Oggi pomeriggio, venerdì 7 ottobre, ha preso avvio a Cuneo il Festival dei Luoghi Comuni. La IV edizione del festival organizzato da Andrea Borri e Francesca Salvatico dell'associazione culturale CUADRI, curato da Marco Aime e Lucio Caracciolo- ha come tema: Città, colori e punti di vista.
A segnare l’apertura dell’evento, presso lo Spazio Fondazione CRC, l’incontro con l’antropologo Marco Aime, accompagnato dalle letture di Eleni Molos, dedicato al racconto della città simbolo dell’altrove: Timbuctù. Questa città africana ai margini del Sahara, diventata per antonomasia un luogo lontano, nel Medioevo era al centro dei commerci trans-sahariani e un bacino culturale prospero e sfarzoso, frequentato dai maggiori studiosi dell’epoca grazie alla sua prestigiosa Università.
Timbuctù. Un modo per dire che è lontano ma non si sa dov’è. E' un simbolo che spinge un po’ nel mondo del minstero. Forse per l’accento finale? Ma perché Timbuctù è entrato così nella nostra fantasia? C'è un immagine dell’Atlante Catalano, in cui un geografo ebreo, di Maiorca, nel 1355 per primo rappresentò l'Africa Settentrionale: geografo disegnò il re come lui lo immagina, quindi con la corona, seduto sul trono e nero di pelle, ma nella mano destra tiene una palla, è una pepita d’oro. Poco sotto, c’è scritto “Tom Buc”, l'odierno Timbuctù.
"E’ una città plurale -ha concluso Aime regalando un aneddotto alla platea-. Ognuno la guarda in modo diverso e la immagina in modo diverso. Tradizionalmente ha società divisa in tre caste: i nobili, liberi e gli schiavi, e tutti hanno un odo di parlare e di vivere diverso. Una differenza è che lo schiavo può insultare il nobile ma non viceversa. In più c’è la divisione per professioni e gruppi etnici. Tutti i maschi e le femmine dai 14 anni, si iscrivono ad associazioni per quartieri. Qui, la partecipazione dura tutta la vita. Ogni mese ci si ritrova a casa di uno dei partecipanti che offre la cena, composta solo di due portate per non far differenza tra il ricco e il povero, e ci si aiuta in utto e per tutto. Si risolve tutto tra associazioni. L’unico dato importante è l’età. Si è tutti uguali. Ma come si fa a stabilirlo? Con l’obbligo di insultarsi. Quando l’insulto è reciproco è simbolo di assoluta parità. Io sono stato ammesso a questa associazione, ho offerto la cena e ad un certo punto, un signore, vestito di bianco, ha concluso il suo discorso, ringraziandomi, dandomi dell’imbecille e io ho risposto con insulti".


















