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Attualità | 22 aprile 2022, 15:05

Digiuno dall’alba al tramonto: per la comunità islamica albese è il mese sacro del Ramadan [VIDEO]

L’imam Abdelhadi El Hani ce ne spiega il significato

Servizio fotografico di Barbara Guazzone

Servizio fotografico di Barbara Guazzone

Viviamo ormai in una società multietnica, dove si incrociano culture, usanze, religioni, per certi versi molto diverse tra loro, ma a volte anche molto simili. Ad Alba c’è una comunità islamica ormai giunta alla sua terza generazione, fatta di nonni, i primi ad arrivare nella capitale delle Langhe, poi i figli e ora i nipoti, che sono nati e stanno crescendo nel territorio, integrando e intrecciando la loro cultura con quella autoctona.

Abbiamo voluto incontrarli del centro di cultura islamica di via Carlo Biglino, tra corso Torino e piazza Prunotto, la loro moschea, durante il Ramadan, una celebrazione nota ma per molti sconosciuta nei suoi valori e principi.

Il Ramadan è un pilastro dell’Islam, ci ha spiegato l’imam Abdelhadi El Hani, il digiuno è l’aspetto più conosciuto, dove si inizia a non mangiare al sorgere del sole e si rimane digiuni fino al tramonto, ma al suo interno ci sono altri valori, non soltanto religiosi, che per la comunità islamica sono fondanti e fondamentali.

Il Ramadan si inizia da ragazzi, si parla di tredici e quattordici anni per le donne e i quindici, sedici anni per i maschi, perché praticarlo è una scuola, che forma il carattere e insegna come vivere accanto agli altri. Il mese sacro è un mese in cui si imparano tante cose, prime tra tutte la solidarietà e il rispetto. Si tratta di un momento fortemente educativo, dove ognuno deve essere esempio per l’altro e dove il rispetto delle regole, porta a imparare più in generale a essere rispettosi.

Per la comunità islamica, ci ha spiegato l’imam Abdelhadi El Hani, l’educazione è fondamentale, è alla base di tutte le cose. Questo è il mese in cui si moltiplica la forza di darsi, di dare agli altri, a chi ha più bisogno, un mese in cui ognuno dà al prossimo più di quanto non venga dato durante il resto dell’anno, in cui si impara e si dimostra che non esiste la diversità, che i soldi non creano potere, dove chi ha di più dona a chi ha di meno, dimostrando che siamo tutti uguali.

“L’essere a digiuno
spiega l’imam Abdelhadi El Hani -, il non mangiare e non bere, ti porta a renderti meglio conto di cosa significa non avere la possibilità di mangiare e bere tutti i giorni e questo ti spinge a essere più solidale e disponibile verso chi non ha la possibilità di avere una vita dignitosa”.

Durante tutto il mese, considerato sacro, in pratica tutto viene raddoppiato, non solo l’essere più disponibili e il darsi agli altri, ma anche per quello che riguarda l’aspetto spirituale attraverso i momenti di preghiera. Nelle preghiere che si svolgono durante il Ramadan, si leggono molti versetti del Corano che predicano la fratellanza, questo avvicina il praticante a Dio e al prossimo, dimostrando che tutti, grazie all’essere uniti, diventano una sola persona, perché la solidarietà non ha colore.

Più volte l’imam e i volontari della comunità islamica di Alba hanno sottolineato come durante il Ramadan la moschea sia aperta a tutti e tutti possano andare in visita e ricevere i doni che ognuno porta alla comunità, indipendentemente dalla propria religione, credo o nazionalità.

Personalmente abbiamo voluto vivere questo momento particolarmente simbolico che si svolge in moschea per tutto il mese al calare del sole: la cena. Dal tardo pomeriggio abbiamo visto un andare e venire di persone, che hanno portato in dono vari cibi, alcuni più tradizionali, come i datteri, diversi tipi di pane, delle zuppe, altri semplici pietanze del territorio, come ad esempio la pizza.

Si tratta di persone che poi mangiano nelle loro case, ma lasciano in moschea la cena principalmente per chi ha meno possibilità e, come ci hanno ribadito più volte, non necessariamente devono essere persone di religione islamica.

I volontari iniziano ad apparecchiare i tavoli, ponendo in ogni posto un piatto con tre datteri, perché, ci spiegano, che l’insegnamento del profeta è che il cibo deve essere mangiato in numero dispari, quindi uno, tre, sette e così via. Ne mettono solo tre, perché il mangiare è tanto e non ci si deve riempire con la prima cosa.



Verso il tramonto cominciano ad arrivare i primi fedeli. In moschea si entra senza scarpe, perché all’interno poi si prega portando il volto a terra e quindi per un fattore prettamente igienico. A questo scopo, all’ingresso, c’è uno spazio apposito per poter lasciare le proprie calzature e riprenderle al momento dell’uscita. Sempre vicino l’ingresso c’è un locale appositamente attrezzato, dove potersi lavare, il viso, le mani e i piedi, come segno di purificazione, che deve essere compiuto per tre volte. 


Una volta entrati in moschea si celebra una breve preghiera che segna la fine del digiuno giornaliero. I fedeli a questo punto, prima di sedersi in tavola, bevono del latte e mangiano alcuni datteri, successivamente inizia la cena vera e propria, accompagnata dall’immancabile thè alla menta, come si usa nei Paesi arabi e soprattutto in Marocco.

Alla cena in moschea partecipano solo uomini, mentre le donne, che hanno preparato tutte le pietanze per il pasto, mangiano in casa.
 Finita la cena, chi vuole può lasciare la moschea, mentre per chi rimane, a cui si aggiungono molti altri che hanno consumato il pasto nelle proprie abitazioni, si celebra un momento di preghiera comune di fine giornata alla presenza dell’Imam. Sono in molti ad arrivare in moschea per questo momento religioso, uomini, donne e anche molti bambini.  
Pregano separati, uomini e donne, non per maschilismo, ma per rispetto, legato essenzialmente alle posture che si assumono durante la preghiera stessa. 

L’imam Abdelhadi El Hani, riferendosi alla crisi ucraina, ha voluto sottolineare che la pace è la base per una vita serena, che non si può essere a favore delle guerre e dei massacri di esseri umani e che, soprattutto in questo momento, il Ramadan deve essere anche un forte messaggio di pace e fratellanza.

Alla fine della preghiera si torna a casa, ma prima, fuori della moschea, si chiacchiera, ci si saluta, si scherza, come in un momento di festa, aspettando la prossima alba e l’inizio di un altro giorno di Ramadan.

Andrea Olimpi

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