Buon onomastico… A Silvia.
Il 3 novembre si festeggia la musa di Giacomo Leopardi. Un «Dì solenne», avrebbe detto lui, «Se anche tutto al mondo passa e quasi orma non lascia, risveglia ancora in noi un palpito il canto, la sua beltà è intatta».
Mettiamo da parte i ricordi agrodolci delle lezioni dei professori del liceo e prendiamoci il tempo per gustarci la storia e le curiosità di una donna resa immortale dalla letteratura italiana.
Silvia deriva dal latino “silva”, selva, bosco, e significa “fanciulla dei boschi”. Nel martirologio romano si legge che Silvia è la madre del papa san Gregorio Magno e, secondo quanto lo stesso Pontefice riferì nei suoi scritti, raggiunse il vertice della vita di preghiera e di penitenza e fu per il prossimo un eccelso esempio.
Nella mitologia romana, Rea Silvia era la madre di Romolo e Remo, una vestale (una sacerdotessa, sacra e vergine, custode del culto di Vesta) che fece l’amore con il dio Marte e che fu sepolta viva a causa di questo grande peccato.
Non a caso Leopardi scelse questo nome per la sua poesia, e non quello della persona reale della quale si pensa fosse invaghito e ispirato, ovvero la figlia del suo cocchiere. Il poeta di Recanati volle anche omaggiare Torquato Tasso, che nell’Aminta aveva raccontato l’amore non corrisposto di un pastore per una ninfa mortale, Silvia.
Tra Giacomo e la ragazza, proprio come per Aminta e Silvia, non si consumò mai una storia d’amore: il ricordo vitale di quella figura femminile, che sicuramente aveva a lungo osservato dalla sua finestra, diventò però l’occasione per scrivere uno dei suoi capolavori, la stupenda lirica “A Silvia”, che generazioni e generazioni di studenti hanno studiato e continuano a studiare. Molti l’hanno anche imparata a memoria.
Recitiamo la prima strofa? «Silvia, rimembri ancora / quel tempo della tua vita mortale, / quando beltà splendea / negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, / e tu, lieta e pensosa, il limitare / di gioventù salivi?».
Centonovantasette anni dopo aver composto quei versi immortali, Giacomo Leopardi, se fosse qui tra noi, potrebbe essere pervaso da un moto di soddisfazione, vedendo la sua musa dipinta in un’opera tra incanto e pathos.
La Silvia, persa in pensieri soavi, speranze e cori, sboccia infatti nel quadro realizzato dal pittore Franco Gotta, che si può ammirare, insieme ad altre tele dell’artista, presso il bar Arpino di Bra.
Ma dietro alle sapienti pennellate di quelle forme e di quel contesto di assoluta armonia, si cela anche un appassionato aforisma dello scrittore Fabrizio Caramagna: «C'è una luna in cielo morbida come il tuo corpo che esce dal mare, luminosa come le parole che pronunci ogni volta». Fantastico.