Siete superstiziosi? Allora oggi si prospetta una giornata molto lunga in cui ci sarà da toccare ferro. In calendario c’è infatti venerdì 13, data che, per alcuni, porterebbe sfortuna, proprio come camminare sotto una scala, attraversare la strada con un gatto nero che passa davanti o rompere uno specchio.
Tutta colpa del 12, pare: siccome questo numero è da sempre molto amato, considerato beneaugurante e simbolico (12 sono i mesi, i segni zodiacali, gli apostoli, è facilmente divisibile…), quello che viene subito dopo è visto con diffidenza.
La paura del numero 13, detta triscaidecafobia, in particolare nella cadenza settimanale del venerdì, si è diffusa in tutto il mondo già da secoli, insieme a quella per il 17.
Lo storico del folklore Donald E. Dossey ha coniato il termine parascevedecatriafobia per descrivere la paura di questo giorno, che si presenta ogni anno due, o al massimo tre volte. Chi ne soffre, potrà rilassarsi solo per qualche mese, visto che si replica il prossimo 13 dicembre.
Ma da dove nasce questa convinzione così irrazionale? Vediamo di scoprire qualcosa in più.
Le origini del numero sfortunato
L’associazione tra il numero 13 e la sfortuna risalirebbe alle antiche concezioni astrologiche assiro-babilonesi, dove il 12 era numero sacro, perché facilmente divisibile. Anche le culture occidentali hanno storicamente associato il numero 12 alla completezza (ci sono 12 giorni di Natale, 12 mesi e segni zodiacali, 12 fatiche di Ercole, 12 divinità dell’Olimpo e 12 tribù di Israele, solo per fare alcuni esempi). E proprio il fatto che il 13 venga dopo il 12 avrebbe assicurato a questo numero la fama di porta sfortuna.
Persino l’antico Codice di Hammurabi avrebbe omesso una tredicesima legge dal suo elenco di norme giuridiche. Sebbene questo sia stato probabilmente un errore materiale, le persone superstiziose a volte lo indicano come prova delle associazioni negative di lunga data del 13.
E ancora lo storico greco Diodoro Siculo (I secolo a. C.) scrive che Filippo II (IV secolo a. C.), re di Macedonia e padre di Alessandro Magno, fu ucciso da una sua guardia del corpo dopo aver fatto mettere una propria statua accanto a quelle delle 12 divinità dell’Olimpo (la morte sarebbe stata la conseguenza di questo “sgarro” agli dei).
Stesso principio nella mitologia scandinava: c’erano 12 semidei e poi arrivò il tredicesimo, Loki, perfido e crudele.
Altri legano la superstizione al fatto che c’erano 13 persone all’Ultima Cena di Cristo e il tredicesimo era Giuda, il traditore, mentre il venerdì Gesù fu crocifisso. A tutt’oggi nessuno ama sedersi a tavola in 13...
Gli episodi accaduti venerdì 13
Partiamo da un celebre precedente storico: venerdì 13 ottobre 1307 il re Filippo IV il Bello sferrò il suo attacco ai Templari, un potente ordine religioso e militare formatosi nel XII secolo per la difesa della Terra Santa. Inviò contemporaneamente messaggi sigillati a tutti i balivi, siniscalchi e soldati del regno di Francia, ordinando l’arresto dei monaci guerrieri per impadronirsi delle immense ricchezze dell’ordine. Finirono quasi tutti torturati e messi al rogo, anche se il loro tesoro non è mai stato trovato.
In tempi più recenti, venerdì 13 si sono verificati numerosi eventi traumatici, tra cui il bombardamento tedesco di Buckingham Palace (settembre 1940); l’assassinio di Kitty Genovese nel Queens, New York (marzo 1964); un ciclone che ha ucciso più di 300mila persone in Bangladesh (novembre 1970); la scomparsa di un aereo dell’aeronautica militare cilena sulle Ande (ottobre 1972); la morte del rapper Tupac Shakur (settembre 1996) e lo schianto della nave da crociera Costa Concordia al largo delle coste italiane, in cui persero la vita 30 persone (gennaio 2012).
Venerdì 13 nella cultura pop
Una tappa importante nella storia della leggenda del venerdì 13 (non solo del numero 13) si ebbe nel 1907, con la pubblicazione del romanzo Venerdì Tredicesimo, scritto da Thomas William Lawson. Il libro raccontava la storia di un agente di cambio di New York City che gioca con le superstizioni sulla data per creare il caos a Wall Street e fare fortuna sul mercato.
Negli anni ‘80 è diventato anche il titolo di un cult della cinematografia horror: Friday 13th. Il film racconta la storia di Jason, il serial killer famoso per la sua maschera da hockey e dei suoi omicidi, che avvengono ovviamente di venerdì 13. Il film diretto da Sean S. Cunningham, ha generato 9 sequel, uno spin-off e un reboot, per un totale, quindi, di 12 pellicole, più un serial tv, oltre a fumetti, novelle, videogiochi, merchandising correlato e innumerevoli terrificanti costumi di Halloween.
Nel mondo di oggi, sono rimaste alcune analogie con il passato: capita per esempio di non trovare il numero 13 nei corridoi, in ascensore o nelle file dei passeggeri negli aerei.
Il calendario dei giorni nefasti
Quanto al venerdì, forse è considerato infausto, perché Cristo fu crocifisso e dunque morì in quel giorno.
Per alcuni studiosi, invece, è infausto perché è il giorno in cui Adamo ed Eva mangiarono il frutto proibito dell’Albero della Conoscenza, così come il giorno in cui Caino uccise suo fratello Abele. Senza contare che il tredici è associato alla rivolta di Lucifero.
La distinzione tra giorni positivi e negativi era già nota alla tradizione romana, dove si distingueva fra dies fasti (in cui si poteva amministrare la giustizia) e nefasti. Il martedì era “sfortunato” tra i romani, perché dedicato a Marte, dio della discordia. Allo stesso modo, si credeva che i figli concepiti di venerdì avrebbero avuto una vita difficile e che gli anni bisestili che cominciavano in questo giorno sarebbero stati catastrofici.
Paese che vai, usanza che trovi, per cui se nei paesi di lingua inglese, francese o portoghese, ma anche in Germania, Finlandia, Olanda, Belgio, Polonia, Danimarca, Svezia, Norvegia il giorno più temuto è il venerdì, nei paesi latini si incrociano le dita per il martedì. In Italia, nel dubbio, si sospetta di entrambi. Come dice il proverbio: «Né di Venere, né di Marte, né si sposa né si parte, né si dà partito all’arte».
Una versione alternativa
Esiste anche un’accezione positiva sia del venerdì che del numero 13. In epoca pagana, in particolare nella mitologia norrena, quel giorno della settimana era associato con la dea Frigg, simbolo di amore, matrimonio e fecondità. Il numero era considerato fortunato per il suo legame con i cicli lunari e mestruali nell’arco di un anno solare, a sottolineare l’importanza della fertilità per quei popoli.
Quando il cristianesimo acquistò autorità durante il Medioevo, tutte queste credenze furono condannate, così come il venerdì e il 13. Invece nella cabala ebraica il 17 è la somma di têt (9), waw (6) e bêth (2) che portano alla parola tôv “buono, bene”.
In Italia l’atteggiamento è ambiguo: in alcuni casi, come a tavola, il 13 è considerato “pericoloso”, ma in altre occasioni ha un significato propizio: “fare tredici” è sinonimo di avere un grosso colpo di fortuna, perché nel gioco del Totocalcio, fino agli anni ‘90 era il massimo punteggio possibile.
Non ci sono casi di Parascevedecatriafobia in molti Paesi dell’Asia orientale, in cui il 13 è considerato fortunato o addirittura ci sono celebrità che lo ritengono responsabile della propria fama. La cantante americana Taylor Swift, che per molto tempo si disegnava “13” sulla mano prima dei suoi concerti, riconosce uno stretto collegamento tra la sua vita (è nata il 13 dicembre 1989) e il numero. Di certo a lei ha portato fortuna, visto che è una delle artiste più ascoltate al mondo.
Differenze e somiglianze con venerdì 17
Se venerdì 13 è tanto odiato, lo è altrettanto il 17. La paura per quel numero si chiama eptacaidecafobia e trova le sue origini nell’antica Roma. La cifra alla maniera dei centurioni si scrive XVII, ma il suo anagramma forma la parola VIXI (vissi), utilizzato sulle tombe per dire «Sono morto».
Come per il 13, esistono dei legami con la cultura pagana, infatti il 17 dicembre e il 17 febbraio corrispondevano in quell’epoca all’inizio della Saturnalia e della Quirinalia, poi cancellate con l’avvento del cristianesimo. La sfortuna legata al numero è stata ripresa anche dalla smorfia napoletana, in cui rappresenta “a disgrazia” e già in Grecia il numero non era amato dai matematici, perché intermedio a 16 e 18, perfetti nello studio dei quadrilateri.
Antidoti alla sfortuna
Si sa, a Napoli tutti temono la sfortuna ed è per questo che in Vico del Fico al Purgatorio (noto per l’episodio “Il professore” del film L’oro di Napoli del 1954, il nome del vicolo farebbe riferimento alla presenza di alberi del fico a Napoli e all’amore dei napoletani per questo frutto), si trova un’opera di Lello Esposito che rappresenta la testa di Pulcinella. Si tratta di una statua in bronzo e osservandola bene capirete subito cosa dovete toccare. Il suo naso luccica per il grande successo che ha avuto tra i napoletani e i turisti che spesso passano di qui in cerca di un po’ di fortuna, un po’ come Giulietta a Verona, i genitali del toro a Torino o il porcellino a Firenze per intenderci.
Continuiamo a parlare di fortuna, o meglio di antisfiga. Proprio davanti alla statua di Pulcinella, in via dei Tribunali 39, sorge il complesso di Santa Maria delle Anime del Purgatorio del 1604, chiamata anche la chiesa de “e cape e morte”, perché dedicata al culto delle “anime pezzentelle” (un antico culto che consisteva nell’adottare un teschio, ripulirlo, porlo in un altarino e pregare per lui per agevolargli il passaggio dal Purgatorio alla Salvezza in cambio di protezione. Davanti alla chiesa ci sono tre teschi lucidi che riflettono la luce del sole. Beh, quelle sono le capuzzelle antisfiga e dietro di loro si nasconde una leggenda.
La storia narra che nell’anno 1900 un uomo, promesso sposo ad una ricca ereditiera, andava per tutta la città, invitando chiunque al proprio matrimonio. Arrivato davanti al Complesso Museale Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, trovò tre teschi e negli occhi di uno di loro infilò il suo bastone dicendo: «Anche tu sarai invitato al mio matrimonio», dopo di che l’uomo continuò a passeggiare e invitare chiunque. Finalmente il gran giorno arrivò e, poco dopo l’uscita dalla chiesa, una figura con un mantello e il volto coperto si avvicinò allo sposo, gli mise la mano sulla spalla e lui morì d’infarto. Da quel momento in poi, chiunque passi per la zona ha l’abitudine di accarezzare le capuzzelle, se non vuole che la sfortuna lo colpisca, perché come diceva Eduardo De Filippo: «Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male».
E voi, resterete chiusi in casa o affronterete la sorte (e le superstizioni)?