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Politica | 12 luglio 2019, 16:00

Sanità, il modello Veneto non piace all’albese Marello: prima crepa sull’"asse langarolo" nella Regione a guida Cirio

Il governatore e l’assessore Icardi guardano "senza pregiudiziali" a una maggiore partecipazione dei privati nella gestione del delicato comparto. L’ex sindaco mette in guardia: "Siamo già al 6%"

Maurizio Marello, 53 anni, avvocato e imprenditore vitivinicolo, dopo due mandati da sindaco ad Alba è stato eletto in Consiglio regionale nella fila del Pd

Maurizio Marello, 53 anni, avvocato e imprenditore vitivinicolo, dopo due mandati da sindaco ad Alba è stato eletto in Consiglio regionale nella fila del Pd

Se l’inedita contingenza che ha portato Alberto Cirio (Forza Italia) a guidare la Giunta di Piazza Castello e il santostefanese Luigi Icardi (Lega) al timone del pesantissimo Assessorato alla Sanità – con gli albesi Maurizio Marello (Pd) e Ivano Martinetti (M5S) sui banchi della minoranza a Palazzo Lascaris – può aver indotto qualcuno a pensare che col rinnovo amministrativo del maggio scorso il governo regionale sia diventato poco meno che un affare di famiglia tra "langhetti", è proprio l’ex sindaco di Alba a rompere gli indugi dello scontro politico, dando la stura alla prima vera contrapposizione politica – in salsa albese – della nuova consigliatura regionale.

Il terreno di confronto è proprio quello della sanità, ambito che, con una spesa annua vicina agli 8 miliardi di euro, storicamente impegna i tre quarti delle risorse annualmente a disposizione della Regione.
Un settore peraltro sofferente, come ben sa l’ex governatore Sergio Chiamparino, la cui stagione in Piazza Castello è stata in buona parte impegnata a recuperare i chiari di luna assommati in materia dalle precedenti amministrazioni.
Ma come sanno anche i dirigenti delle nostre Asl, alle prese con le croniche mancanze di personale medico e infermieristico negli ospedali, lacune indotte ora dalla carenza di percorsi di specializzazione, ora dagli effetti di un blocco del "turn over" reiterato da anni per volere di Roma.
E come ben sanno, non ultimi, le migliaia di pazienti costretti ogni giorno a fare i conti con tempi di attesa e qualità delle prestazioni non sempre in linea - anzi – coi migliori standard nazionali di servizio, e in stato di progressivo peggioramento.     

Il nostro modello è il Veneto, dove la sanità funziona bene e il privato ha una quota complessiva del 7%, mentre in Piemonte la quota di sanità privata ospedaliera è intorno al 3,5%”, spiegava nei giorni scorsi l’ex sindaco di Santo Stefano Belbo (si legga anche qui), ora massimo decisore della sanità regionale, dopo aver premesso di volersi confrontare sul tema senza "nessuna preclusione ideologica nei confronti della sanità privata" e con "ampia disponibilità a collaborare", pur "mantenendo la governance pubblica".
Una posizione che lo stesso Cirio aveva già portato in Consiglio regionale illustrando le linee guida del proprio mandato, nel suo caso con riguardo anche a scuola e trasporti pubblici.

"A Cirio, e ora anche a Icardi, ho chiesto di dirci cosa significa, nella pratica, questo intendimentoattacca ora Marello –. Vorrei capire che cosa intende quando si dice di voler passare al 7%. Soprattutto perché, se è vero che parlando di 'acuzie', delle specialità più impegnative e anche remunerative, la presenza dei privati oggi in Piemonte è al 3.5%, se guardiamo invece anche alle prestazioni ambulatoriali e alla generalità dei servizi sanitari quel dato già oggi vale in realtà un 6% della nostra spesa sanitaria complessiva. In questo senso un conto è incrementare questo rapporto di un punticino percentuale; altra cosa è pensare di raddoppiare la mole di risorse che ogni anno vengono drenate verso gli operatori privati".

In quell’ipotesi – calcola Marello – i fondi dirottati al privato raggiungerebbero un complessivo 10% del totale. Troppo, secondo l’ex sindaco e tutto il gruppo Pd in Consiglio regionale. "Questo per due ordini di questioni - continua Marello –. Politiche di questo tipo toglierebbero risorse al pubblico, ma nell’attuale situazione economica della nostra sanità un risparmio di qualche centinaio di milioni di euro da destinare ai privati sarebbe possibile solo chiudendo strutture, ipotesi ovviamente non praticabile. Poi, se è vero che una misura di questo tipo si giustificherebbe facilmente con l’esigenza di ridurre liste d’attesa oggi eccessive, va detto chiaramente che l’effetto sarebbe quello di innescare un circolo vizioso che vedrebbe un progressivo depauperamento del pubblico, con la graduale ma inesorabile perdita di questo imprescindibile presidio".

"Noi come opposizione – conclude l’esponente democratico – crediamo che l’attuale rapporto nell’affidamento delle risorse sia più che sufficiente. L’assessore Icardi liquida il nostro come un approccio ideologico, ma la sanità pubblica è un fatto quasi naturale, la garanzia che tutti possano avere accesso all’imprescindibile diritto di curarsi, mentre il rischio che corriamo è quello di andare a smantellare questo prezioso patrimonio. Bisogna invece ritrovare la forza di investire sul pubblico, incrementare il personale, trovare il modo di colmare le attuali lacune nel numero dei medici, mettere risorse su strutture nuove — come Verduno – e su quelle da aggiornare e ristrutturare. Poi ben vengano anche i privati, ma se le risorse sono sempre quelle, il rischio è di gettare alle ortiche l’enorme e faticoso lavoro che Chiamparino ha saputo fare in questi anni per rimettere in carreggiata l’intero sistema".

Ezio Massucco

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