Langhe - 16 aprile 2023, 20:00

TAGLIA 14-19: RACCONTI DALL’ETA’ DEI SOGNI/ Giuliana

Giuliana, la nuova compagna di classe, era appena stata presentata dal vicario del preside alla collettività scolastica della 4ª C. Il banco, approntato all’ultimo minuto dal bidello, dal piano di lavoro dal colore evidentemente più sbiadito e la seggiola tutta scarabocchiata, non rendevano l’accoglienza sufficientemente dolce.

TAGLIA 14-19: RACCONTI DALL’ETA’ DEI SOGNI/ Giuliana

“Taglia 14-19” è una raccolta di storie vere, riproposte sotto pseudonimo. Un progetto che nasce dopo tre anni di ricerca, tra fonti orali e scritte, tra studenti e studentesse delle superiori in età compresa, appunto, tra i 14 e i 19 anni. Amarezza, gioia ed emozioni palpabili riproposti attraverso i loro occhi, i temi scritti, i “pizzini” lasciati nell’agenda dell’insegnante, i messaggi durante i periodi di vacanza e i dialoghi sospesi tra un intervallo e l’altro. Ragazzi e ragazze che hanno una loro visione del mondo e della vita, anche se coglierle non è sempre così immediato.

L’autrice. Francesca Gerbi è un’insegnante di lettere e sostegno nelle scuole superiori, giornalista e scrittrice. Con l'editrice "La collina dei libri" ha appena dato alle stampe "La memoria di Viola", romanzo col quale affronta con delicatezza lo spinoso tema dell’Alzheimer.***


Giuliana, la nuova compagna di classe, era appena stata presentata dal vicario del preside alla collettività scolastica della 4ª C. Il banco, approntato all’ultimo minuto dal bidello, dal piano di lavoro dal colore evidentemente più sbiadito e la seggiola tutta scarabocchiata, non rendevano l’accoglienza sufficientemente dolce da smorzare i timori di una sedicenne catapultata in un ambiente così lontano dalle proprie radici.

“Mamma e papà continuano a ripetere che lasciare Taranto per trasferirsi al nord è un’opportunità da non perdere! Papà finalmente ha ottenuto la promozione che tanto ha desiderato, raddoppierà lo stipendio ed avrà una bellissima auto aziendale. Mamma ha già trovato un impiego part-time, così avrà più tempo da dedicare al fratellino e anche a me. Potrò finalmente iniziare il corso di padel già a fine settimana”, continua a ripetersi nella mente Giuliana, mentre cerca di accomodarsi tra il banco, il muro e la seggiola dell’aula. “Eppure quest’aula è così strana, diversa dalla mia 4ªA che affaccia sul giardino con le palme. Chissà Elena, la mia compagna di sempre, cosa starà facendo ora?”.

Lo sguardo della ragazza si perde tra le pagine del diario in cui legge e rilegge i “ti voglio bene”, i “non ti scorderò mai”, “pensami sempre” scritti e siglati dai vecchi compagni di scuola, cercando invano conforto alla solitudine.

Giuliana è splendida: una solare ragazza del sud, insolitamente bionda, dagli occhi azzurrissimi e profondi, la pelle lentigginosa, le forme minute e perfette, dall’aspetto più adulto rispetto alle compagne.

Si sente osservata, osservata tremendamente dai docenti, dai compagni, dalle altre studentesse.

“Parlano tutti in modo così strano”, nota. L’inflessione cantilenante, dialettale, i tanti modi di dire locali mai sentiti prima, che delineano i discorsi delle persone del nord, la legano ancora più forte alle sue origini.

Inizia la prima ora, il docente di economia le dedica un rapido ripasso del programma svolto da inizio anno. La classe sprofonda nella noia, in lunghi sbadigli. Il disagio per quella situazione si stampa sul volto di Giuliana, improvvisamente il suo umore precipita, la sua immaginazione torna sul lungomare di Taranto, al chiosco dei gelati vicino al Castello Aragonese, al ponte levatoio girevole, alla via sconquassata che porta nel centro storico semi-abbandonato: luoghi diventati banali per la quotidianità con cui ci passava e ripassava svogliata più volte al giorno. Ma ora, invece, quei luoghi così tremendamente normali dissanguano un animo ferito.

Suona la campanella, forte, stridula. Entra in classe l’insegnate di matematica con la sua stazza imponente, ma dallo sguardo benevolo ed attacca a recitare, come incipit di ogni lezione, l’appello.

“Solo il prof di matematica, con il suo accento barese mi sta simpatico. Anzi, mi sta davvero tanto simpatico. Assomiglia  allo zio”.

La mente della ragazza non si adatta a quel nuovo panorama che si staglia fuori dalla finestra: le montagne innevate, i vigneti che corrono quasi ininterrotti sulle colline. “Il mare, mi manca il mare”, continua a pensare Giuliana.

Il professorone le rivolge una domanda, richiamando un paio di volte l’attenzione. La ragazza cade dalle nuvole, dai suoi pensieri. Una compagna dallo sguardo contratto la aggredisce con una esclamazione dialettale incomprensibile per la giovane. La classe ride, sbraita, esce a gran voce dalle retrovie qualche epiteto sulle sue origini.

Prima che il docente richiami il silenzio, scende una lacrima, il volto arrossisce e lei, di scatto, esce nel corridoio. Gira a destra, poi a sinistra, alla ricerca del bagno. Spaesata, corre verso la bidelle, ria, senza un rifugio verso cui dirigersi.

Il volto si affossa in un rivolo continuo di lacrime, in un pianto quasi fanciullesco. L’anima sanguina, non trattiene lo sconforto.

“Non ce la posso fare, qui non ci voglio stare”, pensa senza darsi un’alternativa, senza sperare in un’opportunità, senza proferire parola.

La bidella amorevole, quella dolce che c’è in ogni scuola, con il grembiulone azzurro e smisuratamente grande che profuma di ragù, la abbraccia: «Cuore mio, nun te preoccupà. Se piagne, se piagne, ma nemmeno qui il mondo fa tantu schifío».

Anche se l’opinione pubblica si focalizza sulla tragedia dei barconi che si spezzano ed affondano in mare, strappando la vita entro acque sapide ed agitate, il migrare può strappare la vita anche nella mite quotidianità, tra gli agi di una famiglia tradizionale italiana, “normale”.  Ma le ferite sono meno profonde? Basta un abbraccio fraterno, pieno d’amore, a ridarti la vita, a donare speranza, a riempire quel vuoto in un’apparente “fortunata” adolescenza?

Forse sì, ma le radici non possono essere tagliate con impeto, perché possono ricrescere, rigenerarsi, ma porteranno con sé, in eterno, una cicatrice inguaribile.

Francesca Gerbi

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