«Alla cima della collina era il palazzotto che sormontava la loro città. La sagoma bizzarra, a otto lati, di mattoni che il tempo aveva impallidito, appariva chiara e netta sotto la luna». La Zizzola, così amorevolmente descritta da Giovanni Arpino, ha aperto le sue porte all’arte del pittore Franco Gotta.
Un concreto passo avanti nel percorso di valorizzazione della Casa dei braidesi (strada Fey, 1) è partito con la mostra inaugurata nel pomeriggio di domenica 18 maggio. Ospite d’onore è stato lo scrittore torinese Fabrizio Caramagna, che ha dedicato un aforisma per ogni opera esposta.
La bella giornata di sole ha richiamato tante persone e autorità per un “attacco d’arte” impreziosito dalle note alla chitarra del musicista Giuliano Rigo a scandire i vari interventi, tra cui quello del vicesindaco di Bra, Biagio Conterno, tutti pieni di ammirazione per i lavori esposti.
Chi conosce Franco Gotta sa che ogni tela ha impressa la forza dei sogni, efficaci a raccontare la sua anima inquieta, perennemente in viaggio. Colori come suoni ad evocare atmosfere su cui regna la luce con le sue leggi, che prendono ispirazione da scorci di appassionata vita reale.
La rassegna dal titolo “La mia Zizzola” sarà visitabile fino al 27 luglio, sabato e domenica con orario dalle 10 alle 18. E pure gratuita, cosa che non ci dispiace mai.
Parola all’artista
Esporre alla Zizzola è un sogno che si avvera per Franco Gotta, che commenta così l’esperienza: «Per me la Zizzola rappresenta tanti momenti magici della mia adolescenza sul finire degli anni Sessanta. A quei tempi era considerata una struttura pericolante per cui il bosco circostante era recintato con una rete alta due metri con filo spinato che completava l’opera. Ovviamente la curiosità che destava quell’edificio in noi ragazzini era tanta e in poco tempo la rete era tutta un buco di passaggi più o meno segreti che conoscevano in molti. Erano gli anni dell’oratorio e quasi tutte le domeniche dopo il vespro con recita del rosario eravamo un bel gruppo di ragazzini gioiosi che con passo lesto salivamo alla Zizzola. Strada facendo passando in via Provvidenza arrivavamo in via Craveri, dove c’era un tabaccaio. A volte ci si fermava per comprare un paio di sigarette (a quei tempi vendevano anche le sigarette a numero) da fumare in società a boccate, la scelta andava su quelle alla menta. Quella ragazzata per mia fortuna non mi portò al vizio del fumo. Arrivati sul posto si cercava dalla parte del bosco un buco, uno dei tanti nella rete ed eccoci nel grande prato. Due calci con la palla che ci eravamo portati dall’oratorio, ma ciò che più ci affascinava era la ricerca di fossili nella terra sabbiosa del bosco circostante».
Un po’ di storia
La Zizzola sorge alla sommità della regione Monteguglielmo, al limitare di un ampio spianato erboso, circondato da un viale che si chiude sul retro della costruzione. Con ogni probabilità, l’edificio fu edificato tra il 1844 e 1846 da Tommaso Bruno “Ricco mercante e filante di seta”, proprietario, tra l’altro, di una fornace cittadina nella quale furono prodotti i mattoni utilizzati nella costruzione. Il Bruno volle edificare il singolare edificio ottagonale, così, informa lo storico Antonio Mathis, “Per la sua moglie, donna di gran lusso. Poi l’edificio andò, poco a poco alla malora e fu venduto all’avvocato Carlo Maffei e successivamente a Giulio Traversa e poi a un altro”.
La Zizzola si riscopre, quindi, una casa comune, un guscio che cristallizza e protegge la fragilità del ricordo nel flusso in costante evoluzione di Bra, dalle irrinunciabili memorie pubbliche alle vicende private e personali, che si legano e contribuiscono a comporre la storia ufficiale. Il nome “casa” la rende familiare e ribadisce paradossalmente la monumentalità dell’edificio, facendone un archetipo, un simbolo, ma anche un monumento da ammirare e fotografare.
La casa diventa così, sia un contenitore, che un oggetto da esporre, un tesoro da circondare con un involucro, che ne protegge e allo stesso tempo ne espone il contenuto. Un ambiente che crea una differenza di potenziale tra i diversi stili di memoria che si intrecciano in un oggetto capace di misurarsi con una moltitudine di tempi e di dialogare con pubblici differenti, senza rinunciare a costruire una rappresentazione unitaria, suscitando una sensazione sorprendente, lenta e imprevedibile, dinamica ed immobile.
L’edificio approfitta della sua leggerezza ed eleganza, spirituale e fisica. Come archivio aperto e continuamente accessibile, grazie alle più recenti tecnologie, la “Casa dei braidesi” si lascia usare nei modi più imprevisti e informali. Come massa, volume compatto, essa mostra la sua inerzia, scegliendo di permanere come monito, come pietra miliare, messa a ingombrare e a ostentare la sua testimonianza. Che in fondo è anche la nostra.