anche la società. Dopo il confronto sulla rigenerazione urbana nel 2023, per questa edizione non abbiamo avuto dubbi nel concentrare la nostra attenzione sull’Intelligenza Artificiale, vero e proprio tema dell’anno non solo per chi come noi si occupa di impresa, di commercio, di turismo, di servizi e di professioni e più in generale di terziario di mercato, ma per la società intera.

Quali sono le ricadute concrete dell'Intelligenza Artificiale nei vostri settori di rappresentanza?

La sfida più affascinante che stiamo vivendo è quella di scoprire giorno dopo giorno le nuove funzioni che le innovazioni digitali ci consentono di sviluppare, capacità che molto spesso neppure pensavamo di avere e che possono portarci a raggiungere risultati fino a ieri impensabili.

C'è un risvolto pratico nell'ambito delle imprese: l’Intelligenza Artificiale è già entrata nella quotidianità degli uffici della Confcommercio provinciale e delle sue territoriali, che utilizzano abitualmente i benefici derivanti dalle innovazioni tecnologiche per migliorare e rendere ancora più efficienti i servizi che prestano agli associati, dalle analisi di mercato ai modelli previsionali.

Citando il “rapporto Draghi”, per affrontare al meglio le sfide e le opportunità per l’Europa, nel campo dell’AI è necessario accelerare l’innovazione tecnologica, rafforzare la sovranità sui dati e sui servizi cloud, e aumentare la capacità di calcolo. Uno studio che dimostra come l'intelligenza artificiale abbia aumentato la produttività lavorativa e che, a beneficiarne, sia in particolare il personale meno esperto e meno qualificato. Per essere competitivi però serve fornire competenze e una formazione adeguata ai lavoratori. C'è tutto un aspetto di welfare che vede responsabili imprese e imprenditori nel mettere a disposizione la formazione, anche a garanzia del tempo libero per i propri dipendenti. Aggiungo poi che occorre smitizzare l'ansia di perdite di posti di lavoro: l’AI contribuirà ad aumentare competenze e nuove professioni che oggi non esistono e che renderanno sicuramente migliore il mondo del lavoro.

Tante opportunità, insomma. E i rischi?

L’AI ci ha portato a smettere alcune funzioni abitudinarie del cervello umano, che sono state rese superflue dall’utilizzo delle nuove tecnologie. L'esempio più emblematico è rappresentato dai tassisti newyorkesi: secondo uno studio l’utilizzo del navigatore satellitare ha fermato lo sviluppo di quella parte del loro cervello che li portava ad eccellere nel senso dell’orientamento spaziale rispetto alle persone comuni. Lo stesso vale per l'uso della calcolatrice in classe che ha ridotto la capacità di calcolo mentale per gli studenti. C'è chi interpreta l'Intelligenza Artificiale come uno spauracchio, che genera una narrazione fatta di fake news. Ma ricordiamo che al centro c'è sempre la persona. È l'uomo che comanda le macchine. La narrazione apocalittica alla Orson Welles non mi piace. Se da una parte la certezza che le macchine, per quanto evolute ed evolvibili, non abbiano né coscienza né consapevolezza ci tranquillizza riguardo al timore che possano un giorno prendere il controllo sulle nostre vite, dall’altra prendiamo atto che il nostro destino dipende dall’utilizzo che decideremo di fare delle innovazioni che l’AI porta in dote, nella consapevolezza che ogni cambiamento rappresenta una grande opportunità da cogliere per diventare migliori.

Insomma, la sua è una visione positiva dell'Intelligenza Artificiale…

Proprio così: dal 2017, anno del mio insediamento a livello provinciale, ho spinto sulla digitalizzazione e sulla innovazione tecnologica. Abbiamo colto le sfide dell'omnicanalità nei negozi fisici, e-commerce, whatsapp business e un uso corretto dei social. Una organizzazione come la nostra deve favorire e non ostacolare un upgrade dell’AI, ovviamente con le giuste premesse di regole e governabilità. È un processo è ineludibile, un percorso da cui non si può tornare indietro. Tuttavia, il fenomeno deve essere governato: al centro di tutto il processo si deve essere l'uomo, ma anche delle regole. L'AI Act, la prima legge trasversale al mondo sull’intelligenza artificiale approvata dal Parlamento Europeo, va in questa direzione. Tuttavia, per meglio addentrarsi nei meandri dell’Intelligenza Artificiale, abbiamo affidato le riflessioni a due esperti: Massimo Giordani e Davide Borra che hanno affrontato rispettivamente le ricadute della digitalizzazione della mente e del corpo.

 

Massimo Giordani, come si diventa esperti di Intelligenza Artificiale?

Io nasco nel mondo Politecnico, come architetto. Ma mi sono sempre occupato di innovazione digitale prima applicata al mondo della progettazione architettonica, poi al marketing e alla comunicazione. Nel 1997 ho aperto la mia prima web agency. Oggi mi occupo di applicare le innovazioni digitali nel mondo delle imprese.

L'intelligenza Arificiale era proprio quel tassello che mancava. Io ho sempre cercato di adottare strumenti innovativi per la comunicazione e il marketing, ma fino all’introduzione di ChatGPT mancava una tecnologia con cui “confrontarsi”, capace di impattare in profondità sul modo in cui ci relazioniamo con le informazioni, facendolo diventare un processo dialogico.

Quali sono le applicazioni pratiche di AI nel mondo di Confcommercio? Come può impattare su questo settore?

Sappiamo come produrre contenuti di comunicazione, ma per renderli efficaci possiamo usare l'Intelligenza Artificiale per strategie di marketing e piani di comunicazione. Con una funzione anche didattica. È come avere un esperto della materia che ci interessa, che non ha problemi a spiegarci le cose: una sorta di didattica personalizzata.

Si risparmia tempo, ma non è questo l'aspetto più interessante. Il punto è fare cose che pensavi non avresti mai potuto fare e aprire orizzonti che non avresti potuto presidiare senza questi strumenti.

L'AI, usata 'cum grano salis', ti apre la mente.

Un processo che però richiede un approccio intellettualmete attivo. È davvero per tutti?

Io faccio sempre l'esempio del film Matrix. Se prendi la pillola blu, ti affidi alla tecnologia senza pensare, ma se prendi la pillola rossa scegli la strada più faticosa dello studio e dell'impegno che ti apre a realtà meravigliose. La scelta non è affatto scontata.

Lo dice il Neuromarketing: il nostro cervello tende a risparmiare energia, a fare le stesse cose allo stesso modo per spendere poca energia cerebrale. Concentrarsi e imparare cose nuove è impegnativo.

La maggior parte delle persone quindi sceglie la pillola blu e delega le decisioni alle macchine, ma il rischio è forte.

Quali sono i rischi?

I rischi sono insiti in ogni nuova tecnologia. In questo caso amplificati dal fatto che l'AI può essere pervasiva. All'AI tenderemo a delegare sempre più funzioni.

Penso a una azienda, una città o un Paese gestito dal punto di vista tecnologico o infrastrutturale dall'Intelligenza Artificiale: si aprono scenari disastrosi, possibili attacchi. Non arriviamo alle macchine ribelli di Terminator. Come sostiene Federico Faggin, inventore del microprocessore, dalle macchine non potrà mai nascere consapevolezza e coscienza, ma una macchina addestrata a fare cose malevole, le fa.

Il punto è usare lo strumento dell'AI in modo non passivo. Qualcuno sostiene che l'Intelligenza Artificiale sia in realtà stupida, perchè alimentata da contenuti umani, passibile di errori, abbagli e allucinazioni.

Qui torniamo alle scuole elementari, al principio di verifica delle fonti e dell'attendibilità.

Nei sistemi conversazionali, l'AI non è un oracolo a cui fare domande. È piuttosto un collega di lavoro che sa tutto di tutto, col quale confrontarsi e approfondire argomenti. Ed ecco che ritorna l'aspetto didattico.

Ma non la si deve prendere per oro colato, serve sempre esperienza e competenza sulla materia trattata. Se dialogo di marketing, io che sono un esperto, mi accorgo dell'allucinazione, ma se parlo di cardiochirurgia può dirmi qualunque cosa, non ho gli strumenti per capire se è vera o falsa. Sui temi che non sono i miei, devo pormi domande, ricercare le fonti e approfondire. Devo faticare e imparare. Insomma un processo virtuoso che mi costringe a imparare cose nuove. Non è facile ma è una grande opportunità che oggi abbiamo.

L'Intelligenza Artificiale per lei deve essere regolamentata? Cosa pensa dell'AI Act?

Io non sono un avvocato e neanche un esperto dal punto di vista normativo, ma faccio una osservazione da cittadino che usa la tecnologia per lavoro: occorre mettere limiti e paletti che però non devono ingessare.

Noi oggi a livello globale abbiamo due grandi attori sull’AI, USA e Cina. L'Europa stessa ha un semplice ruolo da comparsa, eppure si è messa nei panni dell'arbitro. Ricordiamoci però che la partita non la vince mai l'arbitro. La vincono le squadre che giocano. E intanto gli investimenti non vanno in Europa.

Se l'AI Act diventerà un modello che gli altri seguono e da cui traggono ispirazione come avvenuto per il GDPR (General Data Protection Regulation - Regolamento generale sulla protezione dei dati, ndr) ne sarò felice, ma ho qualche dubbio. Dal punto di vista del lavoro e del fare impresa quanto ci porta l'AI Act e invece quanto ci toglie? La viviamo in tempo reale e lo scopriremo a breve.

Un'ultima domanda. Quanta consapevolezza c'è sull'esistenza e l'uso dell'AI. Insomma, saremo un domani più propensi a scegliere la pillola rossa?

Una ricerca EY Italy AI Barometer, presentata a inizio settembre, indaga l'adozione dell'AI e le aspettative nei prossimi 12 mesi su un campione di 4.700 manager di nove Paesi europei, tra cui 528 profili di imprese italiane in diversi settori. Ebbene, questo report posizione l'Italia tra i primi Paesi europei in termini di adozione dell'Intelligenza Artificiale. Alla domanda “In quanto tempo pensa che il suo lavoro sarà influenzato dall'AI?”, il 23,6% (100) risponde che lo è già, il 46% (195) nei prossimi tre anni, il 22,20% (94) tra tre e dieci anni, e l'8,30% (35) oltre dieci anni. Insomma, c'è consapevolezza.

Davide Borra, esperto di virtual presence, smaterializzazione e digitalizzazione del corpo. Alla convention di venerdì ha dato “prove di magia”, intervenendo sul palcoscenico con un videowall alle spalle che ha incantato i presenti. Come è arrivato a tutto questo?

Erano quinte che sembravano andare oltre lo schermo del videowall. E' un'anamorfosi digitale: attraverso una serie di immagini generate dall'AI che ho fatto comparire alle mie spalle, ho dato al pubblico la sensazione di estendere lo spazio della sala, oltrepassare lo schermo, essere in qualche altro luogo. E siamo anche riusciti a "far sparire" letteralmente il videowall che nascondeva l'altare e il coro ligneo di questa meravigliosa chiesetta fossanese, ricostruendoli in 3D e generando il rendering dal punto di vista ideale del pubblico in sala.

E', appunto, un'anamorfosi digitale affatto diversa da quella fisica realizzata, ad esempio, nel XVII sec. dal gesuita Andrea Pozzo nella Chiesa della Missione di Mondovì Piazza. Strumenti diversi, analoghi risultati sicuramente spettacolari.

Come ci sono arrivato? Da ragazzino ero quello che oggi si definisce un nerd, ma ho avuto la fortuna di esserlo quando l'informatica era alle primissime armi, sviluppando codice per creare giochi sul Commodore 64. Questa passione è evoluta fino all'avvento dell'informatica grafica con il CAD, la modellazione 3D, la Realtà Virtuale e Aumentata con le recenti incursioni nei Digital Humans. Mi sono laureato in Architettura a Torino ritrovandomi a far parte del primo gruppo di ricercatori italiani ad occuparsi di "digital heritage" ovvero la valorizzazione del patrimonio culturale tramite le tecnologie 3D.

Questa passione è scaturita anche perché, essendo originario di Bene Vagienna, ho da sempre avuto l'ambizione di ricostruire virtualmente l'antica città romana di Augusta Bagiennorum e di passeggiarci dentro. Risultato, tra l'altro, raggiunto una decina di anni fa con un'applicazione di Realtà Virtuale e proprio quest'anno con una di Realtà Aumentata di cui potremo riparlarne entro Natale. Nel 1999 fondo “No Real Interactive” con la quale continuo a progettare e realizzare fruizione digitale nei musei, grandi e piccoli.

Proprio a Fossano, ad esempio, abbiamo realizzato il MuSa che è un bell'esempio di integrazione fisico-digitale con ologrammi, tavoli touch e unità didattiche interattive a supporto dell'esposizione del patrimonio geologico del nostro territorio.

Dovendo ricostruire città, monumenti, riti, vita domestica degli antichi mi sono imbattuto in problematiche sulla presenza virtuale. Da quando i visori VR sono diventati economici e siamo totalmente immersi nella virtualità, il mio obiettivo è stato quello di realizzare esperienze "user-friendly", facili da usare e quanto più accessibili a tutti.

Non parliamo di futuro, ma del presente. Il 3D è già da tempo nelle industrie manifatturiere e negli studi di progettazione dove tutto è ormai digitale e collaborativo. Non importa più dove sta la persona nel mondo fisico, quanto sia connessa nella stanza virtuale dove avviene la riunione. È l'evoluzione di Zoom e di Meet, quelle applicazioni con cui tanti di noi hanno avuto a che fare durante il lock-down pandemico.

Quali sono le applicazioni pratiche della "virtual presence" nel mondo di Confcommercio? Sono tecnologie accessibili?

Le possibilità sono davvero tante e sono tutte incentrate sull'obiettivo di costruire un rapporto empatico con l'interlocutore, rimanendo a distanza magari per situazioni obbligate o impreviste.

Un esempio concreto: il tunnel di Tenda è chiuso, e avrei dovuto fare una proposta commerciale in Francia, portando con me un prodotto, piccolo o grande che sia, illustrandone caratteristiche estetiche e funzionali ovvero un classico della rappresentanza commerciale. La compresenza fisica è irrealizzabile se non spendendo più tempo e denaro. Posso supplire con la presenza virtuale? Si. Organizzo un meeting virtuale su una delle piattaforme a disposizione, tra l'altro gratuita o spendendo pochi euro, e quando arriva il momento indosso un visore VR dal costo di 350 euro circa e mi connetto. Così farà il mio potenziale cliente e ci ritroveremo in una stanza virtuale con il "digital twin" del prodotto di fronte a noi, disponibile ad essere ruotato, scalato, smontato e cambiato nell'aspetto estetico.

Sembra facile, vero? In effetti è proprio così: è facile. Con la stessa tecnologia potrò supportare la manutenzione di un apparato, partecipare ad una sessione di addestramento e così via, potrò progettare il nuovo allestimento del mio negozio facendo collaborare virtualmente un designer di interni oppure invitare gli amici a darmi pareri sulla nuova vetrina di Natale e così via. Con poche centinaia di euro ci si attrezza e con poche ore di autoaddestramento si impara ad utilizzare questi strumenti a livello base.

Esistono poi necessità più complesse che già molte aziende medio-grandi, anche nel Cuneese, risolvono con soluzioni immersive specifiche utilizzate non solo per le esigenze commerciali, ma per quelle di progetto, di simulazione funzionale, di testing. La virtualità è già molto più comune di quanto probabilmente si percepisca.

 

Insomma, la virtual presence è una realtà, soprattutto nel mondo del lavoro e dell'industria. Resta però quel senso di distacco nell'esperienza virtuale. Un distacco che non convince gli scettici, i quali continuano a preferire il rapporto fisico, anche nel commercio.

Quando si parla di sentimenti, empatia ed emozioni c'è ancora distacco e ci sarà per ancora molto tempo e auspicherei il "per sempre". Ma tendo a che questo divario sarà colmato non tanto per l'evoluzione tecnica, quanto perché l'essere umano tende naturalmente ad adattarsi e spesso ad accomodarsi, anche accontentarsi della propria "confort zone".

Così come in lockdown abbiamo dato credibilità alla presenza virtuale tramite le videoconferenze, abituandoci al mezzobusto nella finestrella, così faremo di fronte all'avatar del nostro cliente, in una stanza virtuale, provando anche sensazioni forse non totalizzanti come nella realtà, ma sufficienti per considerare credibile quella presenza virtuale e considerare efficace questa modalità esperienziale.

Trovarsi a tu per tu, "in scala reale" di fronte un personaggio decisamente credibile perché verosimile nell'aspetto, nella gestualità corporea, nell'espressione facciale, nel timbro di voce e "presente" nel dialogo che stiamo facendo perché fa domande e dà risposte pertinenti, assottiglia di molto il distacco tra reale e virtuale. Ed il mio gemello digitale produrrà lo stesso effetto sul mio interlocutore.

Avere un gemello digitale non apre il baratro di questioni etiche e filosofiche? Non c'è il rischio di superare un limite che dovrebbe restare invalicabile?

Certamente. Ci sono implicazioni filosofiche, giuridiche, e umanistiche quasi del tutto inesplorate. Una su tutte, che apre scenari eticamente discutibili: se io ho un mio gemello digitale, questo vivrà oltre me. E se qualcuno potrà avere accesso a lui, con un corpo e un pensiero verosimili, ecco realizzata la proiezione infinita di me stesso: cortocircuiti che oggi sono difficili da mettere nei binari giusti.

Il digitale che travalica il tempo e lo spazio deve essere necessariamente costretto dentro normative. L'AI Act, emanato recentemente dalla UE, è un primo passo avanti, ma dobbiamo ricordarci che facciamo parte di un mondo a due velocità: ci sono realtà industrializzate super digitalizzate e luoghi e popoli che non hanno ancora sentito parlare di AI o del 3D.

E noi che siamo più avanti abbiamo il dovere morale di fare anche qualche errore, ma di sbrigarci a definire i confini e di ragionare su fino a dove possiamo arrivare, mettendo al primo posto l'utente. Si chiama consapevolezza, produce serenità.

 

Come esseri umani, quindi, siamo pronti ad accogliere la virtual presence?

Ho avuto il privilegio di condividere il palco con il Prof. Galimberti, qualche anno fa a Modena, in cui disse una frase semplice quanto definitiva, quale è il suo stile: "Il virtuale è un destino, non una scelta". Come dire: prima o poi tutti ne saremo pervasi, forse travolti.

Tutte le rivoluzioni tecnologiche creano un conflitto tra entusiasti e chi invece non si sente pronto. E' l'eterno conflitto tra gli apocalittici e gli integrati, come scriveva Umberto Eco. Quel che serve, urgentemente, è una filosofia del tecno-umanesimo, che faccia riconoscere i confini etici e faccia maturare la consapevolezza.

Usare una tecnologia senza criticarla può essere pericoloso e con il superamento della soglia del verosimile, il virtuale innalza il rischio di perdersi. Il crescente fenomeno dell'Hikikomori, l'isolamento sociale volontario a favore di una esclusiva presenza nel digitale, ne è un preoccupante segnale di allerta. Serve conoscenza, serve consapevolezza così da scegliere quali soluzioni tecnologiche tornano utili, anche piacevoli, anche divertenti. E' un esercizio che l'uomo compie fin dalle sue origini, siamo allenati. Facciamolo.

La chiusa perfetta l'ha fatta Luca Chiapella, presidente Confcommercio della provincia di Cuneo, citando don Milani: “Se sai, sei. Se non sai, sarai di qualcun altro”.

Cristina Mazzariello

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