Dalla situazione in ospedale – ancora decisamente difficile e negli ultimi giorni resa leggermente meno pressante solamente grazie all’arrivo delle prime dimissioni – a quella del territorio e di un sistema di tracciamento saltato in ragione dell’altissimo numero di positivi rilevati sul territorio, passando per considerazioni sulla gravità della malattia, peggiorata nelle ultime settimane proprio in ragione dell’alta diffusione di un contagio che insieme a tutto il Piemonte ha investito in pieno anche l’Albese e il Braidese.
Queste e numerose altre considerazioni sono state al centro dell’approfondita relazione sull’emergenza sanitaria nel territorio di Langhe e Roero che il direttore dell’Asl Cn2 Massimo Veglio ha offerto alla 4ª commissione del Consiglio comunale albese, riunitasi in videoconferenza nel pomeriggio di ieri (la si può ascoltare qui) per avere dal massimo responsabile della sanità locale uno spaccato della situazione nel pieno della seconda ondata pandemica.
"UN URTO IMPORTANTE"
"L’ospedale sta sostenendo un urto veramente importante, con un personale veramente provato e a volte anche arrabbiato, per non dire altro, perché, come dire, ci si sente parte di un gruppo di persone che sostiene questa fatica immane senza che globalmente si capisca la portata del problema", ha spiegato Massimo Veglio, partito dalla rappresentazione di reparti che in queste settimane devono fare i conti con "molti malati in più rispetto alla prima fase della pandemia".
"Fino a due settimane fa – ha proseguito – la gravità della malattia appariva minore rispetto alla fase precedente. Ma quello che avevamo previsto purtroppo si è regolarmente realizzato: con l'aumentare dei numeri sono comparsi i casi gravi. Per cui abbiamo lo stesso numero di soggetti in rianimazione, ma con un numero praticamente doppio di persone in terapia subintensiva rispetto alla prima fase".
PERSONALE E CONTAGIATI
Un’ondata cui far fronte frenati dagli annosi deficit negli organici ospedalieri, "con poco personale medico e il contributo di neo laureati che certamente danno un supporto, ma che non possono essere autonomi nella gestione dei pazienti" e, sempre rispetto alla prima fase, quando erano stati una ventina, anche con un numero molto più alto di personale che a sua volta si è infettato, perché, "come ora sono molti di più i malati, ci sono molti più positivi tra il personale. Ho avuto una ventina di unità di personale dipendente che si è contagiato in tutta la prima fase: attualmente ne abbiamo 35, attualmente, senza contare quelli che si sono già negativizzati e quindi sono potuti già rientrare. Quindi parliamo di un numero decisamente superiore".
ARRIVANO LE PRIME DIMISSIONI
Riguardo a un incremento di ricoveri che ancora mette grande apprensione, il dottor Veglio ha rimarcato come l’ospedale stia "sopportando un peso assistenziale veramente elevato. Fino a una settimana fa i ricoveri presentavano un incremento proporzionale: ogni giorno dovevamo aggiungere dei letti. Adesso l'espansione si può dire parzialmente assestata, ma non perché ci sia un minore numero di ricoverati, perché quello è sempre grosso modo uguale. Semplicemente perché abbiamo cominciato a dimettere i primi pazienti ricoverati. Oltre al fatto che, purtroppo, cominciamo a registrare i primi decessi. E anche questi, ahimè, rappresentano purtroppo uscite dall'ospedale".
IL TRACCIAMENTO IMPOSSIBILE
La disanima è quindi passata a descrivere l’impresa impossibile del tracciamento e delle risposte territoriali alla pandemia: "Sul territorio la situazione è analogamente impegnativa. Abbiamo rafforzato i servizi territoriali con grandi numeri di persone, ci sono decine e decine di addetti che lavorano sul territorio sia come assistenza, tramite le Usca e gli infermieri, che nel Servizio di Igiene Pubblica e nel Dipartimento di Prevenzione, dove sono una cinquantina le figure impegnate nelle operazioni di definizione delle procedure di tamponi, di isolamento e di uscita dall'isolamento. Vi assicuro che l’impegno di tutti è massimo, come dimostra il fatto che, anche in una giornata come quella di ieri, domenica, eravamo tutti in ospedale e tutti a lavorare, con giornate da 12 ore minimo".
"Però i numeri dei casi sono talmente elevati che sono soverchianti. La situazione è stata gestita fino a quando i numeri sono stati relativamente bassi: adesso farlo è molto difficile. Abbiamo una capacità di fare tamponi enormemente più alta che nella prima fase, ma poi quei tamponi rimangono lì giorni prima di essere processati (…). E’ un problema di numeri. Ogni contagiato in media si porta dietro 10 contatti stretti. Se in un giorno troviamo 100, 150, 200 contagiati, il giorno successivo dobbiamo fare 1000, 1500, 2000 telefonate. Ogni telefonata significa molti minuti di conversazione con persone che non infrequentemente ti mandano a quel paese. Parliamo di un'entità di lavoro che richiede l'opera di tantissime persone. E quella telefonata non la può fare il primo amministrativo che contrattualizzo all'ultimo momento, perché deve acquisire una certa competenza sull’epidemiologia generale (…)".
SI ABBASSA L’ETA’ DELLE VITTIME
Tra i tanti temi la risposta a una domanda – posta dal consigliere Tripaldi – volta a smontare le tante congetture circolanti, quasi sempre attraverso i social, e volte ad affermare una non meglio precisata volontà nell’indicare il Covid come causa di morte di molte persone ricoverate negli ospedali italiani nella prima come nella seconda fase della pandemia.
"Nella prima fase – ha spiegato sul punto il dottor Veglio – anche ad Alba avevamo un numero molto elevato di decessi. Siamo arrivati ad averne 10 in un giorno solo, ne abbiamo avuti tra i 5 e i 10 ogni giorno, per giorni e giorni. In quella fase tutte le persone che decedevano avevano una serie di malattie, anche perché erano generalmente persone generalmente molto anziane, ed è chiaro che nella parte finale della della vita si hanno molte malattie, alcune delle quali, di per sé, potevano essere insieme all'età una causa di decesso. A queste si aggiungeva il Covid, che determinava un quadro di insufficienza respiratoria. Per cui le persone morivano con un quadro di insufficienza respiratoria. Poi dire che erano morte 'di Covid' o 'col Covid' era un po' una questione semantica. Sta di fatto che morivano con il Covid in un quadro di insufficienza respiratoria. Oggi le persone che decedono sono molto più giovani, diciamo che hanno un'età media di 70 anni, mentre allora ne avevano 80-85. Ci sono anche persone piuttosto giovani, di 50-60 anni, e decedono con un un'evoluzione molto rapida della malattia con un quadro radiologico tipico, per cui molto di più si può dire che sono deceduti 'a causa del covid', almeno clinicamente. Io poi non posso escludere che le persone che decedono abbiano anche altri problemi di salute. Quello che accomuna quasi tutti i casi gravi è il sovrappeso. Le persone che hanno i quadri più gravi sono quasi sempre persone che sono in sovrappeso od obese. Questo evidentemente perché la meccanica respiratoria è più compromessa, oltre che per tutta una serie di motivazioni più fini che saranno studiate e verranno fuori".















