Se scrivere è spesso un modo per arrivare alla conoscenza di sé, per cercare un significato nel proprio vissuto scovandovi sedimenti di senso, questo esercizio assume una valenza degna di ascolto quando a farlo è il protagonista di una vicenda che, per portata e gravità, ha pesato come un macigno sulla sua intera esistenza.
"Non avevamo ben capito, io e Teo, che cosa ci avesse spinto alla follia omicida, ma ne parlavamo spesso, cercando di far luce sul perché, a 15 anni, quel raptus avesse spinto noi, che violenti non eravamo mai stati, a commettere un atto nel genere. Tempo ne avremmo avuto per pensare".
A firmare queste parole, con lo pseudonimo di Ulisse, è il protagonista di una vicenda realmente accaduta. Un grave fatto di cronaca che grande scalpore destò nella sonnacchiosa provincia di Cuneo sul finire del febbraio 1983.
Un fatto ovviamente ripreso nelle cronache del tempo e che ora, quasi quarant’anni dopo, rivive sullo sfondo delle 184 pagine di "Nemmeno mai è per sempre. Lettere 'abbandonate' al Ferrante Aporti di Torino", volume che uno dei protagonisti di quella nera pagina ha voluto dare alle stampe al termine di una genesi lunga e sofferta, raccogliendovi memorie, scritti e immagini ora riemerse dal decennio che a quei fatti sarebbe seguito.
Nove anni e mezzo, tale fu la pena detentiva decisa per i due autori del fatto dal Tribunale dei Minori di Torino (una condanna "mite", riportarono i quotidiani, il minimo della pena grazie alla considerazione che venne fatta in ragione della giovanissima età della coppia, come anche del particolare contesto nel quale il delitto era maturato) trascorsi dietro le sbarre delle carceri minorili torinesi in una stagione anch’essa degna di nota, pure lei consegnata a un passato che oggi merita ricordare.
Anni nei quali, grazie alla buona volontà di alcuni benemeriti – dall’allora sindaco di Torino Diego Novelli, che promosse il Progetto Ferrante Aporti dicendo che "non si può trasformare Torino in un lager", ai volontari che ne furono artefici, alcuni dei quali hanno anche partecipato a questa stesura –, per una memorabile stagione la città si ricordò degli ultimi, si aprì a loro, provò a offrirgli un futuro nelle forme di un lavoro cui avviarli, con laboratori di ceramica, di falegnameria, di tessitura, di panificazione. Ma anche con la scoperta della bellezza, gli incontri con personaggi della cultura, il teatro, la musica e l’arte.
Cosicché quegli spazi poterono rappresentare un’occasione di riscatto, un salvagente lanciato verso chi aveva avuto la sventura di finirvi recluso. Una seconda possibilità che Ulisse colse pienamente gettando le basi del suo riscatto.
"La vittima del delitto non deve essere dimenticata, in tutto ciò – premette Marco Accossato, il giornalista de "La Stampa" che ha curato il volume -. Ma questo libro può aiutare a capire il perché. Non giustificare, perché Ulisse non ha mai cercato alibi. Nè si è sottratto al giudizio e alla pena. Però queste pagine vanno lette oltre l’autobiografia, perché aiutano a capire come si possa arrivare a tanto. Soprattutto a quindici anni. Dando voce a tutti quei ragazzi più o meno coetanei in carcere che non hanno trovato come Ulisse le parole per guidarci oltre la cronaca. Ulisse scrive anche per tutti loro".
"Sospendete il giudizio – chiede allora Accossato –. Cominciate a leggere, ad esempio, la storia del giovane che all’età di quattro anni viveva sentendo sparare per le scale e che a 13 ha compiuto la sua prima rapina con lo zio. Si può imparare qualcosa quando la vita comincia così? Quando nelle case ghetto si cresce con la paura di sbagliare e di essere condannati non dalla giustizia, ma da tuoi amici che vivono rapinando o rubando? (…) La società è corresponsabile di certi crimini. Non c’è forse responsabilità nelle scelte politiche che portano le persone a vivere ai margini della società?".
Quella varia umanità, quei giovani e giovanissimi, spesso appena bambini, che pagavano la colpa di provenire da un mondo ferino (che poco aveva a che fare con quello di Ulisse), improvvisamente diventano il suo quotidiano. Nascono amicizie, una condivisione profonda ("Dopo un po’ di tempo il Ferrante era diventato la mia famiglia"), l’aiuto reciproco e una solidarietà che sarebbe durata anche fuori, anche dopo, per chi c’è ancora, per chi ce l’ha fatta.
"Mio padre e mia madre mi hanno salvato, non hanno mai mollato. Loro… i ragazzi non le avevano due persone così speciali vicino", scrive oggi Ulisse, mentre il suo pensiero va a quegli stessi genitori intanto perduti, al senso di colpa per il male provocato loro ("Causare dolore è come un mostro che si risveglia") e a quei compagni di sventura, quei ragazzi per i quali lui, novello Cyrano, scriveva le lettere dal carcere. "Lo Zingaro era al Ferrante Aporti da un paio d’anni. Già sposato, ma c’era un’altra ragazza del suo accampamento che gli scriveva sovente. Non sapeva né leggere né scrivere e sapendo che io avevo frequentato le scuole superiori mi chiese di scrivere per lui. La voce si sparse in poco tempo, mai avrei immaginato che fossero così tanti a non saper scrivere".
Parole che fanno pensare. Che ci interrogano sul nostro potere di incidere sui percorsi della vita, della nostra e degli altri. Sul senso di una società che, insieme al Progetto Ferrante Aporti, ha perso la sua capacità di guardarli negli occhi, quegli ultimi. Di perdonare Caino, comprenderlo, offrirgli una seconda possibilità.
"Adesso Ulisse può finalmente far pace con sé e col suo senso di colpa", scrive Accossato guardando al quel ragazzo divenuto uomo, cui le sofferenze inferte e subite hanno insegnato a riconoscere quello che davvero conta, e che oggi lo trasmette ai suoi figli con l’amore di un padre modello. "Il demone è sconfitto. E’ tornato quel 'ragazzo gentile e buono' che tante delle lettere spedite in carcere descrivevano, aspettando l’ultimo giorno al Ferrante Aporti. 'Ti riempie il cuore sapere che qualcuno ti aspetta', mi ha ripetuto tante volte Ulisse raccontando quegli anni. Sempre infinitamente grato alla sua famiglia 'senza la quale non ce l’avrei mai fatta'. Nemmeno 'mai' è per sempre. Ulisse si è ripreso la vita".
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"Nemmeno mai è per sempre. Lettere 'abbandonate' al Ferrante Aporti di Torino".
di Marco Accossato. Contributi di Claudio Renzetti, Renato Giuliani, Fabio Maria Francescatti, Maria Minniti, Roberto Revello, Ileana Visigalli.
184 pagine - Prezzo di copertina 9.90 euro.
In vendita su Amazon anche a in formato e-book (a 7 euro) e da metà settimana presso la Libreria La Torre.
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