Palermo, via Carini, 3 settembre 1982, ore 21.15: una raffica di Kalashnikov mette fine alla vita di Carlo Alberto Dalla Chiesa, il generale dei Carabinieri mandato in Sicilia per sconfiggere la mafia, dopo aver avuto la meglio sul terrorismo.
A cercare di fare luce sulle ombre di quella sera ci ha pensato il libro “Dalla Chiesa”, scritto da Andrea Galli (Mondadori). Il volume è il frutto di cinque mesi di lavoro intenso passati dal giornalista de “Il Corriere della Sera” a raccogliere episodi inediti della vita del Generale attraverso l’incontro di uno per uno dei suoi uomini, oggi per lo più signori in pensione con bagagli di ricordi chiusi a chiave nella memoria di chi sa di aver rischiato la vita «Non per coraggio, ma per riuscire a guardare negli occhi i propri figli».
Saluzzese di nascita, classe 1920, Carlo Alberto Dalla Chiesa era un figlio d’arte: suo padre Romano, generale dei Carabinieri Reali, era stato in Sicilia sotto il comando del prefetto Mori per combattere “Cosa Nostra”. Un esempio sotto gli occhi del giovane Carlo Alberto, che allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale sceglie di entrare nell’Arma, partecipando attivamente alla Resistenza.
L’impronta di onestà e rettitudine del padre diventa un marchio di fabbrica. Terminata la guerra, Dalla Chiesa si sposta tra Campania e Sicilia, in una caccia senza esclusione di colpi contro il fenomeno del banditismo che sembra volersi sostituire allo Stato. Nel 1966, con i gradi di colonnello, assume il comando della Legione Carabinieri di Palermo, ma nel 1973 torna a Torino come generale di brigata, con il compito di arginare il terrorismo, che in città sta colpendo duramente.
È una carriera spettacolare, quella che Carlo Alberto Dalla Chiesa inanella un passo dopo l’altro, ma con risvolti personali molto amari: nel 1978, sua moglie Dora muore improvvisamente per un infarto fulminante. Colpito per la perdita della compagna di una vita, Dalla Chiesa si chiude in un dolore profondo e discreto da cui sembra quasi uscirne ancora più determinato.
Nel 1982, il Consiglio dei Ministri lo nomina prefetto di Palermo, affidandogli un compito assai difficile: mettere la parola fine a “Cosa Nostra”. Un impegno complicato, che Dalla Chiesa divide con Emanuela Setti Carraro, di trent’anni più giovane, la donna che sposa lo stesso anno, in seconde nozze.
Nel maggio del 1982 Dalla Chiesa arriva a Palermo, ma capisce immediatamente che i poteri speciali promessi dal ministro Rognoni per convincerlo ad accettare l’incarico, non ci sono: «Con le parole e le promesse, certe battaglie non si possono vincere». Si lamenta, il generale, con il tono di voce amaro di chi assapora un tradimento: lo fa anche nella celebre, ultima intervista, rilasciata a Giorgio Bocca pochi giorni prima di morire.
Un dialogo che diventa una sorta di testamento, un imbuto che porta dritto verso le canne dei Kalashnikov di quel 3 settembre: Carlo Alberto Dalla Chiesa, sua moglie Emanuela e l’agente della scorta Domenico Russo cadono sotto i colpi decisi da Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. L’Italia non dimentica.