Il 6 agosto è un giorno che non sarà mai dimenticato a Hiroshima e in tutto il mondo. Alle ore 8.15 del 6 agosto 1945, sganciata dal bombardiere americano Enola Gay, si accendeva la prima atomica della storia, Little Boy: 140mila morti in 5 mesi e 350mila feriti.
Tre giorni dopo fu colpita Nagasaki e si contarono altre 70mila vittime. Due città del Giappone cancellate in un lampo, un’umanità che da allora vive con la consapevolezza di poter premere il pulsante sbagliato.
Il Caffè letterario di Bra ricorda quell’atroce serie di eventi con la speranza di scuotere le coscienze sulle piaghe belliche che ancora affliggono il nostro mondo. Lo fa con l’arte del pittore braidese Franco Gotta, che ha finito per simboleggiare Hiroshima sulla tela. La sua opera sul fungo atomico, invita a schierarsi contro le armi nucleari. Scegliendo la pace come soluzione a ogni controversia tra le nazioni.
Sull’apocalisse nucleare riflette anche lo scrittore torinese Fabrizio Caramagna con un aforisma: «Il passaggio dalla pietra appuntita alla freccia si chiama progresso. Il passaggio dalla spada alla bomba atomica si chiama follia».
Oggi, a distanza di 80 anni, il ricordo di Hiroshima non è solo un anniversario, è una ferita che brucia ancora e una domanda sospesa: abbiamo imparato la lezione?













