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Curiosità | 12 giugno 2025, 17:45

“Io odio il vino", "Io odio il tartufo”: ad Alba scoppia la polemica (ma la trovata è geniale)

Sui social si grida allo scandalo. Ma è solo una provocazione ben riuscita: ecco cosa nasconde

Io odio il tartufo.”
Io odio il vino.
Ma è davvero così?

Chi nei giorni scorsi ha passeggiato tra le vie di Alba si è sicuramente imbattuto nei cartelloni neri con scritte bianche e perentorie che recitano frasi forti — quasi offensive, per una città che ha costruito su tartufo e vino buona parte della propria identità. La reazione è stata immediata: indignazione, commenti infuocati sui social, accuse di blasfemia enogastronomica. “Vergogna!”, “Ma come si fa a dire una cosa del genere?”, “Che mancanza di rispetto!”

Poi, lo zoom. O meglio, il QR code.

Scansionandolo si arriva alla verità: si tratta di una campagna teaser per il nuovo disco di Andrea Perrone, in arte Egohyde, che il prossimo 23 giugno pubblicherà il suo nuovo album dal titolo “Ego X”. E quelle frasi — “Io odio il tartufo” e “Io odio il vino” — sono solo il primo livello di lettura. In piccolo, in fondo al manifesto, c’è scritto: “Ma questi sono gusti personali. A voi può piacere, come non vi piacerà questo disco.”

L’artista non è nuovo alla scena: Egohyde ha già pubblicato diversi brani, tra cui i recenti "Straniero", "Il mio posto nel mondo", "Fermo" e altri, in cui la scrittura personale si intreccia spesso con riflessioni sociali e generazionali. Ego X promette di essere il suo progetto più provocatorio, come dimostra il lancio.

Una provocazione ben congegnata, una strategia di marketing che ha funzionato perché ha colpito al cuore — o forse allo stomaco — della comunità. Ma soprattutto, una riflessione sulla soggettività dei gusti e sulla tendenza collettiva a reagire prima di capire.

In un tempo in cui ogni messaggio viene divorato in pochi secondi e le reazioni si moltiplicano prima ancora di sapere “di cosa si tratta”, Egohyde ci ha messi di fronte a un piccolo cortocircuito culturale: quanto siamo disposti ad accettare che qualcuno non ami quello che per noi è sacro?

E poi: siamo ancora capaci di leggere un messaggio per intero? Di fare un passo indietro, inquadrare il contesto, usare l’ironia?

Il messaggio che arriva da quei cartelloni non è un attacco a una città o ai suoi simboli. È una dichiarazione d’intenti artistica: non tutto ci deve piacere, e va bene così. L’arte — come il cibo, come la musica — è anche gusto personale. E a volte ci serve solo una provocazione ben fatta per ricordarlo.

Il tartufo è salvo. Il vino pure. Ma forse il nostro senso critico, quello sì, ha bisogno di essere riscoperto.

Gabriella Fazio

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