Il 4 novembre nel salone del Consiglio sono stati presentati gli Atti del Convegno “Cherasco 1915-1945. Trent’anni di guerra”, tenutosi ben due anni fa, organizzato dall’associazione “Cherasco cultura” e Istituto storico della Resistenza di Cuneo.
Oltre ai saggi di Michele Calandri, Marco Ruzzi e Adriana Muncinelli sulla seconda guerra mondiale, di Francesco Bonifacio-Gianzana sul CLN, di Attilio Iannello sull’agricoltura, di Barbara Davico sulla Grande guerra, il professor Livio Berardo si è dilungato su un tema “avvolto nelle nebbie della leggenda: il “tesoro” della 4a armata, di volta in volta messo all’origine delle fortune dei Ferrero o dei Farinetti”.
In realtà la vicenda tocca due questioni cruciali: lo sfacelo della 4a armata e la definizione di un comando militare per il CLN piemontese, alla cui guida sale per primo Operti, nato ad Alba da padre braidese, nominato in virtù del versamento di 200 milioni di franchi ed esonerato il 28 dicembre 1943 per le sue trattative con le autorità fasciste.
Subentra il generale Giuseppe Perotti, torinese, con moglie carrucese; a Carrù Operti aveva invece l’amica, che sposerà dopo la morte della moglie, allora sistemata a Bra in casa dell’avv. Barelli. Fucilato Perotti con i rappresentanti di Psi, Pci e PdAz il 5 aprile 1944 (catturati in duomo, diversamente dai delegati liberale e democristiano, da “miscredenti” non possono sostenere di essere entrati per pregare. Un palese tentativo di incrinare l’unità antifascista!), tocca al gen. Trabucchi, veneto di nascita, ma torinese di formazione, già capo di Stato maggiore della 4a armata.
I legami con il territorio sono riconfermati dal fatto che Operti ha scelto Alba come sede degli uffici dell’Intendenza. Qui fin dalla sera dell’8 settembre fa arrivare dai vari posti di cambio francesi casse e sacchi di franchi e lire. Poi ne distribuisce una parte fra gli ufficiali, ordina di portare via il grosso del denaro, ma sbaglia i conti e almeno 210 milioni che non stanno nelle botti coperte da uve (siamo nel mese della vendemmia) restano al santuario della Moretta. Se ne impadroniranno gli squadristi di Torino agli ordini del prefetto Zerbino. Quote della somma finiscono a chi in Alba ha fatto la spia, altre sono spartite fra le camicie nere.
Nella distribuzione di depositi fra Cherasco, Narzole, Carrù e Clavesana altri sacchi o cassette spariscono. Almeno 30 milioni sono sottratti dal cheraschese Ernesto Bernocco, alternativamente fornitore di armi abbandonate dalla 4a armata ai partigiani e spia del Comando tedesco di Cuneo o dei fascisti di Bra. Investe il denaro in una cascina fra Cuneo e Boves.
Viene arrestato dal comandante partigiano Andrea Spada, ma nei rastrellamenti tedeschi in valle Stura dell’agosto ’44 riesce a fuggire. Tornato a Torino, dove nel 1942 era stato assunto come impiegato comunale a ricompensa di una ferita riportata sul fronte greco-albanese, si unisce ai GL nell’assalto del Comando tedesco ospitato all’albergo Principe di Piemonte. Verrà smascherato qualche mese dopo da un partigiano di origini ungheresi, da lui fatto arrestare e deportare in Germania, sopravvissuto grazie alla sua forza fisica di ex campione di lotta.
Sarà condannato a 23 anni di carcere. Cheraschese è anche il capitano Maurizio Fracassi, rappresentante in zona del CLN regionale, delle formazioni autonome e al bisogno della Dc, il quale, dopo essersi erroneamente nel novembre 1943 affidato a Bernocco per il trasporto del denaro, gli dà la caccia per recuperare il maltolto, così come per incarico del gen. Raffaele Cadorna, comandante del CLN Alta Italia, rintraccia all’inizio del ’45 Operti per chiedergli di versare l’ingente somma ancora in suo possesso e sparso in più nascondigli.
L’ex intendente con pretesti vari si sottrae all’ordine. Continua a nascondersi, come ha fatto dal 12 settembre 1943 per non cadere in mano tedesca. Riappare il 7 maggio 1945 a Cuneo, a liberazione avvenuta. Versa all’ing. Toselli del CLN cittadino 320 milioni, di cui 310 in franchi. Carta straccia, perché Parigi ha mandato fuori corso il vecchio franco che si cambiava con quasi 3 lire e l’ha sostituito con un titolo del valore quasi doppio della lira. Le precedenti banconote non possono più essere convertite. La Banca d’Italia le manda al macero.
Il dopoguerra sarà una sequenza di processi davanti a Corti d’assise straordinarie, tribunali ordinari, tribunali militari e infine Corte dei conti per il danno erariale. Operti uscirà da tutte le prove indenne. Cadorna, primo capo di Stato maggiore dell’esercito della Repubblica italiana, nell’inchiesta sul comportamento degli alti ufficiali fra 8 settembre 1945 e liberazione, lo inserirà nella fascia di mezzo, cioè fra coloro il cui operato era stato ambiguo.
Ma il 1° febbraio 1947 Cadorna si dimette: i suoi tentativi di riformare l’esercito per adeguarlo all’art. 51 della Costituzione hanno cozzato contro un muro di gomma. Operti viene promosso a generale di Corpo d’armata e va in congedo con il massimo della pensione.











