Farinél - 03 settembre 2023, 12:58

FARINÈL / Il 3 settembre 1982 la mafia uccideva il generale Dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti: tra loro un abbraccio più forte della morte e dell’odio

Quel giorno la mafia perdeva definitivamente la dignità venendo meno alla regola non scritta di risparmiare donne e bambini. Figlia di una delle prime crocerossine e tra i primi a soccorrere i feriti di Piazza Fontana, Emanuela sacrificò tutto per il suo amore. Scrisse nel suo diario: “In fondo morire col tricolore sulla bara e col silenzio fuori ordinanza è morire un po’ meno”

Il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa con la moglie Emanuela Setti Carraro

Il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa con la moglie Emanuela Setti Carraro

Sono da pochi secondi passate le 21 del 3 settembre 1982 quando una Autobianchi A 112 guidata da una donna esce dalla prefettura di Palermo. Su quell'auto si trova uno degli uomini più conosciuti e amati dai palermitani e per questo temuti e odiati dalla mafia: il generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Nato per una serie di combinazioni a Saluzzo, porterà sempre quelle origini con fierezza vantandosi di essere cuneese, nato ai piedi delle montagne, nella città del Marchesato.

A guidare la macchina è una donna con una storia da romanzo, una donna che ha lasciato tutto per amore, che ha risalito la corrente per raggiungere l’uomo che amava, per conquistarlo, per sposarlo, contro tutti e contro tutto e che ora, si dice, porti in grembo il frutto di quell’amore incontrastabile.

Anche lei è piemontese, di Borgosesia, arriva da una famiglia della ricca borghesia, ma ha deciso di lasciare gli agi che le spetterebbero per dedicarsi al prossimo diventando infermiera.

Carlo Alberto ed Emanuela sono in macchina, diretti verso un ristorante di Mondello dove sono attesi per cena. Li segue l’Alfetta del fedelissimo del generale Dalla Chiesa, l’agente di scorta Domenico Russo. Alle 21.05 l’Autobianchi beige e l’Alfetta passano in via Isidoro Carini, si sente un rombo e da dietro un angolo spunta una Honda di grossa cilindrata guidata dal mafioso Giuseppe Lucchese.
Seduto dietro di lui Giuseppe Greco (detto "Scarpuzzedda"), i due affiancano l’Alfetta di Russo e lo colpiscono senza che l’agente possa reagire con un fucile d’assalto AK-47.

Nello stesso istante una BMW 518, guidata da Calogero Ganci con a fianco Antonino Madonia, raggiunge l’Autobianchi. Madonia apre il fuoco con un altro Ak-47 e spara all’impazzata oltre 30 pallottole sul generale e sulla consorte.
Un’azione infame, contro persone che non hanno nemmeno il tempo di difendersi.
Tutto dura pochi secondi, l’auto del prefetto Dalla Chiesa sbanda e va a sbattere contro una Ritmo.

Greco scende dalla moto e controlla l’esito dell’agguato. Pienamente riuscito. In via Carini giacciono tre cadaveri. In via Carini, in quel momento inizia a morire la speranza dei palermitani, che dieci anni dopo piangeranno la morte di Falcone e Borsellino.

Moriva così 41 anni fa, in un attentato infame, uno dei più grandi cuneesi della storia. Lo trovarono abbracciato alla sua Manuelina, stava cercando in un estremo tentativo di usare il proprio corpo per proteggerla ma nulla potrà contro quella scarica di proiettili da un fucile d’assalto.

Nulla potrà anche perché Emanuela Setti Carraro, si scoprirà, non era una vittima collaterale, ma un bersaglio ben preciso, da colpire quanto il generale.
Dalla Chiesa aveva sbagliato i conti pensando in uno scatto di dignità della mafia, dignità persa da tempo. "Manuelina, se mi succede qualcosa porta tutti i documenti ai giornali, gli italiani devono sapere".

Il prefetto, che conosceva meglio di chiunque altro il codice non scritto della mafia, pensava che la piovra avrebbe risparmiato una donna.
Fu quello uno dei pochi errori di valutazione del generale Dalla Chiesa in una carriera sfolgorante perché, dopo la raffica di Kalashnikov contro la vettura, il sicario scese dalla sua motocicletta, girò attorno alla macchina e con una pistola sparò a Emanuela un colpo di grazia alla testa.

Non ci sono dubbi: la mafia voleva quella donna coraggiosa morta.
Sessantadue anni lui, 31 lei, si erano sposati nemmeno due mesi prima, nonostante le perplessità del generale (rimasto vedovo nel 1978) per la differenza di età e i pericoli a cui l'avrebbe esposta. Manuela lo sapeva, ma non le importava, figlia di una delle prime crocerossine d'Italia, aveva scelto di occuparsi del prossimo, nella fattispecie di quell'uomo serio e burbero, ma capace di gesti di grande tenerezza, lasciato solo dal destino che gli aveva strappato la moglie e dallo Stato che aveva cercato più volte di metterlo ai margini.

Trovo che sia bellissima la storia dell’amore di Carlo Alberto dalla Chiesa ed Emanuela Setti Carraro: “La piccola crocerossina salì i gradini del palco, si avvicinò sorridendo, e, porgendo un garofano, disse: «Questo è per lei, generale». L’uomo in divisa arrossì, nascose il fiore in tasca e mormorò: «Grazie»”.

Così sarebbe nato quell’amore capace di sfidare la morte. Figlia di una delle prime crocerossine, Emanuela crebbe in una famiglia in cui l’amore per la patria era un sentimento concreto e non una frase fatta. Presenziò spesso ai funerali e alle cerimonie in ricordo dei caduti delle forze dell’ordine durante gli anni del terrorismo.

Fu tra i primi a soccorrere i feriti di Piazza Fontana. Nel suo diario scriveva: «In fondo morire con il tricolore sulla bara e con il silenzio fuori ordinanza è morire un po’ meno». La vita ci avvisa, forse, di quello che ci accadrà?

Come riportato nel libro di Antonia Setti Carraro, edito da Rizzoli, dedicato alla figlia Emanuela: “Da quel garofano donato al generale nel maggio del 1980 nasce un’amicizia che presto diventa un affetto più profondo. Emanuela non si stanca mai di parlare e scrivere a quell’uomo convinto difensore del suo Stato, e lui trova in Emanuela una grande serenità che lo aiuta a superare i momenti più difficili. Lui non ha neanche timore di parlarle di Dora, la sua prima moglie, e dell’affettuoso ricordo che lo legherà sempre a lei, ed Emanuela non sente affatto che quel ricordo possa togliere qualcosa al loro stare insieme. «Io ti accetto per quello che sei, per quello che puoi darmi, con la tua vita già vissuta che non mi appartiene, con quella da vivere che potrebbe essere anche mia».

Emanuela appoggia e sostiene il lavoro difficile e pericoloso di lui, convinta che il suo Carlo sarà in grado sempre di raggiungere gli obiettivi che si è proposto. Gli scrive in una lettera: «Non puoi deludere quanti credono in te e vedono l’unica parte pulita di questa sozza Italia». Lo appoggerà e lo sosterrà fino all’ultimo obiettivo. Quello più pericoloso. «La libertà e il rafforzamento delle istituzioni democratiche debbono essere difesi anche con il sacrificio della vita».

Mamma Antonia intuisce che quell’amicizia è diventata qualcos’altro, qualcosa di importante. Lo intuisce e comincia ad aver paura. Però vede anche la felicità sul viso di Emanuela, e questo non può che rendere felice anche lei. Senza ancora svelarle tutto, Emanuela le dice che desidera un uomo «col quale vivere sinceramente i miei sentimenti, i miei propositi. Un uomo che all’ultimo istante della sua vita possa tenere la sua mano nella mia.»

Così moriranno, abbracciati.

La mafia quel giorno perse la dignità uccidendo una donna per una delle poche intuizioni sbagliate del generale Dalla Chiesa.

Il saluzzese fu il primo, infatti, a capire che la mafia si poteva indebolire solo togliendole capitali. I mafiosi avevano già messo in conto che qualche anno di carcere, magari nel "Grand Hotel dell'Ucciardone" dove Buscetta sposò la figlia con 1.000 invitati, avrebbero dovuto farselo, ma poco male. L'importante era che non si andassero a toccare i capitali della mafia, il generale l'aveva capito e la mafia non poteva tollerarlo.

Pochi giorni dopo si celebrarono i funerali a Palermo e l’omelia del cardinale Pappalardo entrerà nella storia dando speranza a un popolo che con Carlo Alberto dalla Chiesa perdeva uno degli ultimi esempi: «Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici. E questa volta non è Sagunto, ma Palermo. Povera la nostra Palermo!». «Qui è morta la speranza dei palermitani onesti», recitava un cartello.

Non sarà così perché il sacrificio di Carlo Alberto dalla Chiesa, Emanuela Setti Carraro e dell’agente Domenico Russo rimane, a 41 anni di distanza, uno dei punti più bassi toccati dalla mafia e al contempo l’esempio più alto di coraggio e senso dello Stato.

Marcello Pasquero

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A MAGGIO?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare" su Spreaker.

WhatsApp Segui il canale di LaVoceDiAlba.it su WhatsApp ISCRIVITI

Ti potrebbero interessare anche:

SU