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Attualità | 20 novembre 2025, 10:05

Esami e liste d'attesa, il caso cuneese e gli slot virtuali sospesi dalla Regione: quando le norme diventano una gabbia

La riflessione dell'ex primario della Radioterapia, dottor Russi, su quanto accaduto al Santa Croce. Il sistema funzionava e garantiva efficienza, ma è stato bloccato senza che sia stata trovata una modalità alternativa e altrettanto efficace per riempire le agende

Esami e liste d'attesa, il caso cuneese e gli slot virtuali sospesi dalla Regione: quando le norme diventano una gabbia

Nei mesi scorsi è scoppiata una polemica sui cosiddetti “appuntamenti fantasma” all’ospedale Santa Croce di Cuneo: prenotazioni con orari improbabili (es. notte o giorni festivi), ma con la promessa di essere ricontattati per fissare una data reale.  

Una vera bomba sulla sanità cuneese, da sempre presa ad esempio per efficienza, anche nel contenimento delle liste d'attesa. Perché questo "trucchetto" mirava esattamente a questo.

L’Asl CN1 e il Santa Croce hanno infatti difeso il sistema: gli slot “virtuali” servirebbero a riassegnare l’appuntamento definitivo dopo aver inserito la prenotazione in una zona grigia, ma comunque presa in carico.   

La Regione Piemonte, dopo le polemiche anche in consiglio regionale, con il caso sollevato dalla consigliera di AVS Giulia Marro, ha temporaneamente sospeso la procedura. 
La sospensione è dovuta “a perplessità sulle modalità di comunicazione” e durerà almeno finché non sarà operativo il nuovo sistema CUP, che dovrebbe rendere più trasparente la prenotazione. 

Del caso cuneese potrebbe occuparsi Sigfrido Ranucci nella prossima puntata di Report. Un servizio sarà proprio sulle liste di attesa e sul sistema adottato da Regioni e aziende sanitarie per fare figurare fittiziamente una loro riduzione. 

Se c'è una persona che, anche pubblicamente, ha sempre difeso questa pratica in uso a Cuneo, è stato il dottor Elvio Russi, già primario della Radioterapia e profondo conoscitore dei meccanismi della Sanità pubblica, a cui ha dedicato la vita. 

Pubblichiamo la sua riflessione, che potrebbe essere estesa praticamente ad ogni ambito della vita nel nostro Paese, bloccato dall'eccesso di regolazione. Insomma, come ha ben detto Russi, le norme diventano una gabbia... 

***


In Italia tutto viene normato, regolato, incasellato. Le regole servono, certo: tutelano diritti, garantiscono trasparenza, definiscono responsabilità. 

Ma quando la produzione normativa cresce senza freni, quelle stesse regole finiscono per trasformarsi in fili invisibili che immobilizzano più che guidare. 

È l’immagine di Pinocchio: con due fili cammina, con mille resta fermo. 

L’esempio più evidente è il tracollo della ricerca indipendente, schiacciata da procedure interminabili, vincoli burocratici, requisiti sempre più onerosi. Le norme, nate per garantire sicurezza e qualità, finiscono paradossalmente per favorire chi può permettersi eserciti di consulenti, mentre piccoli enti e gruppi di ricerca vengono relegati ai margini. 

E intanto la ricerca pubblica si assottiglia, insieme all’autonomia scientifica del Paese.

Il problema non è la regola in sé, ma l’ossessione regolatoria: si continua a scrivere norme come se bastassero a prevenire comportamenti scorretti, dimenticando che la norma — amministrativa o giudiziaria — non ferma i furbi né i forti.

Chi vuole aggirarla lo farà comunque, forte di risorse, potere o semplicemente astuzia. La norma arriva sempre dopo, “a guaio fatto”: sanziona quando il danno è già stato prodotto, e quasi mai risarcisce realmente la collettività. 

Qui si consuma il vero paradosso italiano: si moltiplicano le regole ma si trascura ciò che renderebbe davvero efficace un sistema civile, cioè la certezza della pena. 

Se fosse rapida, proporzionata e inevitabile, servirebbe da deterrente; invece continuiamo ad aggiungere carte su carte, illudendoci che un modulo in più possa fermare ciò che solo un sistema realmente vigilante e tempestivo saprebbe frenare.

Un caso locale, ma emblematico, è quello del Cuneese: per anni un metodo semplice e intelligente aveva permesso al Santa Croce e Carle e all’Asl CN1 di recuperare gli slot lasciati liberi dai pazienti che non si presentavano all’ultimo minuto

Si registrava la prenotazione, si manteneva per il cittadino una priorità trasparente e poi lo si richiamava per anticipare l’esame appena si liberava una finestra utile. 

Una pratica non perfettamente allineata alla lettera della norma, certo, ma capace — come ho già spiegato in un articolo precedente — di evitare sprechi, ridurre le attese e far funzionare davvero il servizio pubblico

Poi è arrivato il blocco: un funzionario regionale ha fermato tutto temendo che quel meccanismo, per quanto efficace, non fosse pienamente aderente al testo regolatorio. 

Il risultato è il paradosso perfetto: chi invoca rigidamente la norma non riesce, negli anni, a offrire una soluzione alternativa secondo norma, ma sospende l’unico sistema che aveva dato risultati, come dimostrano gli encomi ottenuti dall’ospedale per efficienza. 

Oggi i cittadini faticano ancora di più a trovare un posto, gli slot degli assenti restano vuoti, e il servizio peggiora per pura fedeltà al formalismo.

È qui che il burocratismo diventa quasi teatro. 

Come nei “Giudici” di Pinocchio — parrucca vistosa e occhiali d’oro senza vetri — chi dovrebbe valutare con lucidità finisce per non vedere la sostanza. 

Si aggrappa alla forma, dimenticando ciò che dovrebbe davvero contare: la Giustizia vera, quella che guarda ai fatti, alle conseguenze e al bene comune.

Il sistema smette di distinguere tra ciò che è formalmente corretto e ciò che è realmente utile, e il cittadino paga due volte: con le tasse e poi, inevitabilmente, col privato. 

A rimanere intrappolati non sono i furbi — che un varco lo trovano sempre — ma i servizi che funzionano e le persone oneste che ne avrebbero bisogno.

L’Italia non ha bisogno di più norme, ma di norme migliori: chiare, snelle, applicabili. 

E soprattutto di recuperare una cultura del giudizio, della responsabilità e dell’efficacia. 

Perché una norma che non previene, non risarcisce e non dissuade diventa soltanto un’altra corda nel groviglio. E quando la gabbia normativa si chiude, l’unica cosa che resta davvero immobile è il Paese.
 

Elvio Russi
 

Barbara Simonelli

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