/ Attualità

Attualità | 29 giugno 2025, 18:13

L'ANALISI / I possibili scenari futuri nel conflitto tra Israele e Iran

La riflessioni di Cristina Martinengo, neolaureata in Scienze Strategiche presso la Scuola Universitaria Interdipartimentale di Torino (SUISS)

(foto reuters)

(foto reuters)

Guerra, bombardamenti, morti, crisi. Parole che caratterizzano sempre di più il dibattito internazionale, chiaro segno di un contesto globale ingarbugliato e preoccupante.

Vi proponiamo il contributo di Cristina Martinengo, giornalista e collaboratrice di TargatoCn che si è da poco laureata in Scienze Strategiche presso la Scuola Universitaria Interdipartimentale di Torino (SUISS), con una tesi di ricerca in studi strategici dal titolo ‘Avoiding the Unthinkable: Nuclear Deterrence From the Cuban Missile Crisis to the War in Ukraine’.

Dopo l’inizio di una effettiva guerra aperta tra Iran e Israele con l’attacco da parte di quest’ultimo della scorsa settimana sul suolo iraniano; dopo la decisione del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump di attaccare tre diversi impianti nucleari iraniani; dopo il raggiungimento di un cessate il fuoco, la situazione in Medio Oriente si fa sempre più complicata e potenzialmente esplosiva. 

La decisione di mettere fine alla guerra-ombra portata avanti per anni da Iran e Israele è stata presa lo scorso 13 giugno quando Israele ha aperto il fuoco su più fronti tentando prima di tutto di danneggiare il programma nucleare iraniano, uccidendo scienziati influenti del programma stesso, danneggiando i siti militari e nucleari iraniani e distruggendo le difese aeree di Teheran. 

L'Iran da parte sua ha risposto lanciando raffiche di missili balistici contro Israele, uccidendo almeno 24 persone contro le almeno 224 uccise in Iran. Dopo una serie di attacchi missilistici iniziali e dopo giorni di incertezza, gli Stati Uniti di Trump hanno deciso di affiancare Israele nel tentativo di smantellare completamente il programma nucleare iraniano, colpendo Fordow, Natanz e Isfahan con i bombardieri stealth B-12 carichi delle cosiddette “bunker buster bombs” in grado di penetrare nel cuore dei siti di arricchimento dell’uranio situati nelle profondità di una montagna fuori Teheran. “Il nostro obiettivo era la distruzione della capacità di arricchimento nucleare dell'Iran e la fine della minaccia nucleare rappresentata dal principale sponsor mondiale del terrorismo, stasera posso annunciare al mondo che gli attacchi sono stati uno spettacolare successo militare e che i principali impianti di arricchimento nucleare dell'Iran sono stati completamente e totalmente distrutti”, ha detto Trump a commento dell’operazione. Nonostante le dichiarazioni iperboliche però, sembrerebbe che gli attacchi americani non abbiano smantellato del tutto il programma nucleare iraniano. 

Il nodo del programma nucleare

L'accordo sul nucleare iraniano, formalmente noto come Piano d'azione congiunto globale (JCPOA), è un accordo storico raggiunto tra l'Iran e diverse potenze mondiali, tra cui gli Stati Uniti, nel 2015, al tempo della presidenza Obama. Secondo l’accordo, l’Iran avrebbe dovuto smantellare la maggior parte del suo programma nucleare e aprire i suoi impianti a ispezioni internazionali più estese, ricevendo in cambio un alleggerimento delle sanzioni e miliardi di dollari. Il programma aveva l’obiettivo dichiarato di evitare che l’Iran potesse sviluppare una bomba atomica facilmente o rapidamente, in modo tale da permettere alla comunità internazionale di prendere contromisure verso eventuali progetti con questo obiettivo. Accettando così restrizioni nucleari da una parte e monitoraggio e verifica dei siti dall’altra, l’Iran otteneva in cambio la rimozione temporanea e poi definitiva dell’embargo sulle armi e più genericamente delle sanzioni. 

Secondo coloro che sostengono tale accordo, esso avrebbe dovuto ridurre le possibilità di conflitto tra l’Iran e altri paesi influenti della regione, fra cui Israele. Nel 2018 Trump, durante il suo primo mandato, ha deciso di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo in modo unilaterale, andando così a complicare nuovamente la situazione. Joe Biden aveva successivamente tentato di far rientrare il paese nel JCPOA ma dopo oltre due anni di colloqui intermittenti, i paesi sono rimasti lontani da un compromesso. Da parte sua Trump ha giustificato la decisione affermando che l'accordo non affrontava il programma missilistico balistico dell'Iran e la sua guerra per procura nella regione, e che le clausole di decadenza avrebbero consentito comunque di perseguire l'obiettivo di realizzare armi nucleari in futuro. In risposta a quelle che Teheran ha definito inadempienze e violazioni dell’accordo da parte di Washington, l'Iran ha iniziato a superare i limiti concordati per le sue scorte di uranio a basso arricchimento nel 2019 e ad arricchire l'uranio a concentrazioni più elevate, oltre che a ostacolare deliberatamente le visite dell’AIEA alle sue strutture nucleari. L’allontanamento definitivo dagli accordi del 2015 è stato dichiarato nel 2020, dopo l'uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani da parte degli Stati Uniti, sempre sotto Trump. In questa occasione l’Iran aveva promesso che non avrebbe più rispettato gli accordi firmati e smantellati in passato. 

Gli attacchi recenti condotti da Israele sono direttamente collegati al tortuoso raggiungimento di un accordo sul nucleare. L'operazione “Rising Lion” aveva due principali obiettivi: pesanti attacchi aerei contro almeno uno dei siti di arricchimento iraniani e attacchi più mirati nella capitale per eliminare la leadership militare del regime. Lo scopo era quello di fermare quello che Israele vedeva come un rapido progresso di Teheran nello sviluppo di armi nucleari. L’attacco ha dimostrato, come altri eventi in passato, la scarsa efficacia del sistema di sicurezza dell’Iran. Non solo, esso ha anche messo in evidenza una serie di elementi tra cui: cattiva interpretazione, errori di calcolo e sottovalutazione delle intenzioni di Israele e degli Stati Uniti da parte dell’Iran. Il presidente Trump aveva infatti lanciato un ultimatum di sessanta giorni al paese, dicendo che se non si fosse trovato un accordo, non sarebbe rimasto nulla da fare. Interpretando queste parole come un segnale politico e non in modo pragmatico, l'Iran ha continuato l'arricchimento. Israele ha attaccato il 61° giorno. 

Che cosa succede dopo 

Sebbene non sia del tutto chiaro quale sia l’intenzione precisa dell’amministrazione Trump, sono state avanzate alcune ipotesi dagli analisti. Quello che è evidente è che gli attacchi del 13 giugno hanno segnato l’inizio di una nuova fase. In questo contesto ci sono tre opzioni egualmente probabili ma con conseguenze assai diverse: un’escalation del conflitto, che vedrebbe gli Stati Uniti sempre più coinvolti in una guerra aperta a fianco di Israele; la capitolazione iraniana a condizioni favorevoli sia per Tel Aviv che per Washington; oppure una risposta limitata dell’Iran senza che la situazione degeneri a conflitto aperto. 

Ciò che sembra piuttosto evidente è l’improbabilità che tali attacchi possano condurre alla capitolazione effettiva del regime iraniano, che, anche se colpito direttamente, mantiene ad oggi le capacità di esercitare il proprio potere e il controllo del paese. Uno dei pericoli più evidenti legati all’indebolimento del regime è che un Iran più “destabilizzato e radicalizzato” possa voler continuare all’infinito il conflitto con Israele, oltre che voler portare avanti il programma nucleare con scopi militari. Un conflitto a bassa intensità non vedrebbe coinvolti gli Stati Uniti direttamente se non a supporto di Israele, ma potrebbe comunque comportare un certo numero di vittime civili. 

Un Iran fortemente indebolito avrebbe però un costo anche per gli Stati Uniti, che dovrebbero nuovamente concentrare risorse militari e investimenti in Medio Oriente senza grandi possibilità di guardare ad altri scenari strategici ben più importanti nell’Agenda americana. Inoltre, un forte coinvolgimento degli Stati Uniti in una nuova guerra in Medio Oriente non sarebbe ben visto dall’opinione pubblica americana. Non solo, un tale scenario andrebbe controcorrente rispetto alla retorica del “presidente della pace” promossa da Trump stesso, che ha più volte dimostrato il contrario: questa sarebbe un’ulteriore conferma. 

In generale, qualsiasi coinvolgimento americano comporta degli enormi rischi, in questo caso direttamente collegati alla potenziale riuscita di un nuovo accordo diplomatico sul nucleare. Dall’altra parte, nulla può dare certezze al momento sull’impossibilità che tali attacchi non abbiano un risultato positivo. Nei prossimi giorni o settimane, l'Iran potrebbe essere costretto ad accettare condizioni favorevoli a Israele e agli Stati Uniti, e la guerra potrebbe concludersi rapidamente. Resta da vedere se una soluzione alla questione nucleare è ancora possibile o se gli attori in gioco continueranno a tirarsi indietro diffidenti rispetto alla possibilità di un accordo. 



 

cristina martinengo

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A NOVEMBRE?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare 2024" su Spreaker.
Prima Pagina|Archivio|Redazione|Invia un Comunicato Stampa|Pubblicità|Scrivi al Direttore|Premium