Riceviamo e pubblichiamo.
Prima la pandemia e ora una guerra. In un istante il mondo che avevo intorno è completamente scomparso. In questa nuova realtà l’unica certezza è l’incertezza.
Se per un giovane come me era difficile immaginarsi un futuro, ora è praticamente impossibile stando a quanto accade intorno. Accendo la tv, accedo ai social e vengo bombardato d’informazioni, ancora peggio quando ascolto i talk. Come per il Covid e ora per la guerra, maree di esperti o pseudo tali si confrontano in dibatti di tale violenza e mancanza di rispetto manco fossero lì a fronteggiarsi sul campo, dimenticandosi che il loro scopo dovrebbe essere far riflettere e non orientare; per non parlare di qualche politico che sfrutta la situazione per marchette elettorali. La confusione totale è servita.
La domanda allora mi giunge da sola: tutti questi che ne sanno?
Mi viene in mente una discussione con il mio amico Luca durante un aperitivo, perché come si sa, alla fine si finisce sempre a parlare di quello che sta accadendo.
Lui s’interessa a tutt’altro che alla politica e strategie, ma in quel momento, quando ha espresso la sua idea, non avrebbe avuto nulla da invidiare a un Dario Fabbri:
“Questo Putin è un gran volpone. Ha approfittato della nostra debolezza, del fatto che stiamo uscendo dal Covid per fare quello che vuole. Chi pensi possa fermarlo? Se ci taglia il gas o il petrolio, i prezzi vanno su e la baracca salta”. La prima cosa che mi ha fatto venire in mente è stata sul come non dargli torto, la seconda è stata una riflessione più profonda (qui aver studiato relazioni internazionali è stato utile).
Una guerra di tipo tradizionale (tra Stati) in Europa non nasce per caso e non nella mente di un folle. Noi Occidentali, da padroni del mondo ci siamo abituati a pensare e a giocare secondo i nostri schemi; quindi, la mossa che ha fatto Putin ci sembra irrazionale, ma dal suo punto di vista tutto torna, specialmente dopo la ritirata dall’Afghanistan. Aver lasciato Kabul in quel modo ha chiarito che eravamo più deboli e la potenza è deterrenza: la guerra in Ucraina ha le radici qui. Chi propone l’idea che la NATO, come il prof. Orsini, abbia spaventato Putin e l’abbia costretto a intervenire sbaglia.
È vero che una potenza, come nel caso della Russia, vedendosi minacciato il proprio territorio (per via del rapido allargamento NATO nell’est Europa subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica) può agire d’impulso creando situazioni pericolose, ma qui è stata colta un’opportunità. Il presidente russo ha giocato il tutto per tutto scommettendo che dopo decenni di guerra USA ed europei non avrebbero mosso un dito. L’Ucraina è da almeno 20-25 anni che ha iniziato il suo percorso di adesione alla NATO e non vi è mai entrata perché, chiaramente, non si è voluto fare aumentare la tensione con Mosca. A loro volta i russi potevano già intervenire nel 2014 e consolidare il governo Janukovyč ma non lo hanno fatto, almeno “ufficialmente”, fermandosi unicamente al Donbass e alla Crimea in modo da avere una zona cuscinetto e proteggere una posizione chiave (sede flotta Mar Nero).
La mossa, però, è andata male per diversi aspetti. In primis sul campo. L’esercito russo ha pochi militari professionisti (le riforme che si sono susseguite dagli anni ’90, non hanno dato i frutti sperati) al cui posto vengono mandati giovani coscritti e riservisti a contratto per combattere in luoghi sconosciuti, con una logistica mal pensata e un comando inadeguato. Sono avanzati solo per i mezzi numericamente superiori ma grazie all’invio di armi gli ucraini, motivati, ben addestrati (dai consiglieri americani) e veterani del Donbass stanno passando alla controffensiva. Se vuoi attaccare devi avere almeno un rapporto di 3:1 sul difensore, qui gli effettivi degli schieramenti si bilanciano e la Russia sta cercando combattenti veterani dalla Cecenia, Hezbollah libanesi, siriani e mercenari e dalle regioni separatiste della Georgia per sopperire alle perdite.
Il secondo aspetto è politico: Putin voleva dividere, dati i rapporti poco idilliaci degli ultimi anni, ancora di più gli americani dagli alleati facendo leva sull’economia. Ha ottenuto l’effetto opposto. Un ultimo aspetto, poco banale, riguarda il dibattito interno alle opinioni pubbliche occidentali su alcune questioni. Allo stesso tempo si parla di un “nuovo pacifismo”, si fanno sit-in permanenti contro la guerra e s’inneggia alla difesa dei diritti e alla democrazia ma non si vogliono mandare armi a un paese democratico e libero che è stato aggredito per difendersi. Questo è veramente da ipocriti. L’aumento delle spese militari al 2% del PIL.
L’Italia è potenzialmente, data la sua posizione strategica, un attore di valore. Negli ultimi anni non abbiamo avuto una politica estera e lo strumento militare è un aspetto importante, strategico per lo Stato e i cui investimenti non devono mancare per curare gli interessi nazionali in ogni area del mondo. Questo non significa per forza essere guerrafondai e l’art. 11 della Costituzione sarebbe comunque rispettato. Breve inciso per chi pensa alla difesa comune europea: avere forze armate tutti insieme fa aumentare la spesa, non il risparmio; se si ha un esercito poi lo si deve anche utilizzare con quello che consegue. L’Ucraina non è l’obbiettivo unico della Russia; Putin mira a rivedere l’intero assetto dell’est Europa, cosa molto pericolosa (molti paesi sono NATO e se attaccati poi bisognerà rispondere) e serve ritornare ad avere quella forza di deterrenza che c’era un tempo al fine di evitarlo.
In ultimo la questione delle relazioni tra paesi europei e Stati Uniti: da certe parti c’è l’idea di essere delle colonie, come se esistesse una sorta d’impero americano. Che i paesi europei siano succubi dell’influenza americana lo sanno tutti ma parlare d’impero americano è fuori da ogni logica. Esiste tra le due sponde dell’Atlantico un tacito accordo che può essere visto come il Regno Unito e Dominion ai loro tempi: l’egemone si occupa della sicurezza e gli altri paesi godono dei benefici economici in particolare, derivanti dalla stabilità e impegnandosi ad essere più o meno politicamente allineati. È un rapporto quasi alla pari che costa più al primo, che ai secondi.
Non si può dire con certezza come finirà la guerra sul campo e cosa succederà dopo, si possono pensare però alcuni scenari. L’Ucraina rimarrà forse un paese indipendente e neutrale ma ridotto territorialmente, senza il Donbass e la Crimea, con Zelensky al suo posto e la sua sicurezza garantita dalle grandi potenze. La Russia non ha le capacità per una guerra su larga scala come ora e dovrà fermarsi e tornare a negoziare (possibile un conflitto a bassa intensità, come nel 2014, per via dell’effetto delle sanzioni che potrebbero essere fatali andando a toccare le esportazioni di materie prime) con Putin, però, sempre in sella (i russi per la maggior parte lo supportano). Gli Stati Uniti sono ormai sulla via del declino come superpotenza e gli europei saranno chiamati a farsi di più carico della loro sicurezza ma Stato per Stato con la NATO, che verrà ulteriormente rivitalizzata in un mondo nuovamente diviso a blocchi (Cina, Russia, Iran, Pakistan e Nord Corea vs NATO e alleati)
A livello interno, le classi dirigenti e l’opinione pubblica (europea e italiana) dovranno imparare a non parlare più retoricamente di libertà, diritti e democrazia, ma d’interesse nazionale. Da una parte dobbiamo comprendere che i nostri valori non sono affatto universali e non possono essere esportati (ma è giusto rivendicarli come superiori agli altri perché l’Occidente è il blocco dominante ed è il gioco della grande potenza) come visto bene in Afghanistan, dall’altra non possiamo accettare che una democrazia, che ha scelto di stare nel nostro campo come l’Ucraina (in relazioni internazionali tra grandi potenze si cerca di “rubare” gli alleati dello schieramento opposto offrendo di più e la Russia, in questo caso, non ha retto i costi di gestione del suo precedente “vassallo” e per tenerlo nel suo campo ha optato per la forza), possa essere attaccata senza pietà (né casus belli). La stessa che è mancata in posti come Irpin e Bucha (ma sicuramente ci saranno altri luoghi). Centinaia di persone fucilate senza alcun motivo da soldati russi in ritirata, abbattuti per essere stati sconfitti e fuori di sé per il mancato supporto della popolazione, che gli era stato detto “sarebbero andati a liberare”. La storia, in questi luoghi, sembra essere tornata indietro di quasi ottant’anni: i nazisti poco lontano diedero vita a un massacro con le stesse modalità, l’“Olocausto dei proiettili”, uccidendo a sangue freddo (come i russi oggi) circa 33 mila persone. Vedere le immagini di tale orrore mi ha fatto venire la stessa stretta allo stomaco che ho provato quando sono andato ad Auschwitz e Birkenau.
Come in quel caso mi è venuta una domanda: come si è arrivati a questo?
La risposta è sempre la stessa e porta il nome d’indifferenza. Il nostro è un concetto di pace idealista, da cinema con i popcorn in mano: osserviamo, condanniamo, manifestiamo ma guai a fare qualcosa (anche in nome dell’aggredito!). Non deve esistere il concetto di “non ci riguarda” e “no a prescindere”. Se pacifismo significa questo allora, preferisco essere chiamato guerrafondaio e dire ciò che serve. Di fronte a massacri come quelli di Bucha, nel 2022, non ci si può girare dall’altra parte. L’Ucraina deve avere tutto il supporto che le serve a livello militare e se necessario dobbiamo prendere in considerazione anche di inviare una forza d’interposizione (peacekeeping), perché i russi, prima di attaccare le forze NATO e scatenare una guerra mondiale ci penserebbero bene.
Gabriele Manno, Giovani Democratici Alba