Meglio di qualsiasi serie tv, l’opera lirica da secoli racconta storie di passioni infuocate, tesse trame audaci, equivoci, scandali, colpi di scena, descrive in musica le emozioni che più ci rendono umani.
Non hanno tutte un lieto fine, ad essere sinceri. Ma le più grandi storie d’amore non sono forse così anche nella vita vera? Complicate, passionali, struggenti, indimenticabili? La Traviata, Rigoletto, Carmen, Aida raccontano relazioni che somigliano alle nostre, piene di speranze, di palpitazioni, di addii e di ritorni.
Lo sa bene Alessandro Mormile, critico ed esperto musicale, da sempre appassionato sul tema, tanto da aver scritto persino un libro. Con “Opéra de Monte-Carlo” (LiberFaber) il giornalista torinese ci permette di curiosare dietro le quinte dei grandi spettacoli, la preparazione degli artisti prima di andare in scena e sbirciare l’eleganza degli ospiti nel foyer.
Dalla sua inaugurazione avvenuta nel 1876, dopo una costruzione a tempo di record secondo il progetto di Charles Garnier, già architetto dell’Opéra di Parigi, il celebre teatro monegasco non ha mai smesso di incantare il proprio pubblico.
Il viaggio tra fregi e stucchi dorati è lungo e variegato. Si parte da Raoul Gunsbourg, nota personalità del mondo lirico della Belle Époque, che diede notevole vigore all’attività operistica monegasca. La sua lunga permanenza alla Salle Garnier, permise di creare quel corto circuito artistico che vide il palcoscenico ospitare importanti prime assolute e artisti fra i più insigni di quel tempo.
E voi, vi sentite più Carmen, gitana indipendente, o Cio-Cio-San, geisha che si tormenta per amore? Più Tosche gelose o indomite Aide? Scopritelo leggendo l’intervista.
Alessandro, com’è nata l’idea di scrivere un libro sull’opera?
«Da sempre desideravo scrivere degli anni trascorsi come spettatore e critico musicale all’Opéra di Monte-Carlo, teatro che ho sempre amato, carico di storia. I lunghi mesi del lockdown sono serviti per mettere giù le idee per realizzarlo. Devo un grazie all’amico e compositore Raffaele Montanaro, che mi ha spronato nel mettere a frutto la mia idea mettendomi in contato con Carlo Sonnino, della casa editrice LiberFaber del Principato di Monaco, che ha da subito creduto nel progetto e mi ha accompagnato con grande entusiasmo nel renderlo possibile, aiutandomi a non perdermi d’animo anche quando il sogno di stampare un’opera così poderosa sembrava presentarsi come difficile».
Che cosa troviamo dentro?
«Opéra de Monte-Carlo. Storia e ricordi di un teatro leggendario è un’opera strutturata in due volumi, riccamente illustrati. Il primo dedicato agli anni di mia personale frequentazione dell’Opéra di Montecarlo per assistere agli spettacoli, con ricordi e aneddoti; anni che hanno visto i mandati direttoriali illuminati di John Mordler e Jean-Louis Grinda. Il secondo volume è dedicato alla storia passata gloriosissima di un teatro che, soprattutto negli anni della Belle Époque, ha ospitato prime assolute e artisti leggendari, chiamati da Raoul Gunsbourg, impresario e compositore che ha guidato questo teatro, incredibile a dirsi, per oltre cinquant’anni».
Cecilia Bartoli è la prima donna direttrice dell’Opéra di Montecarlo. Ha, inoltre, la possibilità di proseguire come cantante lirica da 5 Grammy Awards e dal record di 12 milioni di dischi venduti. Che ne pensi di questa scelta?
«Innanzitutto la ringrazio, perché mi ha fatto l’onore di aprire i due volumi con una introduzione da lei stessa firmata, nella quale spiega assai bene quanto per lei sia importante raccogliere l’eredità storico-artistica di un teatro dal passato così prestigioso. Sono certo che saprà dirigere l’Opéra di Monte-Carlo con l’entusiasmo che ha già caratterizzato la sua attività al Festival di Salisburgo, dove ha già lasciato il segno del suo operato manageriale».
Nel libro sono importanti gli incontri. Qual è l’incontro che ti è rimasto nel cuore?
«Quello con Margherita Wallmann, storica regista che firmò innumerevoli spettacoli al Teatro alla Scala passati alla storia, fra i quali Medea di Cherubini o Norma di Bellini con protagonista Maria Callas. La incontrai nei primi anni che frequentavo il teatro monegasco; lei, ormai anziana, firmava la regia di un’opera di Donizetti, Il campanello, con splendide scene del pittore Salvatore Fiume. Mi fu presentata da Patricia Panton, allora casting manager del teatro. Era minuta, ormai piegata dagli anni, ma con me, che allora ero giovanissimo, fu gentile e garbata».
Un aneddoto o un ricordo su l’Opéra di Monte-Carlo?
«I ricordi più belli sono i colloqui costruttivi avuti con i direttori che hanno reso grande il teatro del Principato di Monaco in questi ultimi trenta anni: John Mordler e Jean-Louis Grinda, direttori che amano il teatro musicale e hanno saputo, ciascuno a suo modo, rendere onore all’alta tradizione dell’Opéra di Monte-Carlo. Loro mi hanno insegnato ad amarlo, dimostrando, anche, come di un teatro, per essere ben condotto, si debba conoscere la sua storia passata. Così vale anche per Eline De Kat, casting manager del teatro da tanti anni e donna di rara eleganza, per me un punto di riferimento di questo teatro. Ricordi di relazioni umane ed insieme di arricchimento artistico».
Dacci 3 motivi per leggere l’Opéra de Monte-Carlo.
«Primo perché è un libro bello, ben fatto e gradevole da sfogliare per le belle immagini che lo corredano, a colori e storiche. Secondo, perché credo sia un libro in cui la storia viene narrata con precisione ma senza pedanteria, tanto che lo si legge come fosse un romanzo. Terzo, perché è un modo per conoscere meglio il Principato di Monaco, che non è solo luogo del lusso e dei tavoli da gioco, ma anche di cultura».
La musica classica e l’opera solitamente hanno un pubblico d’élite, come si può sfatare questo tabù?
«Lo si potrà sfatare quando l’opera comincerà ad assumere una fisionomia più sobria, meno proiettata sul sensazionalismo del teatro di regia, per me il vero motivo per il quale l’opera lirica si è nel tempo allontanata dalla gente e dal pubblico. Non è poi assolutamente vero che queste regie servono ad avvicinare i giovani al mondo dell’opera. Questa è l’idea, falsa, di una limitata cerchia di critici annoiati e snob».
Che cosa abbiamo perso del teatro del passato?
«Abbiamo perso i valori che lo hanno sempre sostanziato: l’attenzione per le voci e la popolarità che esse avevano negli anni ‘50 del ‘900».
Come vedi da esperto, la situazione dell’opera in Italia?
«Vedo tanti sprechi e poca attenzione a rendere sostenibile un sistema che è sempre in crisi».
Immagina di essere il Ministro dei Beni culturali: cosa faresti?
«Partire dal presupposto che l’opera lirica italiana è un bene culturale che è radice della nostra cultura e che va, quindi, difeso e fatto conoscere ed amare».
Cosa si potrebbe fare, secondo te, per portare i giovani a teatro?
«Insegnar loro ad amarlo fin dall’età scolare, perché il teatro porta a vivere e ad amare il bello della vita».
Come ti descriveresti in tre aggettivi?
«Malinconico e tendenzialmente anche pessimista ma, nella sostanza positivo, perché la vita è stupenda e vale assolutamente la pena di viverla».
Valzer di Strauss? Lo Schiaccianoci? Musica sacra? Che cosa ti piace di più?
«Assolutamente Lo Schiaccianoci, la cui musica di Ciaikovskij ha una magia per me unica, incantata».
Pensi meglio con la musica o nel silenzio?
«La musica mi ispira sensazioni che suscitano emozioni da riflettere e rimeditare nel silenzio».
Oltre all’opera, la musica e il teatro, di che cosa non potresti mai fare a meno?
«Di tutto ciò che la vita regala in termini di bellezza artistica, quindi anche l’arte».
Sei diventato ciò che sognavi di diventare da ragazzo?
«Credo, tutto sommato, di essere riuscito a coltivare la passione per l’opera lirica, facendola diventare da passione a oggetto di studio e, poi, di lavoro».
A chi devi dire grazie?
«Alla libertà che la mia famiglia mi ha lasciato nel scegliere il percorso di studi che ho intrapreso, sostenendomi e supportandomi sempre. Poi a Giorgio Gualerzi, al quale devo molto per la mia formazione di studioso di storia della vocalità e a Paolo Gallarati, insigne musicologo, con il quale mi sono laureato in Storia del Melodramma all’Università di Torino. A loro devo un grazie per avermi indicato i binari giusti da seguire per migliorare le mie conoscenze».
Viviamo tempi di crisi, si fanno tagli, molte famiglie faticano ad arrivare a fine mese. In questo contesto l’arte può aiutarci?
«L’arte è bellezza e non si può fare a meno di essa; aiuta anche a superare i momenti difficili. Oggi, poi, i mezzi di comunicazione offrono molte più occasioni di una volta per approfondire le nostre conoscenze in ambito artistico».
Consiglieresti ai giovani di dedicarsi all’arte in generale?
«È l’unico modo per aprire la loro mente e per renderla consapevole dinanzi al bello della vita e del vivere».
Hai ancora un sogno nel cassetto da realizzare?
«Il sogno è quello di continuare a fare quello che faccio, cioè a studiare, scrivere ed insegnare, impegnandomi nel farlo come ho sempre tentato di fare, al meglio delle mie possibilità».
Grazie Alessandro e in bocca al lupo per tutto.
Alessandro Mormile in pillole
Alessandro Mormile, laureato in “Storia del melodramma” all’Università di Torino, è critico musicale, giornalista e docente di Conservatorio. È componente dell’Associazione Nazionale Critici Musicali, per la quale è membro della giuria per l’assegnazione del “Premio Abbiati” e collaboratore per diverse testate specializzate, prima per la rivista L’Opera e, oggi, per il quotidiano online Connessi all’Opera.
Conferenziere e divulgatore musicale per diverse istituzioni, ha collaborato alla stesura di voci per dizionari ed enciclopedie. Tra le sue pubblicazioni, il libro Controtenori. La rinascita dei “nuovi angeli” nella prassi esecutiva dell’opera barocca (Zecchini Editore).