Voce al diritto | 14 ottobre 2023, 07:45

Zitto e lavora!

Zitto e lavora!

“Egregio Avvocato,

ho sentito parlare di una recente sentenza che dice che il giudice può stabilire un salario minimo anche superiore a quello previsto dal contratto di lavoro. Credo di rientrare in questa categoria, vista la mia busta paga: può spiegarmi meglio la situazione?”

Gentile lettore,

nei giorni scorsi è stato dato ampio risalto, sui mezzi di informazione, a una sentenza della Corte di Cassazione, la n. 27713/2023 pubblicata il 2 ottobre 2023.

La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere su un'impugnazione proposta da un lavoratore contro una sentenza della Corte di Appello di Torino. La Corte torinese aveva respinto la domanda del predetto lavoratore, assunto part-time per trenta ore settimanali, che lamentava come la sua retribuzione fosse inadeguata rispetto all'opera prestata e chiedeva conseguentemente la condanna del datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive.

In particolare, il lavoratore evidenziava come il contratto collettivo nazionale a lui applicato prevedesse una retribuzione lorda, per un tempo pieno a quaranta ore, di appena € 817,13 mensili, come tale inferiore persino all'indice di povertà dell'Istat, che prevede una soglia di € 834,64 mensili, al di sotto della quale si è considerati in povertà assoluta. Dato che il lavoratore era un part-time a trenta ore, la sua retribuzione mensile, peraltro al lordo, era di soli € 612,86 mensili, al netto di straordinari e lavoro notturno.

La Corte di Appello di Torino, con motivazione discutibile, osservava tuttavia che la retribuzione del contratto collettivo nazionale fosse di poco al di sotto della soglia di povertà assoluta (per appena € 16,86) e fosse comunque conforme al contratto collettivo nazionale applicabile. Quindi, secondo i giudici torinesi, la retribuzione era adeguata.

La Corte di Cassazione critica fortemente la sentenza della Corte di Appello di Torino e, in conseguenza di ciò, la annulla.

La Cassazione richiama in primo luogo l'art. 36 della Costituzione, che afferma: "il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa".

La norma costituzionale garantisce in particolare due diritti al lavoratore: 1) quello ad una retribuzione proporzionata, in cui cioè vi è una “ragionevolmente commisurazione della propria ricompensa alla quantità e alla qualità dell’attività prestata” e 2) quello ad una retribuzione sufficiente, cioè “non inferiore agli standards minimi necessari per vivere una vita a misura d’uomo”.

Alla luce di questi principi, secondo la Corte di Cassazione, non basta affermare che la retribuzione (lorda) è prossima all'indice Istat di povertà assoluta, perché la retribuzione deve essere costituzionalmente proiettata a consentire una vita "libera e dignitosa e non solo non povera".

Neanche il fatto che la retribuzione sia conforme a un contratto collettivo nazionale è questione dirimente.

La sopra citata pronuncia della Corte di Cassazione n. 27723/2023, infatti, richiama una costante giurisprudenza, secondo cui si presume che la retribuzione prevista dal contratto collettivo sia conforme al parametro costituzionale, salvo prova contraria. Esiste quindi la possibilità, per il lavoratore, di dimostrare che quanto previsto dal contratto collettivo non è rispettoso della Costituzione e, se tale prova è raggiunta, il contratto collettivo viene disapplicato.

Il lavoratore deve quindi: a) dedurre la non conformità della retribuzione corrisposta dal datore rispetto all’art. 36 Cost., b) provare il lavoro svolto e l’entità della retribuzione e c) deve anche allegare dei parametri di raffronto, da cui si desume che la retribuzione non è consona rispetto all'opera prestata. A tal fine, secondo la Corte di Cassazione, possono essere utilizzati come parametri altri contratti collettivi, che prevedono retribuzioni migliori per mansioni analoghe, nonché indicatori economici e statistici.

Se il lavoratore assolve ai suddetti oneri di prova, spetta al Giudice valutare se la retribuzione del lavoratore sia conforme ai principi della Costituzione. Se così non fosse, il giudice deve disapplicare il contratto collettivo di riferimento e determinare la giusta retribuzione in base ad altri contratti collettivi e a indicatori economici e statistici.

Pertanto, caro lettore, se ritiene che la sua retribuzione, anche se conforme al contratto collettivo nazionale, non è rispettosa dei principi costituzionali espressi dall'art. 36 della Costituzione, può rivolgersi a un legale o a una rappresentanza sindacale, per fare valutare la sua situazione.

Avv. Filippo Testa


Voce al diritto a cura dell'Avv. Filippo Testa
Per qualsiasi domanda o approfondimento, inviate le vostre lettere a info@lavocediasti.it
Instagram

Leggi tutte le notizie di VOCE AL DIRITTO ›
Prima Pagina|Archivio|Redazione|Invia un Comunicato Stampa|Pubblicità|Scrivi al Direttore|Premium