Cronaca - 24 marzo 2024, 09:30

Saluzzo, la sera di 37 anni fa il mortale agguato ad Amedeo Damiano, allora presidente dell’Usl 63

I tre esecutori materiali sono stati condannati con sentenze passate in giudicato, ma nulla si è mai saputo dei mandanti. Un podcast di Radio24 “Cento giorni dopo – Il caso Damiano” ha ricostruito la tragica vicenda

Amedeo Damiano, presidente dell’Usl 63 di Saluzzo, vittima di un agguato il 24 marzo 1987

Amedeo Damiano, presidente dell’Usl 63 di Saluzzo, vittima di un agguato il 24 marzo 1987

C’era anche il nome del dottor Amedeo Damiano, saluzzese, tra i 1080 letti dagli studenti a Palermo giovedì 21 marzo in occasione della Giornata dedicata alle vittime innocenti della mafia.

Sono trascorsi 37 anni dal giorno in cui rimase vittima di un tragico agguato.

Ripercorriamo (per quanto in sintesi) le tappe di una vicenda giudiziariamente complessa che ha consentito di far luce solo parzialmente su uno degli episodi più misteriosi e inquietanti del Saluzzese e della provincia.  

Saluzzo 24 marzo 1987. Ore 19,45.

È un martedì. Amedeo Damiano, presidente dell’Usl 63 di Saluzzo (Unità Sanitaria Locale) sta rientrando a casa dove lo aspettano per la cena la moglie Giuliana e quattro figli.

Due killer lo attendono nell’androne del palazzo di corso Italia 56 in cui abita e gli esplodono contro, a bruciapelo, diversi colpi di pistola di grosso calibro.

Un terzo complice li attende in auto.

Quei proiettili, oltre a fratturargli il femore, gli recidono il midollo spinale paralizzandolo.

La morte sopraggiungerà tre mesi più tardi nella clinica emiliana di Montecatini di Imola dov’era stato trasferito per tentare una riabilitazione.

Un agguato finito tragicamente sul quale, a distanza di tanti anni e nonostante le condanne passate in giudicato dei tre esecutori materiali, nulla si è mai saputo circa il movente.

Perché quei tre uomini venuti dagli ambienti della malavita torinese, professionisti del crimine, avevano voluto colpirlo?

Chi li aveva ingaggiati e per quale motivo?

I mandanti di quella che è stata un’esecuzione in piena regola non sono mai stati scoperti.

Nel maggio del 1988, per la verità, quello che venne definito il “giallo della sanità’’, registrò una svolta con l’arresto del professor Pierluigi Ponte, medico ginecologo e allora direttore sanitario dell’ospedale di Saluzzo.

Ponte, secondo il sostituto procuratore della Repubblica di Bologna, Alberto Candi (l’inchiesta, essendo il decesso avvenuto a Imola, era divenuta di competenza della magistratura del capoluogo emiliano) avrebbe avuto forti contrasti con il presidente Damiano.

Questi, infatti, aveva avviato nei suoi confronti inchieste amministrative per accertare alcune irregolarità in merito ad un uso improprio che il ginecologo – dipendente dell’Usl, ma anche libero professionista - faceva della struttura sanitaria pubblica.

Secondo il pm bolognese, il medico, per il tramite di alcuni suoi amici gestori di una discoteca del Saluzzese, avrebbe commissionato l’avvertimento/punizione a tre killer, uno dei quali, in particolare, aveva eseguito il lavoro con “eccesso di zelo”.

Dopo quaranta giorni trascorsi nel carcere bolognese della Dozza, Ponte venne però scarcerato e scagionato per mancanza di prove.

In carcere per quel delitto finirono, tempo dopo, Marco Sartorelli e Alessandro Pinti, nei confronti dei quali le testimonianze di pentiti, suffragate da prove giudiziarie inoppugnabili (compresa quella balistica sull’arma usata nell’agguato) hanno resistito a tutti e tre i gradi di giudizio.

Sono stati entrambi condannati a 18 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale.

Più controverso il caso del terzo soggetto, Pancrazio Chiruzzi, condannato e assolto più volte nell’arco e, infine, definitivamente ritenuto colpevole nel 2004 e condannato a quattordici anni sempre per omicidio preterintenzionale.

Secondo gli inquirenti, sarebbe stato proprio quest’ultimo, noto negli ambienti della mala piemontese come “Mister Miliardo’’ (deve il nome al sempre ricchissimo bottino delle sue numerose rapine), ad aver organizzato materialmente la spedizione punitiva nei confronti del presidente dell’Usl 63 di Saluzzo.

Tuttavia Chiruzzi, autore di svariati colpi in Italia (il più celebre quello al caveau di Sant’Elpidio nelle Marche che gli fruttò due miliardi di vecchie lire tra preziosi e contanti) e in diverse città europee, non ha mai voluto fare nomi.

Essendo trascorsi oltre vent’anni dal decesso della vittima, il reato di omicidio preterintenzionale è caduto in prescrizione.

Vane, dunque, le speranze di capire chi e perché commissionò quella “gambizzazione” che costò la vita al presidente dell’Usl di Saluzzo.

Quello di Damiano resta senza dubbio uno dei delitti più gravi mai commessi a Saluzzo dal dopoguerra.

Inquietante constatare come dopo 37 anni – così come avvenuto per tanti altri omicidi politici in Italia – le ombre siano ancora più delle luci e soprattutto registrare, con sconsolante realismo, che giustizia non è stata fatta e difficilmente, a questo punto, potrà essere fatta.   

Sul tema è stato di recente realizzato da Francesca Zanni ed Enrico Bergianti un podcast in cinque puntate per Radio24 dal titolo “Cento giorni dopo – Il caso Damiano”.

 “La sera del 24 marzo – ricorda con amarezza il figlio Giovanni - é sempre un momento triste per me. Trentasette anni sono un tempo lunghissimo. Ma vedere gli occhi attenti dei ragazzi e delle ragazze che incontro a scuola,  quando ascoltano la storia di mio papà, mi permette di capire quanto sia attuale la testimonianza che lui ci ha lasciato”.

Giampaolo Testa

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