Lo scorso 12 febbraio il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante una seduta del Parlamento europeo, è stato duramente attaccato dal belga, leader dei liberali, Guy Verhofstadt. Pur ricordando che “l’Italia è il luogo dove è nata la civiltà europea” e che “la degenerazione politica attuale” del nostro Paese “è iniziata almeno vent’anni fa”, Verhofstadt ha chiesto al premier: “Per quanto tempo ancora sarà il burattino mosso da Salvini e di Maio?”.
Si può condividere nulla dei provvedimenti messi in campo dal Governo Lega-5 Stelle - tra l’altro l’unico possibile dopo le elezioni del 4 marzo 2018 -, ma non si possono accettare gli insulti perché offendono l’intera nazione. Chi rappresenta le Istituzioni di un Paese, in quel momento rappresenta tutti i cittadini di quel Paese.
Di conseguenza, Conte, pur con i comprensibili distinguo, doveva essere difeso dai politici di tutti i partiti. Altrimenti è come veder screditare tuo padre, ma non correre in suo soccorso perché con lui hai litigato. Ecco cosa manca in Italia: il senso delle Istituzioni e il rispetto di chi le guida.
Salvini e Di Maio non sono andati al potere da soli, ma ce li hanno mandati gli italiani. A grande maggioranza. E Conte, pur non essendo stato eletto, è stato scelto da loro come persona capace di mediare le difficoltà del contratto di governo firmato da Lega e 5 Stelle.
Se la situazione non va più bene, in democrazia c’è un’unica via maestra: votare di nuovo. Ma è una strada difficile da percorrere quando le opposizioni non graffiano, in quanto prima devono nascondere sotto il tappeto la polvere che hanno sollevato e di cui si sono nutriti per anni.
Solo quando ci sarà un’alternativa credibile si potrà mandare a casa Conte. Evitando, però, di dirgli che è un burattino.