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lavocedialba.it | 15 aprile 2024, 07:33

Totò rivive al Caffè Letterario di Bra e con gli Uomini di Mondo

Il 15 aprile di cinquantasette anni fa se ne andava il principe della risata

Totò rivive al Caffè Letterario di Bra e con gli Uomini di Mondo

«Al mio funerale sarà bello assai perché ci saranno parole, paroloni, elogi. Mi scopriranno un grande attore: perché questo è un bellissimo Paese in cui, però, per venire riconosciuti in qualcosa bisogna morire».

Il Caffè Letterario di Bra e gli Uomini di Mondo non dimenticano il grande Antonio de Curtis, per tutti Totò. Il sipario calò sulla sua vita il 15 aprile del 1967, cinquantasette anni fa, facendolo entrare ancora di più, nella cultura di massa, nella leggenda popolare, una leggenda popolare che ancora oggi viene tramandata.

Era nato il 1898 nella bella Napoli, dove venne soprannominato lo “scugnizzo” del rione Sanità, per la sua estrosa vivacità e irrequietezza che l’hanno portato a diventare una vera e propria icona non solo del cinema italiano, ma dell’Italia stessa.

La portava nel cuore, gli scorreva nelle vene la sua città, come recita in una poesia, una città nella quale «Chi ci è nato, ci vuole morire». E nonostante nel suo caso non poté essere così, il legame di Totò con Napoli e i napoletani rimane indissolubile, un legame che neanche il tempo potrà far svanire.

Totò: basta la parola. La sua grandezza è narrata anche dallo scrittore braidese Giovanni Arpino che aveva un antico rapporto di stima con l’artista partenopeo. Ne abbiamo traccia al Caffè Letterario di Bra con il libro “Lettere scontrose” (Minimum Fax), dove sono raccolte decine di articoli di una rubrica che Arpino pubblicò sul settimanale “Tempo” a metà degli anni ‘60. Tra queste lettere picaresche, ce n’è una in cui il giornalista piemontese avrebbe desiderato vedere Antonio De Curtis commentatore per la Rai.

In “Totò, pater et magister”, lo scrittore rammentava, tra l’altro, che «Lei, come Totò, è un formulario dell’arte comica, una ricetta, un instancabile robot, una pillola esilarante da trangugiare nel grigio del vivere quotidiano». Aggiungendo: «Se il nostro Paese fosse più civile, più ordinato, più semplice da vivere, più rispettoso di se stesso, anche la sua posizione come Totò, dico sarebbe diversa».

E ancora: «Lei potrebbe illuminarci, ogni sera in cinque minuti televisivi, con un commento ai fatti del giorno: dopo il telegiornale, i cinque minuti di Totò e il suo saper dire. A sua libera scelta, potremmo ascoltarla parlare su ogni cosa: su un delitto, su una disposizione ministeriale, sugli astronauti, sulle difficoltà economiche, sul suo pappagallo Gennaro, sui giovani o sui partiti. Sono sicuro che la sua funzione assumerebbe toni critici tutt’altro che qualunquisti». 

Una «Sua smorfia - proseguiva Arpino - potrebbe aiutarci a mettere nel giusto quadro una tiritera dell’onorevole Moro o la questione degli alberi abbattuti dall’Anas. Questo è quanto meritava il suo Totò: un agire concreto, un calarsi nelle verità spicciole per tirarne fuori, alla lunga, di grandi e di comuni». L’articolo commosse moltissimo Totò, che volle ringraziarlo con una lettera, oggi conservata dal figlio di Arpino, Tommaso.

Quel Totò, affermava Giovanni Arpino, che «Ha disegnato un italiano-tipo che non ha nulla a che fare con le caricature dei comici più correnti. Lei ha colto un italiano che non ha bisogno di essere trafitto nei suoi difetti più vieti. A me è sempre piaciuto, tra le righe, il suo italiano figlio della burocrazia, che parla del linguaggio da ufficio, che è matto ma a suo modo inserito in un sistema giuridico ben preciso, dove esistono gli avvocati, le corte d’assise, le preture, i carabinieri, gli ospedali, la carta bollata, gli uscieri, i controllori dei vagoni letti, le guardie civiche, i metronotte, i portinai, insomma tutta la gerarchia temporale di una vita civile che si dipana a fatica».

E proprio per far conoscere alle generazioni future tutte le peculiarità umane ed artistiche del principe De Curtis, narrate da Arpino, oltre al Caffè Letterario con la sottoscritta, si muove Danilo Paparelli, presidente degli Uomini di Mondo, l’associazione con più di 15mila iscritti che hanno svolto il servizio militare a Cuneo. Un albo d’onore che conta persone di ogni rango. Tra gli “Uomini di Mondo” c’è anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in quanto capo delle Forze armate ed Elena Anticoli De Curtis, nipote di Totò.

«Sono un uomo di mondo, ho fatto tre anni di militare a Cuneo» è una delle frasi iconiche del re della risata, un’espressione divenuta di uso comune e che ha contribuito a far conoscere in tutta Italia il capoluogo della Granda.

Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio (questo il suo vero nome), da solo o in tandem con prestigiosi colleghi come Macario, Aldo Fabrizi, Nino Manfredi e Peppino De Filippo, ha girato film che rimarranno nella storia. Ricordiamo: Totò, Peppino e… la malafemmina; Miseria e nobiltà; La banda degli onesti; Guardie e ladri; Totò a colori; Signori si nasce; Un turco napoletano; I tartassati; I soliti ignoti; L’oro di Napoli.

E tanti altri successi, che ancora oggi hanno appeal anche tra le giovani generazioni. Oltre l’attore, va ricordato anche l’uomo, sempre impegnato in opere di beneficenza, come la distribuzione di denaro e pacchi dono ai poveri, oppure come grande poeta e scrittore di opere di successo.

Il Caffè Letterario lo ricorda, citando la sua poesia più famosa, «’A livella», con il suo verso: «’A morte ‘o ssaje ched’’è?... è una livella». Siamo tutti uguali dopo la morte. Questo era il grande Totò, un personaggio comico, ma colto, capace di illuminare i salotti italiani con i suoi «Ma mi faccia il piacere!», senza bisogno di alcuna volgarità, perché «Signori si nasce», e lui lo nacque, modestamente.

Silvia Gullino

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