Curiosità - 06 marzo 2021, 11:03

Silenzio - BECK: Mongolian Chop Squad

“L’Ultimo Concerto?” è stato un gesto di protesta forte, fortissimo, toccante, irritante anche (come tutti i gesti di protesta dovrebbero essere). E un atto d’amore, disperato e straziante, per la professione musicale e per tutti quelli che, in ogni senso, la praticano

Silenzio - BECK: Mongolian Chop Squad

“BECK: Mongolian Chop Squad” è una serie manga uscita dal febbraio 2000 al maggio 2009 e racchiusa, in Italia, in 34 volumi a opera di Harold Sakuishi, da cui nell’ottobre 2004 è stata tratta una serie anime ad opera di Osamu Kobayashi.

Protagonista è il giovanissimo Yukio Tanaka che, per un caso puramente fortuito, conosce Rysuke Minami, un chitarrista grunge con diversi contatti negli Stati Uniti; i due, facendo amicizia e assieme a Taira Yoshiyuki, Chiba Tsunemi e Yuji Sakurai, formeranno i “Beck: Mongolian Chop Squad”, un gruppo con il sogno di sfondare in America.

Sono tanti, tantissimi, i settori produttivi che la pandemia – e le sue varie, ricorrenti, ondate – hanno reso inermi e inerti, spezzato, messo in ginocchio. Tra questi, e se ne è fatto davvero un gran parlare in settimana, quello del mondo della musica dal vivo spicca su tutti: una macchina produttiva che va molto oltre ai “musici” veri e propri e si allarga agli addetti ai lavori e ai tecnici di ogni tipo e genere, oltre ovviamente ai gestori dei locali che dell’espressione “live” della musica facevano il proprio centro focale.

Esattamente una settimana fa si è tenuta l’iniziativa “L’Ultimo Concerto?”, ispirata da un’omonima spagnola, di pura sensibilizzazione rispetto alla situazione degli operatori della musica: circa 130 live club di tutto lo stivale hanno organizzato, per una sola serata, un live streaming con altrettanti gruppi, cantautori e cantanti… che non è mai avvenuto. O meglio sì, i palchi erano pieni, ma non c’è stata musica. Così come non c’è stata nell’ultimo anno.

Un gesto di protesta forte, fortissimo, toccante, irritante anche (come tutti i gesti di protesta dovrebbero essere). E un atto d’amore, disperato e straziante, per la professione e per tutti quelli che, in ogni senso, la praticano.

È in momenti come questo che mi torna in mente una delle serie a fumetti e anime che hanno accompagnato la mia adolescenza, quando MTV trattava ancora di musica e cultura popolare. “BECK: Mongolian Chop Squad” era una ventata d’aria fresca per l’Italia convinta che un anime dovesse parlare soltanto di botte da orbi e alieni con la coda di scimmia, uno spaccato su un Giappone fatto di giovani annoiati e senza una prospettiva futura, e che trovano nella musica non solo una valvola si sfogo ma il senso stesso della propria vita, un mezzo per vivere un sogno.

Ed è questo che dovrebbero sempre essere l’arte e l’espressione creativa. Oltre che, ovviamente, un modo dignitoso per dare da mangiare a se stessi e alla propria famiglia.

Credo che, davanti al silenzio desolante e alla (apparente) totale indifferenza dimostrata in quest’ultimo anno da chi ha preso le decisioni rispetto allo sviluppo della pandemia nel nostro paese, ci sia davvero poco da dire. Silenzio contro silenzio, perché è solo a un passo dal baratro -  o nel baratro, direttamente – che ci si può davvero voltare indietro e ripercorrere i propri passi: serviva davvero una manifestazione come “L’Ultimo Concerto?”, specie a pochi giorni dall’inizio di un “Festivàl” che ha relegato la trattazione a piccoli accenni e all’esibizione sul palco di una delle 26 realtà in gara (pregevole e sensata, toccante e sacrosanta quanto si vuole).

Perché, e ve lo dice uno che il carrozzone con annessi e connessi di Sanremo lo attende sempre con curiosità e interesse, almeno tanto quanto i pranzi di Natale con tutti i parenti riuniti (soprattutto quelli che poi non vedrai più per tutto il resto dell’anno), il mondo della musica non è quel carrozzone lì. Ma sono gli altri, quelli che sono rimasti in un silenzio, questa volta sì, assordante.

Sono i BECK, un gruppo scarmigliato e disastrato di giovinastri giapponesi. E siamo anche noi, pubblico, spettatori, fruitori. O, almeno, siamo pronti a tornare a esserlo.

simone giraudi

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