Nel giorno della Festa della Repubblica, venerdì 2 giugno, il castello di Grinzane Cavour ha ospitato il convegno “GENERAZIONE 1810 – dialoghi tra Barolo, Libertà e Talento”, dall’anno di nascita di uno dei più grandi statisti nati nel nostro paese, Camillo Benso Conte di Cavour, che di Grinzane fu sindaco.
Un convegno organizzato dall’assessorato al turismo e alle città creative Unesco dell’assessore Emanuele Bolla, che puntava a far dialogare diverse anime nel segno del confronto tra culture per andare oltre il buon cibo e il buon vino, declinati da Sara Roversi, presidente del Future Food Institute e membro del Google Food Lab, da Danilo Poggio, giornalista de La Cucina Italiana e dal vulcanico Bruno Ceretto, imprenditore vinicolo e promotore culturale, a cui sono state affidate le conclusioni, prima della premiazione dei talenti nostrani, da Linda Riverditi e Emiliano Blangero, dall'attore Paolo Tibaldi ai ragazzi di Wild Life Protection fino ai membri della protezione civile impegnati nel terremoto in Turchia e al comitato Razom.
Il convegno si è aperto con il racconto di Fatima Haidari, una ragazza di 24 anni come tante, cresciuta nell’Afghanistan dei talebani, prima e della guerra, poi. Nella terra delle promesse di liberazione ed emancipazione degli americani e dell’occidente intero. Promesse disattese, come ricordato dal giornalista de La Stampa Domenico Quirico, inviato di guerra, rapito in Siria e Libia e grande conoscitore dei conflitti nel Medio Oriente e nel Nord Africa.
Fatima, di etnia hazara-sciita, a sette anni lavora come pastorella sui monti dell’Afghanistan, in un contesto rurale di estrema povertà che per lei ha un futuro già scritto, fin quando non viene incuriosita da una parola che sente in radio e che la incuriosisce: “Educazione”.
Una parola che fatica a comprendere, ma che la turba e la stimola, anche se in famiglia il giudizio è perentorio: l’istruzione non è cosa per femmine.
Fatima ha raccontato al folto pubblico del Castello di Grinzane, di aver iniziato a studiare di nascosto ascoltando le lezioni dei ragazzi provando a esercitarsi a scrivere sulla sabbia, fino a quando, compiuti i dieci anni, Fatima si trasferisce ad Herat. Qui, nella grande città, la ragazza vede per la prima volta donne che studiano e che lavorano, un futuro a lei precluso.
Fatima inizia così a produrre di nascosto piccoli braccialetti e bigiotteria che vende ai negozi locali guadagnando i primi soldi per comprare libri e quaderni. Dopo tre anni, ha un piccolo gruzzoletto che le consente, nonostante le resistenze della famiglia, di iscriversi a un corso di inglese.
La ragazza diventa in pochissimo tempo assistente di lingue e guadagna 50 dollari al mese, uno stipendio di tutto rispetto in Afghanistan, ma non basta ancora, perché sogna di studiare giornalismo e iscriversi all’università.
Parallelamente la giovane e il suo coraggio diventano esempio e stimolo per le coetanee. Nasce così l’organizzazione Sun Girls che arriva a garantire l’istruzione a 300 giovani rifugiate con seminari e workshop per l’emancipazione femminile.
Durante gli anni dell’università in Fatima nasce una nuova vocazione quando le viene affidato un progetto di ricerca sulle attrazioni turistiche dell’Afghanistan scoprendo, lei stessa, una ricchezza culturale e architettonica unica al Mondo.
Fatima diventa così la prima guida turistica donna del paese, crea il primo account su Facebook e inizia a pubblicare le immagini delle bellezze dell’Afghanistan.
La voce si sparge e persino la Cnn la cerca per intervistare la prima guida turistica donna del paese asiatico, intervista a cui Fatima si concede con l’obiettivo di esortare le donne ad avere fiducia in loro stesse e a ribellarsi a un futuro già scritto.
Nel frattempo, la ragazza continua gli studi giornalistici e inventa un format radiofonico “Winner Women” in cui racconta le storie di donne che sono riuscite a realizzarsi combattendo contro tutto e tutti cercando di trasmettere il valore dell’essere donna, oltre la cultura tradizionale afghana.
A Grinzane Fatima ha ribadito: «Sicuramente è una bella cosa essere una buona casalinga e una madre, ma volevo far comprendere a ogni donna che può e deve credere ai suoi sogni, che ogni donna deve rispettarsi e saper rispettare le sue emozioni e i suoi sogni e che non è mai troppo tardi per iniziare a farlo».
Un messaggio che non può essere tollerato nella società patriarcale afgana e che inizia a scatenare i malumori dei talebani che, dopo la fuga degli americani nel 2021, tornano al potere.
Fatima diventa un bersaglio facile perché oltre ad essere una donna libera, “peccato” di per sé imperdonabile, fa parte della minoranza hazara-sciita: una popolazione di origine mongolica, perseguitata e sottoposta ad attacchi periodici da parte dei sunniti.
La ragazza racconta di un vero e proprio film dell’orrore, di giorni e notti passati sentendo gli spari dei talebani a pochi metri, delle minacce e delle percosse. Fatima fugge a Kabul, ma i talebani arrivano anche nella capitale, prova a scappare per mesi, prima in direzione Pakistan e, in seguito, Polonia, fino a quando un ragazzo non chiede loro 300 euro per aiutarla a scappare. La ragazza non ha più nulla da perdere e questa volta il tentativo è quello giusto perché riesce a salire su un aereo militare diretto in Italia, dove Fatima oggi vive, studia e prosegue nella sua opera di sensibilizzazione a favore delle donne afghane.
Parlando del nostro paese Fatima Haidari ha parlato della sua seconda casa, di un paese libero in cui le donne possono esprimersi, ma sappiamo tutti che molta strada resta ancora da fare per la piena uguaglianza tra uomini e donne nei ruoli, nei compiti, nel tenore degli stipendi e nelle possibilità di fare carriera.
Nel coraggio di Fatima, che oggi sogna di poter tornare in un Afghanistan finalmente libero, vedo la forza di tante donne vittime di sopruso che non devono essere lasciate sole.
In questi giorni in cui, purtroppo, i temi della violenza sulle donne e il femminicidio sono di estrema attualità, l’invito che arriva da Fatima e che mi sento di estendere è a non sottovalutare i segnali, a non lasciare correre, a non pensare che uno schiaffo o un pugno facciano parte dell’indole di un uomo, perché non è così e a denunciare alle autorità preposte o chiamando il numero anti violenza e stalking 1522.