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Attualità | 28 settembre 2023, 15:06

"Riappropriamoci del gusto del pane artigianale e pretendiamolo anche sul tavolo del ristorante"

L'appello di Rigucci, presidente Associazione Autonoma Panificatori pronta a festeggiare i 65 anni di fondazione: "Conteniamo i prezzi per venire incontro ai consumatori, ma è un lavoro duro che rende poco. Negli ultimi 35 anni spariti almeno 800 fornai"

Immagine di repertorio

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Quando siamo al ristorante, se il vino non ci piace lo mandiamo indietro. Bisognerebbe fare lo stesso con il pane”. Per Piero Rigucci, presidente dell'Associazione Autonoma Panificatori Cuneo, la rivalutazione del prodotto pane è quasi una missione culturale.

Figlio di panettiere, nato e cresciuto nel forno di famiglia in corso IV Novembre a Cuneo, oggi fa il rappresentante di farine e guida da ben 29 anni l'associazione che raggruppa 380 panettieri di tutta la Granda. Domenica 1° ottobre festeggeranno il 65° anniversario di fondazione al ristorante “Giardino dei Tigli” di Cussanio. “E sulla tavola abbiamo preteso che ci fosse la Micca della Granda, il pane artigianale che ha vinto il concorso lanciato tra i nostri associati per rappresentare la cuneesità”, aggiunge Rigucci. Lo ha realizzato Daniele Mulassano del panificio “L’Panate d’San Michel” di Cavallermaggiore, aggiungendo l'orzo tostato agli ingredienti obbligatori (farina di grano tenero, farina di segale, fiocchi d'avena) e sbaragliando le ricette di altri diciassette colleghi.

Abbiamo bisogno che il cliente e il consumatore in generale si riapproprino del gusto del pane, un prodotto che deve essere apprezzato con caratteristiche di gusto e di salubrità – spiega Rigucci -. Con la Micca della Granda, che guarda alla tradizione del passato abbracciando le mode attuali, cerchiamo di stimolare l'appetito e l'interesse di famiglie e ristoratori. È anche una questione economica. Se il pane è buono, si mangia volentieri, si può servire una bistecca di 30 grammi più leggera e il cliente si alza dal tavolo sazio e soddisfatto”.

Fare il panettiere oggi è complicato. Lo dimostrano i numeri:“I fornai iscritti da noi oggi sono 380, contro i 1.400 negli anni '60. Ma allora si consumava mezzo chilo di pane a testa al giorno, contro i 75/80 grammi odierni. Almeno 800 fornai hanno chiuso negli ultimi 35 anni perchè è un lavoro duro che rende sempre meno. Abbiamo 80 comuni senza forno perchè spopolati”.

Le ragioni sono tante: “Le persone hanno cambiato abitudini alimentari. A partire dagli anni '70 c'è stata una sorta di demonizzazione del pane, diventato primo bersaglio nelle diete. Nell'intervallo a scuola si preferisce dare ai bambini la merendina confezionata. Spesso si predilige il pane del supermercato a prezzi più bassi, senza pensare che la qualità di un prodotto precotto e congelato non può essere certo la stessa di quello artigianale. Non bisogna farsi confondere dal profumo”.

Oggi un chilogrammo di pane costa dai 4 ai 6 euro al chilogrammo, a seconda degli ingredienti utilizzati, con punte più alte per i pani speciali con ingredienti particolari. “Quello più venduto è il meno caro, il 'pane pane' con acqua, lievito, sale e farina. Essendo il più richiesto si fa un impasto più voluminoso e si possono contenere i prezzi. Anche se - precisa Rigucci - cerchiamo sempre di calmierare i prezzi per venire incontro ai consumatori, i primi ad avere difficoltà con gli aumenti”.

Sui conti del panettiere pesano le spese per luce e gas che “incidono oltre il 50% del nostro lavoro”. E poi le materie prime: “Basti pensare che in soli due anni il costo della farina è praticamente raddoppiato passando da 40 euro al quintale fino a 80 euro al quintale, con prezzi che definirei quasi ingiustificabili per le farine particolari e di nicchia”.

Cristina Mazzariello

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