La stagione estiva dei rifugi alpini in provincia di Cuneo sta volgendo al termine. In genere si apre a metà giugno e si chiude a settembre, con qualcuno che prova a spingersi fino a ottobre. È tempo di bilanci, e dalle voci dei gestori emerge un quadro positivo ma con ombre che non possono essere ignorate.
Al Quintino Sella, ai 2.640 metri della Valle Po, la stagione è stata “sicuramente positiva”, con affluenza stabile ma con un chiaro aumento dei frequentatori della montagna. “Più gente significa più problemi, meno esperti in giro e un ambiente sempre più fragile”, ammette il gestore.
Dal Vallanta, in Val Varaita, arriva lo stesso entusiasmo: “È andata benone, meglio dell’anno scorso. Lavoriamo da anni soprattutto con stranieri, quest’anno anche da Canada e Australia”. Il giro del Monviso continua dunque a richiamare un pubblico internazionale.

Non ovunque però il bilancio è positivo in toto. Al Migliorero (Valle Stura) si parla apertamente di un agosto difficile: “Tanti più pernottamenti – sostiene il gestore -, ma in giornata ci hanno fatto dannare l’anima. La maleducazione è aumentata, arrivano senza abbigliamento adeguato e con pretese fuori luogo. Agosto non vedevamo l’ora che finisse”.
Una testimonianza che trova conferme anche altrove. Al Garelli (Valle Pesio) raccontano: “Dopo il Covid c’è più gente, ma anche più maleducazione. C’è chi viene senza sapere cosa significhi stare in un rifugio. Molti hanno l’ansia di arrivare in cima a tutti i costi, anche senza la preparazione necessaria”.
Non tutti però denunciano lo stesso problema. In Valle Gesso, al Bozzano spiegano che “i giornalieri sono praticamente scomparsi già da tre anni”, mentre al Pagarì, a oltre cinque ore di cammino, non ci sono mai stati: “Io non faccio pubblicità, solo passaparola. E in più, chi non è avvezzo non affronta un percorso del genere”. Qui la clientela è soprattutto locale, con genovesi e cuneesi in prima fila, a testimonianza di un legame storico con le Marittime.
La tendenza più omogenea riguarda invece i pernottamenti: quasi ovunque dominano gli stranieri. Sempre in Valle Gesso, al Genova “ormai quasi solo tedeschi”, mentre in Valle Ellero al Mondovì “più stranieri che italiani”, e al Migliorero (Valle Stura) prevalgono tedeschi, francesi e svizzeri. Persino al Garelli, ancora nella Valle Gesso ma a quota relativamente bassa, si registra una crescita costante di olandesi, francesi e gruppi organizzati.

Su tutti pesa però sempre il meteo. Al Navonera (Val Corsaglia) raccontano di un luglio “morto”, al Garelli si lamentano delle previsioni troppo pessimistiche che hanno frenato l’afflusso, mentre altri rifugi hanno lavorato meglio proprio perché “quest’anno ha piovuto poco”. Il caso del Dante Livio Bianco, in valle Gesso, dove il gestore era al primo anno di attività: “Non ho riferimenti con altre stagioni, ma l’affluenza è stata ottima”. Qui la clientela è quasi prettamente italiana e improntata al “mordi e fuggi”
Il bilancio della stagione lascia dunque due verità: da un lato la montagna cuneese gode di un’attrattiva crescente, che porta lavoro e riconoscimento internazionale; dall’altro, l’aumento dei visitatori espone rifugi e vallate a rischi concreti. Non è solo una questione di numeri, ma di atteggiamento.
Chi sale in montagna senza riguardo, ma anche senza preparazione e consapevolezza dell'ambiente, non solo rovina l’esperienza agli altri ma compromette anche l’ambiente. I rifugi non possono essere considerati come ristoranti d’alta quota, né in stazioni di passaggio per turisti distratti: nascono per ospitare, certo, ma soprattutto per custodire e trasmettere la cultura della montagna. Che non si consuma, ma si vive. Con rispetto.














