Riproponiamo qui uno degli articoli più letti della settimana, uscito mercoledì 16 luglio.
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P.G.A. e B.D., due cinquantenni, torinesi ma residenti nel Cuneese, erano accusati di truffa davanti al Tribunale di Cuneo.
Secondo la ricostruzione della Procura, i due imputati, dopo aver procacciato alcuni clienti per la ditta di impianti di sicurezza per cui lavoravano e aver stipulato con loro alcuni contratti che prevedevano la loro installazione e manutenzione per cinque anni, avrebbero finto alcuni interventi di sostituzione dei componenti facendosi pagare somme di denaro che in realtà non gli sarebbero spettate.
Ma secondo il giudice, che ha condannato solo uno dei imputati, il truffatore sarebbe stato solo B.D., mentre P.G.A. sarebbe risultato estraneo ai fatti. B.D. è stato infatti condannato a due anni e sei mesi di reclusione più 600 euro di multa, mentre G.P.A. è stato assolto per non aver commesso il fatto.
Vittime del raggiro, alcune persone molto anziane, tra cui un signore di Magliano Alpi. Il procedimento, infatti, nacque proprio in seguito alla presentazione della denuncia da parte di sua nipote dopo che aveva scoperto sul conto dello zio alcuni ammanchi per 10.480 euro riferiti a interventi, non dovuti, avvenuti fra il 2019 e il 2020.
Dopo che l’anziano fu ricoverato in ospedale, la nipote scoprì che la banca aveva rifiutato due assegni scoperti da 1.500 euro l’uno, da lui depositati. Chiesto chiarimenti, lo zio le aveva spiegato che in aggiunta al suo antifurto, B.D. gli aveva venduto anche un sistema di videosorveglianza ma che, dopo averci ripensato, il venditore gli restituì il denaro con due assegni scoperti.
E in effetti, a casa dello zio la nipote trovò in una cartellina le fatture della ditta di impianti di sicurezza, che la insospettirono e la convinsero a rivolgersi alla Polizia. Attraverso le indagini, si scoprì che le fatture erano state emesse su carta intestata alla azienda Psp Security di Cardè, ma che la numerazione non corrispondeva.
Presente in aula, il titolare della ditta riferì di aver subito sospeso la collaborazione con B.D. non appena venne a sapere dell’indagine in corso. L’uomo aggiunse anche che i due imputati si occupavano di vendita e rinnovo contratti, mentre della manutenzione si occupava un altro impiegato.
“A insospettirmi - spiegò la nipote in aula - era stato anche il fatto che in uno degli assegni la causale riportasse ‘aggiornamento ardware’, scritto senza la h”. Difficile pensare a un errore del genere da parte di un’azienda del settore”. Il maglianese, come confermato dal sovrintendente della Squadra Mobile Lucio Simon, “continuava a pagare somme non dovute con la scusa delle manutenzioni all’impianto”.
A D.B. erano state sequestrate, in una perquisizione, copie di fatture ritenute “poco attendibili” e riconducibili ad altri due anziani: un signore di Borgo San Dalmazzo e una signora di Caraglio. In totale si parla di una cifra poco al di sotto di centomila euro, sommando insieme gli 80mila pagati dalla caragliese, gli oltre diecimila del maglianese e i circa 4.500 euro che l’anziano borgarino afferma di aver pagato.
"Si tratta in tutti e tre i casi di soggetti fragili”, ha detto nella requisitoria il pubblico ministero, che aveva chiesto la condanna per entrambi gli imputati: 3 anni e sei mesi per D.B. e a 2 anni e 4 mesi per G.P.A.: “Sono soggetti che operavano sullo stesso territorio entrambi come procacciatori d’affari - ha concluso -. tant’è che anche in occasione della perquisizione sono stati fermati insieme”.
Una conclusione, questa, che ha trovato in disaccordo entrambe le difese. Quella di D.B. ha infatti sostenuto si trattasse di “di prestazioni di servizi effettivamente avvenute e senza che vi fosse data prova di una condotta tale da falsare il percorso volitivo delle persone offese: i lavori non erano mai contestuali”.
Per il legale di G.P.A., indicativo il fatto che a casa sua non fossero mai state trovate fatture false: “Esercita questa attività da 25 anni - ha concluso- a tutt’oggi è un soggetto incensurato”.













