Sottolineato da un lungo e caloroso applauso, grande merito per il riconoscimento a Patrimonio culturale immateriale della “Cerca e della cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali” va indubbiamente attribuito al presidente del Centro nazionale Studi Tartufo, Antonio Degiacomi, che nella mattinata di oggi ha atteso – insieme a trifolao, amministratori locali e rappresentanti di enti e associazioni del territorio – in sala Fenoglio, ad Alba, il pronunciamento del Comitato intergovernativo Unesco riunito a Parigi.
“Il riconoscimento è figlio di un percorso lungo e difficile, avviato nel lontano 2012, con una prima fase focalizzando la richiesta, poi affinata documentando con una ricerca antropologica che ha portato a intervistare decine di trifolao in tutta Italia – ha commentato con soddisfazione Degiacomi –. Quindi le associazioni dei trifolao sono entrate sempre più nel percorso di candidatura, aggiungendo valore al grande lavoro di documentazione dell’Associazione Nazionale Città del Tartufo, con il supporto dei Centri Studi. I veri protagonisti sono i cercatori, detentori e praticanti di questa tradizione che è la cerca e cavatura del Tartufo.
La pratica della cerca prevede differenza tra regione e regione: in Piemonte si usa lo zappino e si può fare la cerca di notte, cosa che invece è proibita nella maggior parte delle altre regioni, dove si usa invece per lo più il vanghello, uno strumento più lungo. Ci sono poi differenze di habitat, ma tutti i territori sono accomunati da un elemento: la comunità dei cercatori, con il rapporto di questi ultimi con la natura e con il cane. Ambienti naturali, crescita spontanea e libera cerca sono elementi distintivi della cerca e cavatura italiana, che sono quindi stati premiati a Parigi.
Il percorso fatto e il riconoscimento ci danno una spinta ulteriore a fare quello che l’Unesco ci chiede e ci aiuta a fare, cioè trasmissione e salvaguardia: quest’ultima è demandata a noi – comunità dei trifolao e comunità, più ampia, dei territori delle zone tartufigene, investendo amministrazioni pubbliche, Centri studi – secondo i criteri e con l’aiuto dell’Unesco: il riconoscimento di oggi ci dà un po’ di gloria, ma molta responsabilità. Occorre sempre più un maggiore rispetto per le aree naturali, con iniziative per la tutela, la salvaguardia e la piantumazione di nuove tartufaie, coinvolgendo anche gli enti pubblici. Fondamentale è poi la trasmissione di questi saperi alle nuove generazioni, cosa che già sta avvenendo”.
“Se oggi questo riconoscimento sembra scontato, il percorso per arrivare a questo risultato ci dice che non è stato affatto così: è frutto dell’ostinazione di tante persone che non si sono arrese, lavorando e credendoci fino alla fine – ha affermato Mauro Carbone, direttore del Centro Nazionale Studi Tartufo –. È la conferma del fatto che i tartufi italiani sono più buoni degli altri, che non ha alcuna spiegazione tecnica, quanto piuttosto di carattere culturale. Il tartufo in Italia è più buono degli altri perché qui ci sono mani sapienti e cultura, vera e diffusa, da tempo immemore, di questo prodotto della terra”.
“Sono contento per la nostra città e il nostro territorio e riconoscente per il grande lavoro di chi era dietro le quinte – ha aggiunto il sindaco della Città di Alba, Carlo Bo –. Nel 2014 è arrivato il riconoscimento del nostro territorio a Patrimonio mondiale dell’Umanità, nel 2017 Alba è stata insignita del titolo di città Creative Unesco per la Gastronomia e oggi ecco questo riconoscimento come bene immateriale della cerca e cavatura del Tartufo, che premia una filiera fatta di uomini, storia e natura”.
“Abbiamo già abbattuto diverse barriere, dimostrando di saper lavorare insieme: ci manca talvolta ancora un po’ di metodo per essere efficaci nel raggiungere dei risultati – ha chiuso infine il presidente della Provincia di Asti, Paolo Lanfranco –. Il riconoscimento immateriale arriva dopo un percorso improntato alla grande concretezza di chi ci ha lavorato. Il patrimonio arboreo è poi una condizione imprescindibile per portare avanti la cerca e cavatura e richiede un gioco di squadra in cui le istituzioni sono chiamate a fare la loro parte, con azioni che impediscano abbattimenti che ancora oggi si verificano. C’è tanto da fare per tutti, ciascuno nel proprio ruolo”.
Doveroso, in conclusione, un ringraziamento ai pionieri della valorizzazione del tartufo, partendo da Giacomo Oddero che per primo propose la candidatura all’Unesco, nel 2012, ma andando indietro nel tempo anche a Luciano Degiacomi, fondatore dell’Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini di Alba. E, guardando al dossier infine approvato dal Comitato Intergovernativo riunitosi a Parigi, tre plausi tutti al femminile: Elena Sinibaldi, funzionario del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Antonella Brancadoro dell’associazione Città del Tartufo e Isabella Gianicolo, del Centro nazionale Studi Tartufo, collegata da Roma in rappresentanza del Piemonte.