Riproponiamo qui uno degli articoli più letti della settimana appena conclusa, pubblicato lunedì 28 luglio.
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Importante vittoria del Codacons in Corte di Cassazione per una causa da danni da fumo attivo di sigaretta. A darne conto la stessa associazione di consumatori secondo la quale la terza sezione civile della Suprema Corte ha emesso una clamorosa ordinanza che riapre la strada alle azioni risarcitorie per i decessi legati al tabacco, stabilendo come la consapevolezza circa i rischi legati al fumo da parte dei fumatori non possa essere un criterio generale da seguire per rigettare i ricorsi dei familiari delle vittime.
Esprimendosi sul ricorso presentato dagli eredi di G.V - cittadino residente in provincia di Cuneo e deceduto nel 2013 per neoplasia polmonare a causa del consumo quotidiano medio di due pacchetti di sigarette Marlboro a partire dal 1968, quando aveva 15 anni – contro British American Tobacco Spa e Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, la Cassazione non solo ha bocciato del tutto l’operato della Corte d’Appello di Torino, che con una precedente sentenza aveva rigettato la richiesta di risarcimento presentata dai figli del fumatore, difesi in giudizio dal Codacons attraverso gli avvocati Carlo Tommaso Gasparro e Angelo Cardarella, ma ha anche ordinato una nuova causa in Corte d’Appello, che in diversa composizione dovrà ora procedere a un nuovo esame delle richieste degli eredi.
Si legge nell’ordinanza n. 1662/2025 della Cassazione pubblicata lo scorso 25 luglio (presidente Luigi Alessandro, relatore Roberto Simone): “In ragione della qualificazione come pericolosa dell’attività di produzione e commercio del tabacco la corte d’appello non avrebbe dovuto limitarsi a ritenere la scelta del consumatore una causa prossima di rilievo, in quanto la condotta del danneggiato non solo va valutata diversamente a seconda della pericolosità dell’attività, ma anche perché la disciplina delle attività pericolose richiede una prova liberatoria specifica e particolarmente rigorosa («aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno»), che non coincide propriamente con la prova del caso fortuito (comprendente il fatto colposo della vittima)[…]".
“Anche l’argomentazione posta dalla corte di merito a fondamento della ravvisata consapevolezza della vittima dei danni cagionati dal fumo risulta, invero, non essere stata assunta all’esito di un accertamento specifico della effettiva consapevolezza da parte della vittima della cancerogenicità del fumo. Accertamento viceversa indispensabile per ritenere quest’ultima in colpa, atteso che dalla medesima si sarebbe potuto esigere una diversa condotta (non fumare, fumare meno, non aspirare il fumo, adottare altre cautele), solo ove, informata del rischio specifico cui risultava esposta in ragione del consumo di sigarette, si fosse ciononostante ad esso consapevolmente e volontariamente indotta. La tesi dei ricorrenti era infatti che nel 1968, quando aveva iniziato a fumare, il V. non avesse consapevolezza della correlazione tra il fumo di sigarette e il cancro, là dove la corte territoriale è limitata ad affermare che la nocività del fumo era un fatto socialmente notorio già negli anni sessanta del secolo scorso ed ancora prima […]".
"A tale stregua, essendo la nocività del fumo un fatto socialmente noto a partire dagli anni settanta, tutt’altro che socialmente nota era invero all’epoca cui risalgono i fatti di causa la correlazione specifica tra fumo e cancro (e altre gravi patologie). Va certamente escluso che nel 1968, allorquando il V. iniziò a fumare, fosse socialmente nota la correlazione tra fumo e cancro, e che lo stesso fosse informato e conscio del rischio specifico di contrarre il cancro e si sia, ciononostante indotto a fumare fino a “due pacchetti di sigarette al giorno di marca Marlboro al giorno, nel periodo 1968-2013”, in virtù di consapevole scelta edonistica. L’asimmetria informativa in Italia, come già detto, è stata colmata normativamente solo con l’emanazione della legge 428/1990, persistendo in capo all’esercente un’attività come nella specie pericolosa, al fine di andare esente da responsabilità, l’obbligo di dimostrare di aver adottato ogni misura atta ad evitare il danno (es., l’adozione di filtri volti a contenere lo sprigionamento delle sostanze cancerogene provocate dalla combustione; la produzione di sigarette con una più contenuta percentuale di catrame e di altre sostanze cancerogene; l’informazione sui rischi del fumo) […]".
In questo contesto, non risultando che nella specie il defunto G. V. abbia avuto la piena consapevolezza dei rischi specifici legati al fumo delle sigarette, deve escludersi che la sua condotta possa essere considerata come improntata a una effettiva libertà di determinazione al riguardo, e come tale essere ritenuta alla stregua della causa prossima di rilievo nella determinazione dell’evento dannoso nei termini dalla corte di merito erroneamente ravvisati nell’impugnata sentenza”.
Per i giudici quindi “s’impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Torino, che in diversa composizione procederà a un nuovo esame, facendo applicazione dei suindicati principi”.
“Si tratta di una decisione importantissima perché sconfessa le tesi di diversi tribunali italiani secondo cui chi inizia a fumare è pienamente consapevole dei rischi sanitari corsi e della possibilità di sviluppare gravi patologie – afferma il presidente Codacons, Marco Maria Donzelli –. Ora la Corte d’Appello di Torino dovrà di nuovo esaminare la vicenda e, se saranno accolte le richieste degli eredi e dei legali Codacons, si aprirà la strada ad altre cause risarcitorie analoghe in tutta Italia”.





