Attualità - 06 giugno 2023, 17:57

"Dragare i fiumi per prevenire le alluvioni? Inutile e dannoso": lo spiega uno specialista del Cnr

All'indomani del dramma che ha colpito la Romagna il geomorfologo e ricercatore Fabio Luino ha pubblicato un'analisi nella quale spiega come quella della pulizia dell'alveo dei corsi d'acqua sia una leggenda popolare. "Tutti parlano a sproposito"

Il monitoraggio della protezione civile a Cuneo durante la recente ondata di maltempo

Il monitoraggio della protezione civile a Cuneo durante la recente ondata di maltempo

Le alluvioni sono sempre più frequenti, ce ne stiamo rendendo conto tutti.

Nel mese di maggio quante aree dell'Italia sono state colpite da fenomeni di allagamenti ed esondazioni? Non parliamo solo dell'Emilia Romagna, drammaticamente colpita per ben due volte in una decina di giorni, ma anche di Toscana, Marche, Basilicata, Sicilia, Sardegna, Campania. In ultimo citiamo il Piemonte, in particolare la provincia Granda, che due settimane fa era in allerta arancione. 

Si è davvero temuto il peggio. Qualche esondazione c'è stata, qualche frana si è verificata, ma fortunatamente i danni sono stati contenuti.

Forse perché si sono finalmente dragati i fiumi, approfittando dei lunghi mesi di siccità che hanno interessato la regione e in particolare la provincia di Cuneo, con i fiumi praticamente asciutti?

Una domanda che vuole suonare sarcastica rispetto a quello che è il comune sentire, lontano da quella che è la realtà della scienza. Dragare i fiumi non solo non serve. Addirittura, crea danni.

Lo afferma, ma non è l'unico, Fabio Luino, geomorfologo e ricercatore nonché membro del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e dell'IRPI - Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica di Torino.

In un recente articolo pubblicato da Nimbus, Luino, proprio ragionanendo sui drammatici eventi alluvionali di maggio, parla della consueta polemica sui danni che questi eventi causano e sulla mancata pulizia dei corsi d'acqua, quasi sempre sul banco degli imputati.

Per Luino le cose non stanno così. "Mettiamo subito in chiaro che l’unica pulizia sensata è quella della vegetazione d’alto fusto, vale a dire quegli alberi che se estirpati dalla forza della corrente potrebbero ostacolare il libero deflusso delle acque, magari incastrandosi sotto le arcate di un ponte, così come il legname abbandonato negli alvei o accatastato contro i ponti da piene precedenti.

Si potrebbe anche rimuovere un grosso masso posizionato a monte di un ponte perché ridurrebbe la sezione di deflusso. Tutto qui. Per il resto, vale a dire vegetazione ripariale (arbusti e alberelli sulle sponde), ciottoli, ghiaie e sabbia sul fondo del corso d’acqua... lasciamoli dove sono.

Luino elenca poi i numerosi interventi dei politici all'indomani degli eventi alluvionali, citando due volte Salvini e una volta il nostro presidente della Regione Alberto Cirio sulla necessità, come si faceva una volta, di dragare i fiumi e abbassare il fondo dell'alveo. Ma per Luino non è così.

"Tutti parlano a sproposito perché non conoscono la geomorfologia fluviale: sono convinti che “dragare” possa far aumentare la sezione di deflusso del corso d’acqua e migliorare l’efficienza idraulica, non sapendo che dopo qualche mese o anno il corso d’acqua ricolmerebbe il materiale asportato con un deposito fresco preso in carico più a monte. Quindi, lavoro totalmente inutile.

Le esondazioni non sono favorite dal fatto che nell’alveo dei corsi d’acqua vi sia troppo materiale lapideo: sabbia, ghiaia, ciottoli che formano un “materasso” alluvionale che diminuisce lo spazio per fare defluire le acque.

Luino evidenzia come la gestione dei fiumi sia un lavoro complesso, soprattutto dove le attività umane hanno già fatto danni.

I fiumi hanno il loro spazio vitale, che quasi mai coincide con l'antropizzazione.

Luino continua, infatti, evidenziando come la gestione dei fiumi non implichi obbligatoriamente "la conferma dell’attuale assetto territoriale: si tratta quindi di analizzare gli attuali usi e programmare i possibili interventi utili per dar maggior spazio ai fiumi, anche attraverso la realizzazione di "casse di espansione" (o vasche di laminazione), vale a dire aree dedicate appositamente alle acque del fiume in piena. Sono enormi vasche realizzate non lontane dall'alveo, a monte dei centri abitati, proprio per evitare che le acque possano creare danni nelle zone antropizzate. Per esempio, Roma è protetta da un grande bacino di laminazione a Magliano Sabina per limitare le esondazioni del Tevere".

Nei decenni passati si è già cavato intensamente materiale dagli alvei, con danni enormi per l'innesco di erosioni. Luino sottolinea proprio questo aspetto: i danni che, nei decenni, sono stati causati proprio dall'asportazione dei materiali dall'alveo dei corsi d'acqua. 

"Asportare i sedimenti, purtroppo, è stato ampiamente dimostrato come alteri l'equilibrio del corso d'acqua, che nel giro di qualche anno tenderà a definire un nuovo profilo di equilibrio aumentando la propria azione erosiva sulle sponde e se queste sono protette asportando materiale dal fondo, determinando la scomparsa del materasso alluvionale presente e il conseguente restringimento dell’alveo stesso  Insomma più si scava e più il corso d’acqua si auto-approfondisce. Certamente questa pratica aumenta il rischio a valle perché accelera e concentra i deflussi (che non sono mai solamente liquidi), accentua di conseguenza il picco di piena e la sua velocità di trasferimento verso valle. E a monte? Oltre all’abbassamento diretto del livello del fondo nella zona di estrazione, l’escavazione modifica il profilo longitudinale, provocando un aumento locale di pendenza che tende a migrare verso monte, creando una erosione regressiva".

Ci sono anche gravi conseguenze sui ponti e sulla loro stabilità. "Spesso, in passato, lungo alvei pesantemente utilizzati per l’estrazione di inerti, abbiamo visto crollare ponti per sottoescavazione delle pile".

Danni anche in ambito agricolo e causa dell'arretramento delle spiagge.

"Concludendo, sarebbe utile non parlare proprio più di asportazione di materiale lapideo dagli alvei dei fiumi: bisognerebbe che lo capissero in primis i politici, gli amministratori e anche la gente comune, tanto legata alle tradizioni popolari. Gli studi che geomorfologi ed ingegneri da decenni conducono sui corsi d’acqua e che sono costati tanti sforzi... saranno serviti ben a qualche cosa?

Il problema della gestione degli eventi alluvionali non si risolve facendo scorrere più velocemente l’acqua, ma dissipandone l’energia".

L'articolo completo, corredato di immagini, è presente al seguente link:

http://www.nimbus.it/articoli/2023/230526DragareFiumiNonServe.htm

Barbara Simonelli

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