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Sanità | 05 novembre 2024, 17:28

Danni da emotrasfusione: dopo 50 anni, Ministero della Salute condannato a risarcire i familiari di una donna cuneese

Oltre un milione di euro al marito e ai due figli di una signora deceduta nel 2016 per cirrosi epatica, contratta a seguito di alcune trasfusioni ricevute nel 1975, come spiega Simona Masante, avvocato civilista di Cuneo

Immagine di repertorio

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Una causa iniziata nel 2021 e terminata lo scorso 22 ottobre con una sentenza pronunciata dal Tribunale di Torino, con la quale è stata riconosciuta, in capo al Ministero della Salute, la responsabilità per i danni da emotrasfusione per omesso controllo sul donatore con conseguente condanna al risarcimento a favore del marito e dei figli per una cifra pari a 1.170.951,44.

L'avvocato che ha accompagnato la famiglia risarcita è Simona Masante, civilista del Foro di Cuneo.

La vicenda inizia nel 1975, in Sardegna, e termina nella nostra provincia dove, nel 2016, si è verificato il decesso di una donna, moglie e madre, dopo un calvario di vent'anni. Giustizia è stata fatta, anche se niente restituirà al marito la sua compagna di vita e ai due figli, che quando tutto ha avuto inizio erano poco più che bambini, la loro mamma.

Torniamo quindi indietro di 49 anni. Una giovane donna si sottopone ad un intervento di mastectomia bilaterale per un sospetto tumore alla mammella all'ospedale di Cagliari. Sta ricoverata per un mese, durante il quale riceve alcune trasfusioni di emoderivati.

Arriviamo al 1994. La famiglia, nel frattempo, si è trasferita in provincia di Cuneo. In quell'anno la signora, all'esito di alcuni accertamenti presso l'ospedale Le Molinette di Torino, risulta positiva all'epatite C con diagnosi di epatite cronica con conseguente infezione da trasfusioni.

La famiglia decide di avviare un procedimento contro il Ministero della Salute che, effettivamente, riconosce la consequenzialità cronologica e clinica tra le trasfusioni ricevute e l'insorgenza della malattia ma, rileva, il plasma nel 1975 "non era testato per l'epatite C". Questo virus non era ancora codificato, per cui non era possibile individuarlo.

Ma la famiglia non si ferma: sebbene il virus dell'epatite C sia stato isolato e identificato solo nel 1989, il Ministero della Salute era tenuto a vigilare e controllare sull'attività di raccolta e distribuzione del plasma e sull'idoneità dello stesso ad essere oggetto di trasfusione.

Inoltre, come verrà rilevato in sede di perizia, fin dalla fine degli anni '50 era nota l'esistenza di una forma di epatite virale post-trasfusionale non dovuta né al virus dell'epatite B (noto dal 1965) né al virus dell'epatite A (noto dal 1973). Ed era altresì noto come i donatori di sangue con enzimi di funzionalità epatica alterati erano portatori di rischi di epatiti post-trasfusionali.

Insomma, dell'epatite C non si conosceva il nome ma si sapeva che non era né l'epatite A né quella B (già note) e, comunque, già all'epoca si riusciva ad identificare un soggetto donatore con valori epatici non compatibili con la donazione. 

Tra istanze di indennizzo, respingimenti, ricorsi, impugnazioni e richieste di prescrizione, la vicenda prosegue.

Fino ad ottobre 2024, quando si arriva ad accertare la responsabilità del Ministero della Salute e a quantificare il danno subito dai congiunti della vittima.

Un danno da "lucida agonia", quello vissuto dalla donna che, giorno dopo giorno, per tanti anni, è stata consapevole del suo drammatico decorso; un danno che ha causato enorme sofferenza ai famigliari, un'alterazione della vita di relazione che va oltre il danno meramente patrimoniale.

La sentenza, pronunciata dal Tribunale ordinario di Torino, ha disposto il risarcimento, a favore del marito e dei due figli, ora adulti, di un milione e 170 mila euro. 

L'avvocata Masante ha evidenziato come sia stata una causa molto particolare, con un esito per nulla scontato. "Esprimo anche a nome dei miei assistiti la soddisfazione per la sentenza - ha commentato. Pur non potendo in alcun modo ristorarli delle enormi sofferenze patite, ha accertato la responsabilità del Ministero della Salute per omessa vigilanza adeguata in ordine alla raccolta del sangue e per non aver impartito idonee direttive onde evitare il contagio da HCV subito dalla loro congiunta e che ne ha causato, dopo un calvario di oltre vent'anni, il decesso".

Barbara Simonelli

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