Cronaca - 21 marzo 2024, 20:14

Quarantacinque anni fa la misteriosa morte di Attilio Dutto: chi uccise l'imprenditore burbero che voleva sfidare la vita?

Poco dopo le 10 del 21 marzo 1979 due chili di tritolo sistemati sotto il pianale fecero esplodere la sua Bmw davanti all'abitazione di viale degli Angeli. L'incredulità e lo sgomento della città durò per settimane, poi calo l'oblio e non si arrivò mai alla soluzione del mistero

Attilio Dutto

Attilio Dutto

Era un inizio di primavera perfetto il 21 marzo 1979, a Cuneo, dal punto di vista meteorologico. Cielo limpido, sole accecante e temperatura gradevole: i primi fiori sulle piante indicavano che il lungo inverno, di quelli che segnavano quei tempi, se ne stava andando. La quiete prima della tempesta.

Erano da poco passate le 10, chi scrive era appena rientrato a casa a Borgo San Giuseppe, quando un violentissimo boato scosse l’aria e fece tremare i vetri dell’intera città e delle zone circostanti. Sulle prime tutti pensammo al solito aereo che supera il muro del suono, ma l’istinto fu comunque quello di guardare fuori dalla finestra: il botto era troppo violento e, soprattutto, sembrava tanto vicino.

Vidi una specie di rivolo di fumo scuro alzarsi in cielo nei dintorni di piazza Galimberti poi, dopo pochi minuti, l’ululare delle sirene. Capii che qualcosa di grave doveva essere successo, ma in quegli anni non c’erano i telefoni cellulari: l’unica cosa da fare era partire, gambe in spalla, e andare a vedere. Fu difficile avvicinarsi, ma una volta giunto sul posto capii che era "capitato qualcosa di grosso", come sussurrava la gente.

Ciò che vidi aveva dell’incredibile: un cratere sull’asfalto del controviale di Viale degli Angeli, di fronte al civico 23 e, poco più in là, un’auto completamente distrutta. Tutt’intorno abitazioni, mezzi in sosta e le aule dell’Istituto Bonelli con le vetrate in frantumi. Non c’erano feriti, ma questo lo si seppe con certezza solo qualche ora più tardi.

Il resto è storia nota. Per settimane le cronache locali riempirono paginate di giornali: si trattava di un un attentato dinamitardo, il primo a Cuneo nel Dopoguerra.

Contro chi? L'obiettivo era un noto imprenditore cittadino, in quei tempi all’apice del successo professionale e personale. Il suo nome Attilio Dutto. 

All’epoca dei fatti Dutto aveva 48 anni ed era a capo di un piccolo impero. I suoi affari erano molteplici: intanto era amministratore delegato della società finanziaria Euroleasing Spa, capitale sociale di oltre 3 miliardi di lire con presidente Lorenzo Streri, altro cuneese che qualche anno dopo, nel 2001, balzerà agli onori delle cronache locali e nazionali.

Streri sparì misteriosamente dalla sua abitazione di Santo Domingo e insieme con lui anche una buona fetta del patrimonio societario. Di lui non si saprà mai più niente, nonostante una condanna a 8 anni di reclusione per bancarotta fraudolenta, poi annullata. 

Attilio Dutto aveva fondato anche una finanziaria. L’aveva chiamata “Sfida”, come lui amava fare con la vita. Concedeva prestiti per l’acquisto di auto, ma anche di case. Soprattutto in Costa Azzurra, dove aveva parecchi interessi.

E poi l'acquisto della Paramatti Vernici, azienda già di proprietà di Michele Sindona e a quel tempo in mano al torinese Schreiber: Dutto ne diventa socio di maggioranza.

Auto costose e case di lusso erano la sua passione: a Cuneo girava con una BMW ultimo modello, ma era in possesso anche di una Rolls Royce, unica in città, che suscitava la curiosità dei tranquilli "bugianen" quando vedevano rombare su e giù per corso Nizza il “macchinone” di Attilio Dutto. Poi le case: sembra che quando saltò in aria possedesse 103 appartamenti in città. Tra i quali uno stabile in via Matteotti per il quale l'imprenditore aveva appena subito una condanna per abusi edilizi e costretto a pagare una multa di quasi 114 milioni di lire.

E gli affari immobiliari, che l’imprenditore tesseva a Mentone e nel Principato di Monaco. Le cronache dei tempi fantasticavano di un Dutto abituale frequentatore del tavolo verde al Casino du Soleil di Mentone e in quello di Monte-Carlo. Si arrivò a ipotizzare che insieme ad altri cuneesi ricevesse soldi dalle case da gioco per “portare clienti” dall’Italia. Suggestione? Verità? 

Ma cosa successe allora quel 21 marzo 1979? Quel che si sa è che Dutto sale in auto, gira la chiavetta della BMW, innesta la marcia e fa pochi metri. Poi, il botto: l'imprenditore non muore sul colpo, arriva al Santa Croce ma il suo corpo è così martoriato dalle schegge e dai traumi della bomba che dopo poche ore di agonia si spegne.

Solo per un caso si evita la strage: pochi minuti prima dell’attentato, perché è chiaro fin dai primi istanti che di questo si tratti, sulla pista ciclabile di Viale degli Angeli era transitata una scolaresca, mentre poco più in là c'erano degli operai della SIP, l’azienda telefonica di Stato, che stavano effettuando dei lavori. Nessuno viene investito dall’esplosione.

Ma chi ce l’aveva così tanto con Attilio Dutto, che era disposto anche a compiere una strage pur di vederlo morto?

Erano gli anni di piombo in Italia. Da pochi mesi il terribile rapimento del presidente della DC Aldo Moro si era concluso con la sua barbara esecuzione, così sulle prime non stupì la telefonata che arrivò nel pomeriggio del 21 marzo alla sede Ansa di Torino a nome delle Brigate Rosse: “Siamo stati noi”.

Fin da subito, però, gli inquirenti nutrirono seri dubbi sull’autenticità della rivendicazione e l'allora procuratore della Repubblica Sebastiano Campisi preferì concentrare le attenzioni su altre piste.

La vendetta privata, per esempio. Dutto era un personaggio scomodo: carattere burbero, allo stesso tempo “spaccone”, veniva descritto da chi lo conosceva uno con il pelo sullo stomaco”. Di quelli, per intenderci, che non guarda in faccia nessuno per puntare dritto alla meta. Si dice non amasse perdere neppure giocando a carte: figuriamoci nel fare affari.

Era stato anche presidente del Cuneo Calcio, ma non era uno sportivo. Però con lo sport ci faceva affari: comprò la quota sociale del Cuneo per 50 milioni di lire e riuscì a vendere alcuni giocatori della rosa spacciandoli per "campioni affermati" al valore di 80 milioni. Si scoprì in seguito che tanto campioni non erano.

Forse aveva pestato i piedi alla persona sbagliata, nel momento sbagliato? Si era cacciato in un giro di affari non propriamente pulito? Solo dubbi, ipotesi.

Si provò ad indagare anche sula pista passionale, ma il quadro che emerse fu quello di un uomo sì incline a viaggiare sul filo del rasoio, ma solo ed esclusivamente nel mondo degli affari. Amava i soldi Attilio Dutto, ma nella sfera sentimentale era uno come tanti: sposato, una figlia alla quale aveva dato il suo stesso nome al femminile, si era successivamente separato e al momento dell'attentato viveva con la nuova compagna in viale degli Angeli 23.

Compagna che aveva rischiato di essere coinvolta nell’attentato: non era un mistero che, spessissimo, anche lei usasse la BMW per i suoi spostamenti. Chi aveva piazzato l’ordigno, si parlò di oltre due chili di tritolo, o sapeva senza ombra di dubbi che quel giorno sarebbe stato proprio l’imprenditore a salire sul mezzo, oppure cercava così tanto la sua morte anche a costo di coinvolgere persone estranee. In ogni caso, la pista sentimentale non portò da nessuna parte e fu messa da parte.

C’entravano forse gli affari immobiliari in Costa Azzurra? S’indagò in quella direzione, forti del fatto che la bomba innescata provenisse da Oltralpe: una bomba dell’Osas, l’Organisation de l’Armée Secrète, usata in alcuni attentati in Algeria. Altre suggestioni, ma per arrivare ad un'accusa ci voleva molto di più.

Tutto si concluse con un nulla di fatto. Passarono i mesi, poi gli anni e lentamente l’onda lunga dell’attentato di Viale degli Angeli cominciò a svanire dalla mente dei cuneesi. Mai nessuno, né in quei tragici giorni, né negli anni successivi, si fece mai avanti in qualità di testimone o di “suggeritore” e sulla vicenda, nonostante la promessa di attenzione da parte degli inquirenti, calò lentamente l’oblio. Non si arrivò mai ad un’incriminazione e, di conseguenza, ad un processo.

Chi uccise in modo tanto plateale quell'industriale di 48 anni, burbero, ricco, che voleva sfidare la vita? Resta un mistero che, probabilmente, nessuno svelerà mai.

Cesare Mandrile

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