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Al Direttore | 22 giugno 2025, 14:52

Antonio Ciaramella (Anpi Cuneo): “Ecco perché nella nostra Costituzione è scritto che «l'Italia ripudia la guerra»”

Così l’articolo 11 della Carta. "(…) Questo era il sentimento comune degli italiani di allora e questo dovrebbe essere per sempre. I movimenti pacifisti, seppure a volte derisi, si richiamano ripetutamente a questa norma per chiedere la non installazione dei sistemi di armi missilistiche, per dire "no" alla corsa insensata al riarmo, alla fabbricazioni di bombe nucleari quale ipocrita deterrenza all’aggressione"

Missili sui cieli dell'Iran (foto Adnkronos)

Missili sui cieli dell'Iran (foto Adnkronos)

Scrive al nostro giornale Antonio  Ciaramella, dallo scorso 27 maggio presidente dell'Anpi Sezione di Cuneo. Con piacere riportiamo integralmente il suo intervento dal titolo "L'Italia ripudia la guerra".

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L’Italia ripudia la guerra” è l’incipit dell’articolo 11 della Costituzione.

La Costituente poteva usare semplicemente il verbo "rinunciare", invece lo ha declinato in "ripudiare".

È un asserzione forte che significa respingere, escludere, rifiutare, non voler aver nulla a che fare, non riconoscere come proprio l’orrore sofferto durante il ventennio fascista e l’esito dell’immane conflitto mondiale, ove si era inabissata il diritto, la libertà, la ragione, l’umanità intera.

Non aver più nulla a che fare con la Seconda Guerra mondiale che aveva sortito il bilancio di 62 milioni di morti; in Italia circa 330mila militari caduti, 85mila civili, 9.000 deportati perché ebrei, poi per motivi politici, etnici, addirittura omosessuali. Non di meno devastazione di imprese, operai dismessi perché scioperanti e deportati in fabbriche tedesche, ed ancora terre incolte, allevamenti saccheggiati e case distrutte.

Non era una norma dettata dallo stato d’animo, ma ha una precisa e superiore norma giuridica.

556 deputati, donne e uomini di ogni estrazione politica, non lo hanno affermato per sé, per la forma di Stato che si stava delineando per provocare una cesura con la monarchia complice della follia fascista, ma per l’Italia tutta, dalle Alpi all’Appennino comprese le isole. Quel dettato per cui “ogni oggetto animato e inanimato”, declama un inno, “no alla guerra” come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

Questo era il sentimento comune degli italiani di allora e questo dovrebbe essere per sempre. I movimenti pacifisti, seppure a volte derisi, si richiamano ripetutamente a questa norma per chiedere la non installazione dei sistemi di armi missilistiche, per dire "no" alla corsa insensata al riarmo, alla fabbricazioni di bombe nucleari quale ipocrita deterrenza all’aggressione.

Tutto quello che sta avvenendo è semplicemente una contraddizione al dettato costituzionale   

La seconda parte della norma continua con una affermazione di fede: la fede che nei rapporti umani, nei rapporti tra i popoli, la forza di persuasione e del diritto internazionale prevalga sulla violenza e sull’arbitrio.

In essa è detto: “L’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessaria ad un ordinamento che assicuri la pace  e la giustizia tra le nazioni, promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

L’Italia della Liberazione aveva maturato la ferma volontà di evitare che potesse ripetersi il “male assoluto”, la dittatura; nutriva la ferma volontà di condannare qualsivoglia forma di violenza al fine di prevaricare, opprimere e aggredire altri popoli; la forte negazione all’uso della forza per occupare militarmente territori altrui, annettere o distruggere una Nazione, o peggio eliminare un’etnia.

Con questo norma giuridica, si afferisce con un fiero colpo ai principi tradizionali dell’assoluta sovranità dello Stato, il nazionalismo che disconosce alcun ente a sè superiore né concepisce alcuna possibile subordinazione.

La Carta strappa in modo netto tali satrapi e mira a una più concreta “fratellanza” tra i popoli che consenta l’attuazione e lo sviluppo di unioni economiche, militari e politiche  a patto che intendano realmente servire la causa della pace e degli interessi dei popoli.

Nonostante il fallimento delle “Società delle Nazioni”, la Carta individua l’organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e le comunità europee, quest’ultima intesa quale frutto del Manifesto di Ventotene non nella visione attuale, quale strumenti di risoluzione dei conflitti internazionali con la finalità di assicurare pace e giustizia fra le Nazioni.

Tanto più forti saranno, quanto più gli stati aderenti saranno disposti a rinunziare a una parte più consistente della loro sovranità e dei loro poteri per trasferirli agli organi delle comunità stesse.

Sostanzialmente credere al potere della diplomazia; tessere e favorire ostinatamente il dialogo tra le parti in conflitto e non l’offesa, non l’uso della forza bruta. (si vedano il Preambolo della Carta istitutiva dell’ONU e l’art. 3 del Trattato sull’UE).

Altro che nazionalismo, altro che interessi locali, si accetta tout court che certe decisioni non siano più prese dall’Italia in totale autonomia, ma debbano essere concordate con altri Stati (si veda l’art. 4 del Trattato UE).

L’autarchia miete isolamento sociale, economico e politico, alimenta odio e disprezzo verso gli altri per affermare il proprio potere, la primazia di uno stato su un altro.

D’altro canto, questa norma è il perfetto corollario del secondo e terzo articolo della Costituzione che garantisce i fondamentali e inviolabili diritti dell’uomo, sia come singolo sia come collettività e l’adempimento dei doveri di solidarietà nonché che tutti abbiano «pari dignità».

La Repubblica non può che rifiutare la violenza contro qualsiasi essere umano, sia esso cittadino italiano sia esso straniero.

Potremmo dire con orgoglio che la nostra Costituzione ribalta l’antica massima latina “si vis pacem para bellum” in “se vuoi la pace prepara la pace e non la guerra”.

Oltremodo, alla seconda parte dell’art.3 costituzionale, si evince il monito a ché le risorse di questo paese debbano andare in primo luogo alla salute, all’educazione, alla ricerca, alle politiche sociali, e badate bene non soltanto all’interno dei nostri confini ma anche all’estero, per l’emancipazione economica e culturale degli altri popoli.

Quindi, solo una minima parte delle risorse economiche dovrebbero andare agli armamenti, pur sempre nel principio di disincentivare la produzione e il commercio delle stesse.

Eppure, governi succube delle celeberrime “interdipendenze internazionali,  i venti di guerra che scuotono l’Europa volgono a una costante crescita percentuale della voce di bilancio destinata alle armi, per di più siamo già tra i maggiori produttori mondiali.

La guerra fu esclusa come strumento di offesa alla libertà di altri popoli ma non la guerra “difensiva”.

“La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”, recita l’articolo 52 della Costituzione dal sapore risorgimentale.

Calamandrei definiva l’enunciato l’evocazione dell’idea garibaldina dell’esercito di popolo; quindi l’alibi necessaria per l’esistenza delle Forze armate, il servizio di leva quale dovere di ogni cittadino maschio; attualmente sospesa ma non abolita, alla quale si elevò la disobbedienza di Don Milani, ma a ogni stornire di foglia bellicistica, i potenti, spesso esentati dal farlo, provano a ripristinarlo.

Inoltre, la norma prosegue con la possibilità delle Camere di deliberare lo stato di guerra, conferendo al Governo i poteri necessari per difendersi dall’aggressione al nostro territorio e di quello alleato.

Come si fa a distinguere il limite tra guerra di difesa e di guerra di aggressione?.

Il diritto giurisprudenziale richiama alla legittima difesa del codice penale, quindi purché la difesa sia proporzionata all’offesa. Purtroppo il bilancino non lo hanno ancora trovato per la equa misurazione, e al raziocinio si sostituisce lo spettro di un invasione aliena.

A proposito di Calamandrei: “la costituzione è un pezzo di carta, se la lascio cadere non si muove”, insegnava ai suoi allievi. Perché si muova occorre ogni giorno il combustibile che è il cittadino “non indifferente”, di gramsciana memoria; colui che ci rimetta l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità a preservarle per l’oggi e per il futuro.

La Costituzione non può essere una carta morta ma è un testamento, un testamento di centomila morti a cui dobbiamo rispetto. L’indifferentismo politico, la propaganda eterna e la disinformazione è la massima offesa che si può fare alla Costituzione. L’indifferenza alla politica, la rinuncia al diritto e dovere di votare è un’ingiuria alla Costituzione..

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, promuovendo il capoluogo a città della Costituzione  affermò, tra l’altro, che: “Garantire la Costituzione significa viverla tutti i giorni, giorno per giorno… significa ricordare la Resistenza e il sacrificio di tanti che ottant’anni fa liberarono l’Italia dal nazifascismo… significa promuovere la cultura diffusa e la ricerca di eccellenza”.

Un monito spesso ignorato dai più, ma che le giovani generazioni, nostra speranza, devono tenere  a mente.

Antonio Ciaramella, presidente Anpi Ets Sezione Cuneo

Parte del discorso pubblico per il comitato per la Costituzione vivente e il Comitato per la pace e il disarmo. Cuneo, 21 ottobre 2023

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Art. 11 della Costituzione

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

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