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Alba | 14 settembre 2025, 07:55

Schegge di luce: pensieri sui Vangeli festivi di monsignor Massimo Camisasca

Commento al Vangelo del 14 settembre 2025, Esaltazione della Santa Croce

In foto Cristo crocifisso, chiesa dei Battuti Bianchi, a Bra

In foto Cristo crocifisso, chiesa dei Battuti Bianchi, a Bra

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,13-17).

Oggi, 14 settembre 2025, la Chiesa celebra la festa dell’Esaltazione della Santa Croce (Anno C, colore liturgico rosso).

A commentare il Vangelo della Santa Messa è monsignor Massimo Camisasca, vescovo emerito della diocesi di Reggio Emilia Guastalla.

Amore, vita, valori, spiritualità sono racchiusi nella sua riflessione per “Schegge di luce, pensieri sui Vangeli festivi”, una rubrica che vuole essere una tenera carezza per tutte le anime in questa valle di esilio. Pensieri e parole per accendere le ragioni della speranza che è in noi.

Eccolo, il commento.

Quest’oggi le mie parole vorrebbero soltanto aiutare il silenzio e la preghiera. Tanto grande è ciò che abbiamo davanti, tanto superiore ai nostri concetti e ai nostri sentimenti, tanto dolorosa è la Passione e la morte dell’innocente, del Figlio di Dio fatto uomo, che ad essa si addice soltanto lo sguardo partecipe, pieno di adorazione e di supplica.

Il primo nostro dovere è quello di guardare. Guardare al Crocifisso. «Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me» (Gv 12,32), ha detto Gesù nell’imminenza della sua Passione, citando un celebre episodio del Libro dei Numeri (cf. Nm 21,8-9). Il nostro sguardo distratto e occupato da mille immagini ha bisogno di tempo per concentrarsi con frutto sul Crocifisso. In un primo momento, forse, esso potrebbe sembrarci soltanto una realtà che incute paura, tanto è l’obbrobrio esercitato su quel corpo. Oppure commiserazione, pena, pietà. Certamente la pena è una strada importante per arrivare al Crocifisso. Ma essa non è sufficiente. Possiamo provare pena, e giustamente, per i tanti e tanti dolori, per le tante prove che toccano gli uomini e le donne del mondo. Ma qui si tratta di un uomo innocente che ha preso su di sé, come dice il profeta Isaia, tutti i nostri errori, i nostri peccati, le nostre ferite e le nostre debolezze (cf. Is 53,4-5). Gesù Cristo, morendo inchiodato sulla croce, ha vinto e cancellato il peccato degli uomini. In questo modo ci ha portati e continuamente ci riporta, attraverso la potenza dei sacramenti, alla freschezza e all’innocenza del giorno della nostra creazione e del nostro battesimo. L’Eucaristia e il sacramento della Penitenza rendono attuale in ogni luogo e in ogni tempo la morte e la Risurrezione di Gesù.

Guardare al Crocifisso allora significa non solo immedesimarsi con il suo dolore – questo sarà piuttosto un movimento successivo – quanto piuttosto aprire il nostro cuore, stupito e grato, all’immensità del suo amore, della sua carità. Guardando il crocifisso, ci possono essere di grande aiuto le parole di Paolo: «Ha amato me e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). Certamente Gesù ha dato la vita per tutti gli uomini e tutte le donne di tutti i tempi. Tra questi, ci sono anch’io. Egli sulla croce pensava anche a me. Attraverso i doni del battesimo e della fede, Gesù vuole costruire un’amicizia con ciascuno di noi, singolarmente preso. E ogni storia è diversa. Egli ci ha in mente uno per uno. Tutto il suo dolore, le sue sofferenze e il suo amore, sono un dono che egli fa direttamente a me. L’amore umano, e ancor più l’amore divino, ha la capacità di distribuirsi e di raggiungere tanti, senza mai diminuire, anzi con sempre nuova intensità e con la stessa passione.

Un’altra strada importante per andare con commozione grata verso il crocifisso è la Sacra Scrittura. Qui sono contenute le parole di Gesù. Certo, Dio comunica a noi in tanti modi, ma la Scrittura resta sempre una strada privilegiata per ascoltarlo parlare. I profeti, e in particolare Isaia, hanno preannunciato molti aspetti della Passione e del sacrificio espiatorio di Gesù. I Vangeli ci raccontano questi fatti. San Paolo e gli altri autori del Nuovo Testamento riflettono continuamente su questi temi, vero e unico fondamento della nostra fede. Apriamo con gioia e gratitudine il libro della Parola di Dio, frequentiamola insieme, lasciamoci introdurre ad essa da coloro che la amano e la conoscono maggiormente. Leggendo e rileggendo i testi che la Chiesa considera ispirati, Parola di Dio stesso, riusciremo a comprendere sempre più le dimensioni dell’amore e del sacrificio di Cristo per noi. E di conseguenza riceveremo in dono tanta forza e tanta luce per abbracciare le nostre croci quotidiane, per entrare nelle sofferenze e nelle prove che sono chieste a ciascuno di noi.

Guardare al Crocifisso significa inoltre imparare l’adorazione, e cioè la distanza infinita che esiste fra Dio e noi, colmata da Lui con la sua discesa sulla terra, col suo curvarsi sulla nostra umanità, con la sua sete di noi. L’adorazione della croce, così come l’adorazione eucaristica, è la scuola privilegiata di tutte queste grazie. Qui impariamo il silenzio, l’inermità di Dio, e allo stesso tempo la sua potenza luminosa e attrattiva. Impariamo il suo indefettibile desiderio di essere presente in tutti i luoghi della nostra vita e di attirarci a sé, non con la forza dell’imposizione, ma con la trasparenza della sua vita, con il fascino della sua umanità.

L’adorazione della croce faccia fiorire in noi il desiderio di amare Cristo, di conoscerlo meglio, di riceverlo nell’Eucaristia, per essere trasformati dalle innumerevoli grazie che egli non si stanca mai di donare ai suoi figli.

Silvia Gullino

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