Farinél - 28 settembre 2025, 10:21

FARINÉL / Dopo tre anni la prima domenica senza Farinèl: ecco perché

Il racconto di una settimana vissuta a diretto contatto con il Sistema sanitario nazionale dopo una rovinosa caduta a margine di Cheese per il nostro Farinél, con qualche ombra, ma, soprattutto, con le luci dell’umanità di tanti medici e infermieri che spingono a difendere e augurare lunga vita alla nostra martoriata, ma meravigliosa sanità pubblica

Sono da poco passate le 2 della notte tra sabato 20 e domenica 21 settembre. Fuori l’estate cede spazio all’autunno, ma dentro di me sento arrivare l’inverno, il freddo, il buio, quando un infermiere si avvicina lentamente alla barella su cui mi trovo disteso, ancora frastornato dalla caduta. Istintivamente, il mio sguardo si posa sul polso, piegato in modo innaturale a novanta gradi: un’immagine che da sola basterebbe a togliere ogni speranza che si tratti soltanto di una semplice contusione. Cerco un confronto, una parola che possa farmi capire la reale entità dell’infortunio, così chiedo all’infermiere, quasi con timore: “È grave, vero?”.

L’uomo mi osserva con uno sguardo partecipe, poi con tono serio conferma quello che ormai temo: “Sì, è una frattura multipla, scomposta.” Le sue parole, pur non sorprendendomi, mi colpiscono come un macigno. Davanti all’evidenza della gravità della situazione, non riesco a trattenere le lacrime: la consapevolezza si fa spazio tra il dolore fisico e quello emotivo.

Raccolgo le forze e provo a spiegare all’infermiere quanto quella mano, ora così fragile, sia stata centrale nella mia vita professionale. Racconto che, da giornalista, con quella stessa mano ho scritto più di seimila articoli, e ora, davanti a questa prospettiva incerta, tutto mi appare improvvisamente stravolto e difficile da immaginare. In quel momento, la paura di non poter più scrivere come prima si mescola al dolore e alla fragilità, rendendo la notte ancora più lunga e carica di preoccupazione per il futuro.

(Marcello Pasquero, il nostro "Farinèl", ingessato)

Non potrò mai dimenticare quell’infermiere che, pur essendo uno sconosciuto di cui ignoro persino il nome, mi ha accarezzato la guancia e asciugato una lacrima. Con un gesto delicato e parole di conforto, non scontate, non dovute e per questo ancora più importanti – “vedrai che nel giro di qualche mese tornerai a scrivere meglio di prima” – ha saputo infondere speranza in un momento di profonda fragilità. Il suo intervento, seppur breve, ha lasciato un segno indelebile nel mio cuore, soprattutto considerando il carico emotivo che gravava sulle corsie in quell’istante. Uno straordinario atto di gentilezza gratuita.

Nella stanza accanto, un ragazzo di diciannove anni stava combattendo tra la vita e la morte dopo essere stato accoltellato al Caffè Latino. Malgrado la gravità della situazione in reparto, l’infermiere ha trovato il tempo e la sensibilità per occuparsi di me, dedicandomi un attimo di umanità che difficilmente riuscirò a dimenticare. Questo episodio rappresenta una delle tante luci che ho incrociato durante la settimana trascorsa nell’ospedale “Michele e Pietro Ferrero di Verduno”, dopo una serata spensierata vissuta ai margini della seconda serata di Cheese.

Le luci che ho incontrato, fatte di gesti semplici ma profondi, sono strettamente legate alla grande umanità che permea le corsie dell’ospedale. Tuttavia, non si possono ignorare le ombre che spesso affliggono il sistema sanitario locale. Come tutti, ho dovuto attendere sette ore steso su una barella in pronto soccorso per l’arrivo dell’ortopedico di turno la domenica mattina.

Ore interminabili, cariche di angoscia e tristezza, circondato dal dolore.

Le ore che solitamente dedico a scrivere questa rubrica sono state invece scandite da dolori intensi, mentre l’ortopedico cercava di ricomporre, almeno parzialmente, le fratture multiple del mio polso. Questi momenti, vissuti tra speranza e sofferenza, hanno reso ancora più evidente il valore dei gesti di umanità che brillano tra le difficoltà quotidiane dell’ospedale.

Anche da parte dei medici ho incontrato comprensione ed empatia a partire dall’ortopedico Diego Antonucci che mi ha subito informato della gravità della situazione avvertendomi che sarebbe stato necessario operare al più presto.

Di fronte alla mia preoccupazione di non poter partire per il Kenya a fine ottobre il medico mi ha garantito che con l’operazione mi avrebbe fatto salire sull’aereo puntuale il 22 ottobre in tempo per partecipare, in diretta dall’Africa all’Asta mondiale di Barolo en Primeur.

Un altro atto di gentilezza e bellezza gratuito e per questo ancora più bello.

L’operazione è stata subito fissata per mercoledì 24 settembre, preceduta da una giornata di esami e visite martedì 23 settembre. Per me si trattava della prima volta in sala operatoria, dall’asportazione delle tonsille avvenuta quando ero bambino.

Durante tutta la mia degenza, ho potuto constatare come il personale sanitario si sia costantemente prodigato per infondermi tranquillità e attenuare la mia tensione, andando ben oltre il semplice dovere professionale. Non si è mai trattato di un freddo adempimento di compiti, ma di una presenza umana autentica, capace di farmi sentire accolto e compreso in un momento di estrema vulnerabilità.

Questa sensazione di essere circondato da umanità non mi ha mai abbandonato, neanche dopo l’operazione: anche nel reparto di day surgery, la presenza degli infermieri è stata costante e attenta, sia durante il giorno che, soprattutto, nelle lunghe ore notturne in cui il dolore si faceva più acuto. In particolare, mi ha profondamente toccato la dolcezza e la capacità empatica dell’infermiera di turno, rivolta sia a me che al mio compagno di stanza.

Riflettendo su quei momenti, mi rendo conto di quanto sia difficile per i professionisti della salute trovare il giusto equilibrio tra empatia e coinvolgimento personale: riuscire a comprendere il dolore dell’altro senza lasciarsene sopraffare è una qualità rara, che ho avuto la fortuna di incontrare in ciascuno di loro. Questo equilibrio ha reso la mia permanenza in ospedale, pur non facile, molto più sopportabile e meno gravosa.

L’efficienza e la dedizione del personale sono emerse chiaramente anche nell’organizzazione delle dimissioni: la presenza puntuale dell’ortopedico alle sette del mattino e il lavoro coordinato dell’intera équipe hanno permesso di accelerare tutte le procedure necessarie, superando gli ostacoli e i rallentamenti imposti dalla burocrazia.

Ancora una volta, mi sono reso conto di quanto la qualità delle persone sappia andare oltre i limiti strutturali del sistema sanitario nazionale. Pur riconoscendo le sue criticità, credo fermamente che il nostro sistema sanitario sia una risorsa preziosa da difendere e di cui andare fieri, un esempio riconosciuto a livello mondiale.

Anche se la frattura che ho subito richiederà mesi di visite e potrebbe lasciare segni permanenti, guardando indietro a quella notte trascorsa fra dolore e lacrime su una barella, sono certo che ciò che rimarrà nel tempo sarà il ricordo di quella mano gentile che ha asciugato le mie lacrime. Quel gesto racchiude il vero spirito del nostro sistema sanitario: una struttura che, pur con le sue fragilità, si fonda sulle basi più solide, quelle dell’umanità.

Questo Farinél ma anche quello mai scritto della scorsa settimana lo voglio dedicare a questi piccoli grandi eroi che ogni giorno curano con comprensione e sensibilità le migliaia di persone che quotidianamente si rivolgono alle cure ospedaliere.

Sono loro il cuore pulsante di un sistema che, nonostante le difficoltà, continua a brillare per il suo valore umano.

Marcello Pasquero