Oggi parliamo di una montagna che resiste, di un’attività che dura da vent’anni grazie a chi l’ha creata e ci ha sempre creduto e soprattutto non ha mai mollato.
Era il 20 marzo 2005 quando Massimiliano aprì per la prima volta le porte del suo agriturismo. Prima c’erano stati gli anni dei lavori stagionali, il servizio militare, i primi animali e soprattutto la lenta ristrutturazione di un edificio antico, una cascina piemontese con l’esposizione a sud, il grande portico e i segni del passato contadino da salvare. “Ho cercato di mantenere la morfologia originale – racconta – anche i particolari quelli più caratteristici, perché sono la storia rurale di un tempo. Quando sono arrivato era già tutto abbandonato da anni, ma mi sembrava giusto restituire vita a quei muri.”

Il nome, Cascina Veja, non è stato frutto di marketing o di studi di comunicazione. È semplicemente piemontese: “Veja” vuol dire “vecchia”. Non un’etichetta accattivante, ma la verità delle radici. E proprio da quelle radici è partita l’avventura di Massimiliano, cresciuto tra castagneti e prati, con i nonni e una famiglia originaria delle Valle Pesio. Dopo il diploma alberghiero, qualche stagione da cuoco e il servizio militare. Convince i suoi genitori ad acquistare l’antica cascina di cui si era innamorato. L’idea iniziale era quella di creare un birrificio, subito trasformata in progetto di agriturismo quando la Regione, con le Olimpiadi del 2006 alle porte, iniziò a incentivare la creazione di camere e ospitalità.
Il sogno prese forma.

“Non è stato facile – ricorda – i lavori sono andati avanti anni, con i permessi, i finanziamenti, gli imprevisti. Ma alla fine ce l’abbiamo fatta, e nel marzo 2005 ho aperto.” Da allora sono passati vent’anni. Venti anni in cui è cambiato tutto: il modo di lavorare, di comunicare, di cucinare e perfino di viaggiare. All’inizio Internet era un computer acceso una volta al giorno, con il rumore del modem e due mail spedite in tutto. Oggi le prenotazioni arrivano in tempo reale su WhatsApp, insieme a notifiche continue e richieste last minute.

In cucina c’è sempre stato lui. Non “chef”, ma cuoco. Una cucina semplice, contadina, che parte dall’orto e dall’allevamento. In estate si preparano le conserve, la giardiniera in vetro, i fagiolini raccolti e messi via, le verdure maturate al sole. Sul tagliere arrivano i formaggi prodotti in casa, le ricotte fresche trasformate con fantasia, la pasta tirata a mano, i dolci fatti al momento. “Con l’aiuto di Diletta e di alcuni collaboratori – racconta – facciamo noi dagli antipasti ai dessert. Ma non sempre chi viene a mangiare lo nota davvero. A volte sembra quasi che sia scontato, come se i piatti arrivassero da soli. Invece dietro c’è tempo, lavoro, stagioni intere.”

Il lavoro agricolo è la base di tutto: i castagneti che ancora oggi danno frutto, i piccoli frutti trasformati in composte, gli allevamenti che negli anni hanno visto capre, pecore e maiali. Non sempre le cose sono andate lisce. “Ho sbattuto il naso più volte – ammette – ma ogni errore mi ha insegnato qualcosa.” Con il tempo ha imparato a misurare le forze: meno animali, più attenzione, trasformazioni più strutturate, un laboratorio attrezzato. Anche i maiali, nutriti con il siero del formaggio e le patate del campo, sono stati per anni motivo di orgoglio.


Chi coglie fino in fondo il valore di questo lavoro spesso arriva da lontano. “Chi viene dalla città lo nota subito: l’uovo fresco, la fetta di formaggio con la marmellata, il pomodoro raccolto maturo. Sono abituati al gusto standard del supermercato, dove il pomodoro viene raccolto verde e finisce in frigo. Qui invece tutto ha un sapore diverso, e lo sentono.” Non è un’accusa ai locali, è una dinamica diffusa: chi vive quotidianamente la campagna tende a dare per scontato certi sapori, chi arriva da fuori li riscopre con stupore.

In vent’anni anche l’agriturismo è cambiato. All’inizio si facevano grandi tavolate, eventi e ristoranti pieni fino a notte fonda. Oggi i tavoli sono meno, gli spazi più intimi. Non solo per necessità – la difficoltà a trovare personale, le regole severe per il lavoro dei ragazzi – ma anche per scelta. “Ho ridotto i coperti e tengo solo la cena. Così seguo meglio le camere al mattino, curo gli acquisti, e soprattutto non vivo solo per lavorare. Con il tempo impari che la vita non può essere soltanto fatica e orari infiniti.”

La stagionalità resta padrona: primavera e autunno portano il pieno, l’estate è sempre una scommessa, l’inverno lungo e silenzioso mette alla prova chi resiste. L’autunno è anche tempo di fiere, di turisti stranieri, di tedeschi e francesi che si muovono ancora quando la valle si svuota. Ed è anche il momento della bottega: marmellate, conserve, cesti da comporre, un modo per portarsi a casa il sapore della cascina. “È bello vedere la gente che sceglie un vasetto di confettura o un formaggio per riempire il cesto. È un pezzo della nostra vita che viaggia con loro.”

Massimiliano non è solo. Al suo fianco c’è Diletta, la compagna che arriva da Roma, che da vacanziera si è trasformata in residente e ha rubato il cuore di Massimiliano. Lei che ha portato un tocco femminile prezioso: i dolci, l’accoglienza, i dettagli curati. “Lei porta una sensibilità diversa – racconta – e gli ospiti lo sentono. Ha reso la cascina più calda, più accogliente.” In cortile le oche si sono addomesticate, restano tranquille accanto agli ospiti che leggono al sole. Ci sono fiori, lavanda, piccoli segni che fanno subito accoglienza e danno respiro all’ambiente.

Alla fine, tutto si riduce a una scelta. “Per un giovane che oggi vuole provarci servono passione vera e la consapevolezza che è una scelta di vita. È bellissimo dire mi trasferisco in montagna d’estate, ma in novembre, quando non vedi nessuno, è diverso. Se però ti piace davvero abitare qui, allora ne vale la pena.” È la stessa passione che vent’anni fa ha portato Massimiliano a rimettere mano a una cascina abbandonata, a piantare di nuovo nei campi, a credere che in montagna ci fosse ancora spazio per costruire qualcosa.
Il posto è davvero bellissimo. Ci sono 6 camere arredate con stile, il ristorante con 20 coperti e una bella sala con poltrone e caminetto. Sotto il locale un grande sorpresa: il locale di stagionatura per salumi e formaggi. Interno ed esterno curati nei minimi dettagli per farti sentire accolto e coccolato. C’è un futuro in vista per questa cascina, Ginevra, la figlia Massimiliano ha iniziato l’istituto turistico linguistico e chissà che un giorno non voglia proseguire con l’attività. Al momento aiuta in piccoli compiti con tanta passione.

Oggi tutto è più veloce: prenotazioni lampo, social, comunicazioni istantanee. Ma alla Cascina Veja non si recita la campagna, la si vive. La terra si lavora davvero, i castagneti continuano a dare, gli animali hanno i loro tempi. Si possono acquistare i loro prodotti, trovare ricette autentiche senza rivisitazioni.Questa non è nostalgia, ma resilienza concreta. Meno tavoli, più cura. Meno rumore, più verità. Una cascina “veja” che guarda avanti senza tradire ciò che la rende unica. Per info https://www.cascinaveja.com

























