I più letti della settimana - 02 novembre 2025, 18:36

L'INTERVISTA / A Verduno la nuova sfida della Pediatria con la primaria Ilaria Negro: “Cura e rete, per non lasciare indietro nessuno"

Spostamenti da ridurre, focus sul disagio adolescenziale e ambienti accoglienti: parla la direttrice della Struttura Complessa

Ilaria Negro, direttrice della Struttura Complessa  di Pediatria dell’Ospedale “Michele e Pietro Ferrero”  

Ilaria Negro, direttrice della Struttura Complessa di Pediatria dell’Ospedale “Michele e Pietro Ferrero”  

Riproponiamo qui uno degli articoli più letti della settimana appena conclusa, pubblicato giovedì 30 ottobre.

Ci sono ferite che non si vedono nelle lastre: quelle di chi soffre in silenzio, di chi non mangia più, di chi subisce violenza dove dovrebbe sentirsi al sicuro. E ci sono reparti che devono imparare a riconoscere tutto questo, a rispondere non solo con la medicina ma con un lavoro di squadra capace di tenere insieme cura, nutrizione, protezione. È questa la visione che la dottoressa Ilaria Negro, nuova direttrice della Struttura Complessa di Pediatria dell’Ospedale “Michele e Pietro Ferrero” porta a Verduno, dopo quattordici anni al Gaslini di Genova e quattro missioni di volontariato in Rwanda: una pediatria che non lascia indietro nessuno e che cerca di risolvere qui ciò che oggi costringe ancora troppe famiglie a partire.

Che cosa porta, da un’esperienza lunga e intensa come quella del Gaslini?

"Il Gaslini è stato la mia casa per molti anni. Ho iniziato a frequentarlo quando ero ancora studentessa di Medicina e lì mi sono poi formata come pediatra. È un luogo dove si lavora fianco a fianco con professionisti altamente specializzati, e dove si respira ogni giorno l’importanza del lavoro di squadra, della prontezza e della condivisione di percorsi chiari. Ho lavorato per 14 anni come medico di Pronto soccorso e Medicina d’urgenza, imparando cosa significa prendere decisioni rapide e pensare sempre alla sicurezza del bambino. Quando sono arrivata a Verduno ho ritrovato subito una realtà molto competente, fatta di persone che hanno voglia di formarsi e di crescere sul paziente pediatrico, che non è mai 'un piccolo adulto'. La sfida che porto con me dal Gaslini è proprio questa: continuare a costruire percorsi di cura ben definiti, il più possibile vicini alle famiglie del territorio, e sempre in rete con i centri di riferimento regionali. È un modo per garantire qualità e protezione anche qui, a chilometro zero".

Lei ha parlato della necessità di ridurre gli spostamenti dei piccoli pazienti verso i grandi centri. Come si può raggiungere questo obiettivo in sicurezza?

“Da subito mi sono trovata in un contesto molto collaborativo: il Pronto soccorso di Verduno lavora con personale formato e in aggiornamento continuo. Noi ci occupiamo della fascia 0-18 anni, quindi la sinergia con loro è fondamentale. E il livello dell’assistenza infermieristica mi ha stupita: protocolli standardizzati, grande attenzione clinica, un aggiornamento costante. Questo dà ai bambini un livello di cure assolutamente eccellente. La squadra medica è ancora in fase di ricostruzione, ma l’Azienda ha investito molto: diversi neospecialisti hanno già mostrato l’interesse a lavorare qui. Nei prossimi mesi potremo garantire un organico adeguato per il punto nascita, il reparto e il Pronto soccorso pediatrico, e potenziare gli ambulatori specialistici. Uno dei punti per me irrinunciabili è sviluppare una rete strutturata con l’Hub neonatale di Cuneo, i presidi limitrofi e l’Hub pediatrico regionale Regina Margherita, in modo da condividere criteri, protocolli, percorsi diagnostici e terapeutici. Tutto ciò che potrà essere gestito in sicurezza a Verduno deve essere fatto qui: il trasferimento sarà la strada da percorrere solo quando è davvero necessario".

Qui a Verduno esiste un laboratorio di simulazione: quale ruolo avrà nella formazione della sua squadra?

“A Verduno abbiamo il LABSI, un laboratorio dedicato alla simulazione, una vera eccellenza. La simulazione permette di imparare in sicurezza tecniche e procedure, migliorando la preparazione del personale nei momenti più critici. È un approccio che ho conosciuto al Gaslini e che vorrei potenziare per la parte pediatrica qui: insieme a Cuneo, stiamo valutando la possibilità di sviluppare nel tempo un centro di formazione strutturato, che possa diventare un punto di riferimento per tutto il territorio. Perché una squadra preparata salva vite, e si costruisce anche così.”

Ha vissuto esperienze molto diverse: dagli ospedali d’eccellenza come il Gaslini ai centri sanitari in Africa orientale. In che modo il volontariato in Ruanda ha influenzato il suo modo di fare pediatria, qui a Verduno?

"Il Ruanda mi ha insegnato il valore della clinica, nel senso più profondo. Quando hai pochissime risorse, non puoi affidarti subito agli esami: devi guardare, ascoltare, toccare, affidarti alla relazione. È lì che la medicina torna essenzialmente umana. In quelle missioni raggiungevamo un centro sanitario in montagna, a 2.800 metri, lontano dagli ospedali più attrezzati: formare il personale locale significava dare autonomia e continuità di cura a chi, dopo il nostro rientro, avrebbe dovuto affrontare situazioni critiche. Seguivamo centinaia di bambini, lavorando sulla nutrizione, sul riconoscimento precoce della malnutrizione, sull’educazione delle mamme alla preparazione dei pasti. Anche nei casi di disabilità, con fisioterapisti e operatori locali, trovavamo soluzioni semplici per migliorare la postura e l’alimentazione. Tutto questo mi ha insegnato quanto sia essenziale il lavoro d’équipe e la capacità di fare rete: valori che porto ogni giorno a Verduno, dove abbiamo tecnologie avanzate ma non dobbiamo mai perdere di vista l’umanità che ho imparato lì: la cura è prima di tutto relazione."

Tornando al nostro territorio, quali sono oggi le criticità cliniche più frequenti che osserva in Pediatria a Verduno?

“Verduno è un territorio molto diverso dalla Liguria, dove ho lavorato a lungo: là, il territorio fatica a dare risposte strutturate e spesso tutto converge sull’ospedale. Qui, invece, ho trovato una rete molto attiva, e questo fa una grande differenza. Una criticità che però riscontriamo quotidianamente riguarda il disagio adolescenziale, cresciuto in maniera evidente dopo la pandemia. Mi riferisco in particolare ai disturbi dell’alimentazione: a Verduno abbiamo dedicato alcuni posti letto a questi pazienti e li seguiamo con un approccio multidisciplinare molto accurato, che coinvolge neuropsichiatri, psicologi, dietologi, dietisti, terapisti della riabilitazione, educatori professionali. È un percorso complesso, che richiede continuità tra ospedale e territorio e una presa in carico globale della famiglia. Accanto a questo, vediamo anche accessi legati a problematiche comportamentali, ansiose, depressive. Qui la collaborazione stretta con la Neuropsichiatria infantile e le risorse territoriali ci consente di strutturare percorsi condivisi e di evitare, quando possibile, ricoveri prolungati. Questa integrazione è una delle grandi ricchezze del nostro territorio, e per me rappresenta la direzione giusta per rispondere ai bisogni reali dei giovani pazienti".

Un tema delicato è quello del maltrattamento e dell’abuso sui minori: come intendete affrontarlo come team?

“A Genova facevo parte di un gruppo multidisciplinare specializzato nel riconoscimento e nella gestione dei casi di maltrattamento e abuso: pediatra, psicologo, assistente sociale e gli specialisti necessari, tutti al tavolo insieme. A Verduno ho trovato un gruppo di lavoro già attivo e sono stata invitata a farne parte: è una grande responsabilità, che richiede ascolto, competenze e un approccio che protegga il bambino e sostenga la famiglia. Questo per me è uno degli ambiti in cui la rete territoriale può fare davvero la differenza, perché nessuna situazione deve restare invisibile.”

Quanto è importante costruire una sinergia efficace con i pediatri di base e con i servizi territoriali?

“È fondamentale. Il pediatra di famiglia deve sempre essere il primo riferimento per le famiglie e noi dobbiamo lavorare in continuità con lui. Abbiamo già previsto momenti di confronto per condividere i percorsi di cura dei bambini, così che il ricovero o l’accesso in ospedale non diventi uno strappo, ma un passaggio fisiologico in una presa in carico più ampia. Quando un piccolo paziente viene dimesso, per esempio, per noi è altrettanto importante condividere con il pediatra di base il follow up, le indicazioni assistenziali, le eventuali fragilità da monitorare. Sul territorio esistono poi risorse preziose, come ad esempio gli ambulatori dell’allattamento nelle Case di Comunità, realtà molto attive, che lavorano in una logica di prevenzione e sostegno alle famiglie. Verduno può crescere ancora nella sua capacità di rete, ma le basi sono già solide e questo è un grande vantaggio per i nostri bambini.”

Anche la tecnologia gioca un ruolo importante: come sta cambiando la diagnostica in pronto soccorso?

“Oggi possiamo fare diagnosi più rapide e meno invasive. Tamponi rapidi che ci dicono subito se l’infezione è batterica o virale: questo può evitare un ricovero e permettere al bambino di tornare a casa in sicurezza, con un follow up condiviso con il pediatra di famiglia. Anche gli esami del sangue con micrometodi, a volte capillari, ci danno risposte immediate. Piccoli gesti, grandi differenze: per il decorso clinico, ma anche per la serenità dei bambini e dei genitori.”

Parlando di accoglienza: quanto conta l’ambiente per la cura di un bambino? E quali progetti avete in corso?

Per un bambino l’ambiente è già metà della cura. Verduno, da questo punto di vista, è un posto straordinario: credo sia uno degli ospedali più belli d’Italia. Gli spazi sono ampi, luminosi, colorati. Le stanze sono dotate di arredi studiati per i piccoli pazienti e molto è stato possibile grazie al supporto della Fondazione Ospedale Alba-Bra. Anche le decorazioni sono state realizzate con i disegni dei bambini del territorio, e questo rende l’esperienza più familiare. Abbiamo inoltre diverse associazioni di volontariato che ci sostengono con progetti seri e delicati, come ad esempio quelli dei clown di corsia o le favole della buonanotte che saranno portate dai volontari con cadenza periodica a partire dal 7 novembre. È un ambiente che comunica cura prima ancora della cura stessa".

Daniele Vaira

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