Nel corso del 2021 l’Unicef ha registrato che, a livello globale, più di un adolescente su 7 tra i 10 e i 19 anni convive con un disturbo mentale diagnosticato e un diffuso aggravamento del disagio adolescenziale. Queste cifre evidenziano, tra la molteplicità delle problematiche che caratterizzano i giovani (ansia, stress, attacchi di panico, disturbi del comportamento alimentare, difficoltà relazionali, isolamento sociale), anche preoccupanti comportamenti autolesionistici.
Il Piemonte e la provincia di Cuneo, purtroppo, non sono esclusi da questa situazione, come ci spiega Elisa Colombi, responsabile della Neuropsichiatria infantile dell’Asl Cn2.
Quali sono le problematiche degli adolescenti della nostra zona?
“Iniziamo con il dire che rispetto a 10 anni fa le situazioni di disagio sono più sfaccettate e ci sono vari gradi di complessità. I pazienti sono più giovani, le problematiche possono iniziare a 11, 12, 13 anni con una serie variegata di sintomi. Si spazia dai disturbi d’ansia, ai disturbi del comportamento alimentare, al ritiro sociale, a episodi di autolesionismo o a problematiche legate all’uso di nuove sostanze”.
Qual è l’emergenza?
“I dati ci dicono che a livello ambulatoriale in Piemonte i disturbi alimentari sono aumentati del 164%. Un’altra problematica riguarda le patologie psichiatriche internalizzanti +30% rispetto al 2021, e le patologie psichiatriche esternalizzanti cresciute del 14%. C’è stato un maggiore incremento nella fascia di età 14-17 anni, di sesso femminile”.
Ci può spiegare la differenza fra patologie internalizzanti ed esternalizzanti?
“Nelle patologie internalizzanti si tende a regolare i propri stati emotivi e cognitivi in modo eccessivo e inappropriato. Il termine “internalizzante” indica proprio che i problemi in questione sono sviluppati e mantenuti all’interno, provocando ansia, depressione, ritiro sociale e somatizzazioni. Le altre patologie riguardano quelle situazioni in cui il disagio del bambino e dell’adolescente si riversa verso l’esterno, con problemi di disregolazioni, di condotta e di comportamenti devianti”.
Il Covid ha peggiorato la situazione?
“Ha amplificato semplicemente delle situazioni che erano latenti. C’è un elemento che accomuna le diverse patologie e alcuni comportamenti, ovvero che gli adolescenti attaccano se stessi, e questo attacco si manifesta attraverso il rifiuto di mangiare, di andare a scuola, e come se il soggetto si trasformasse in un oggetto. Nei maschi, spesso, il disagio si esplica nel ritiro sociale, nel rifiutare ogni contatto con l’esterno e la possibilità di esporsi. Mai, come in questo momento, si verificano inoltre atti di autolesionismo, all’interno di una patologia maggiore”.
Come si può intervenire?
“Innanzitutto, con la prevenzione, attraverso il lavoro costante con le scuole e le associazioni sportive. Bisogna farsi portatori di un modello che valorizzi stili di vita sani e soprattutto ci vuole un approccio multiprofessionale. Nei disturbi alimentari, a volte, si aspetta troppo. Bisogna che tutti i servizi e i professionisti dialoghino e che ci sia una formazione continua anche dei clinici. Le risposte che andavano bene 5 anni fa ora non sono più adeguate”.
La società cambia velocemente.
“Stiamo vivendo cambiamenti che sono iniziati 20 anni fa, siamo in una società fluida in cui la virtualità è diventata protagonista e in cui si è perso il senso del limite, che era tipico di un’altra generazione. Ora anche i genitori sono in crisi, faticano a comprendere i cambiamenti e a dialogare in modo costruttivo e autorevole con i propri figli, hanno difficoltà inoltre a stare nella sofferenza e a diventare dei punti di riferimento”.
Le patologie psichiatriche arrivano anche al Pronto Soccorso.
“Ci sono moltissimi accessi di giovani con problematiche psichiatriche. In questo momento è necessario rispondere velocemente, ma in modo specifico, evitando due rischi, quella di banalizzazione della patologia e dell’eccessiva medicalizzazione. La situazione vede un aumento delle richieste di cura e degli accessi alle cure in ambito ambulatoriale e ospedaliero con sistemi in overbooking. Bisogna che i reparti e i servizi agiscano come un corpo solo, ma soprattutto che si diano risposte integrate e diversificate per livelli di cura, in rete anche con gli attori esterni, come gli enti socio-assistenziali, le scuole e gli sportelli scolastici”.

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