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Politica | 06 aprile 2020, 14:01

“Evitiamo che la pandemia sanitaria si traduca in pandemia statalista”

Un appello di un gruppo di personalità del mondo accademico imprenditoriale e delle professioni: “Lo Stato deve ritrarsi, in primo luogo rinunciando ad ogni imposta diretta per il 2020. L’apparato pubblico compia quei sacrifici necessari a far sopravvivere il sistema produttivo privato”

“Evitiamo che la pandemia sanitaria si traduca in pandemia statalista”

Riceviamo e pubblichiamo questo appello, di ispirazione liberale, che vede tra i firmatari personalità del mondo accademico, delle professioni, delle imprese e dell’informazione. Tra loro anche l’avvocato cuneese Alberto Rizzo.

Mentre gli operatori della sanità pubblica e privata sono in prima linea contro il Co-vid-19, e mentre la produzione è ferma e gli italiani sono confinati nelle loro abita-zioni, il governo sta predisponendo misure emergenziali che sono presentate quali aiuti al sistema economico, ma che in realtà peggioreranno una situazione già disastrosa.


Uno Stato moribondo a causa dei debiti contratti negli anni passati si prepara ad aggravare la propria esposizione debitoria, ponendo le premesse per conseguenze ancora più tristi. 

Al di là delle singole misure, la filosofia di fondo degli interventi governativi è chiara: s’intende allargare la sfera d’azione del potere pubblico nella convinzione che questo possa aiutare l’economia. Predisporre finanziamenti pubblici a questa o quella categoria, offrire garanzie di Stato per i prestiti e assicurare altre forme di sussidio a quanti sono in difficoltà significa – al di là della retorica – colpire ancor di più il sistema economico produttivo, che sarà ovviamente chiamato a pagare il prezzo di queste decisioni.


Anche se gli interventi vengono presentati come se si stesse ricorrendo a una sorta di “manna dal cielo”, le cose non sono così. In sostanza, si sta predisponendo un gigantesco meccanismo di deresponsabilizzazione (gli economisti parlano di “moral hazard”) e si sta creando una logica da “reddito di cittadinanza” estesa ad ogni settore, categoria e classe sociale. 


Bisognerebbe muoversi in direzione opposta. Lo Stato deve infatti ritrarsi, in primo luogo rinunciando a ogni imposta diretta per il 2020. È indispensabile che l’apparato pubblico compia quei sacrifici necessari a far sopravvivere il sistema produttivo privato. 


È necessario che si operino tagli di spesa, che si rinunci a ogni nazionalizzazione (a partire dall’Alitalia, uno scandalo che dura da decenni), che si operi un drastico snellimento della funzione pubblica. Le risorse che sono nella disponibilità dello Stato devono direttamente pervenire agli interessati, senza passare necessariamente attraverso tutto quell’armamentario che ne ritarda l’erogazione e, soprattutto, che (passando per mille enti e un asfissiante percorso burocratico) incide pesantemente sulla consistenza degli aiuti stessi, riducendoli in modo sensibile e favorendo quel clientelismo e quella corruzione che con facilità si annidano proprio negli apparati burocratici. 

Oltre a ciò, bisogna disboscare la selva delle regole, perché quanti evocano il “boom” successivo alla Seconda guerra mondiale dovrebbero ricordare come allora chi voleva intraprendere poteva farlo con facilità: non c’erano tutte le leggi che ora impediscono ogni iniziativa, né vi era una pressione fiscale come l’attuale.


Se non si abbandonerà questo interventismo autoritario, sostenuto dal generale con-senso delle forze politiche, il disastro economico generato dalla pandemia sanitaria non troverà soluzione. Non è possibile alcuna ricostruzione in un’economia dominata dal gioco delle lobby, da una redistribuzione costante delle risorse, da scelte che privilegiano l’oggi e sacrificano – ancora una volta! – le generazioni a venire.


Facciamo che lo Stato lasci lavorare in pace chi vuole fare: rinunciando quanto più sia possibile alle imposte dirette del 2020 ed eliminando ogni norma che ora ostacola quanti intraprendono.  

Carlo Lottieri, università di Verona 

Sergio Belardinelli, università di Bologna 

Alberto Berardi, università di Padova 

Silvio Boccalatte, avvocato 

Emanuele Boffi, direttore di “Tempi” 

Roberto Brazzale, imprenditore 

Aldo Canovari, editore 

Renato Cristin, università di Trieste 

Raimondo Cubeddu, università di Pisa 

Andrea Favaro, università di Verona 

Roberto Festa, università di Trieste 

Michele Fiorini, avvocato 

Oscar Giannino, giornalista 

Alessandro Gnocchi, giornalista 

Lorenzo Infantino, università LUISS di Roma 

Antonio Masala, università di Pisa 

Roberta Adelaide Modugno, università di Roma Tre 

Guglielmo Piombini, saggista ed editore 

Florindo Rubbettino, imprenditore 

Corrado Sforza Fogliani, avvocato 

Michele Silenzi, saggista 

Adriano Teso, imprenditore 

Giorgio Spaziani Testa, avvocato 

Daniele Velo Dalbrenta, università di Verona 

Alessandro Vitale, università di Milano

Alberto Rizzo, avvocato

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