Meno messe, più Messa. Partirà dal 3 dicembre, prima domenica di Avvento, il nuovo cammino delle comunità cristiane di Bra, chiamate dall’arcivescovo, monsignor Roberto Repole, a ricentrarsi sui fondamentali della vita di fede: l’ascolto della Parola, la centralità dell’Eucaristia nel giorno del Signore, la fraternità che si esprime nella carità.
Punti fondamentali da riscoprire e da rilanciare, nella convinzione di un doppio movimento da attivare: dalla comunità «viva e gioiosa», che sola può far brillare, come pietra preziosa di grande valore, il dono del Vangelo che si esprime nella Parola, nella liturgia e nella fraternità, al movimento contrario di quelle perle preziose (la Parola, la liturgia, la fraternità) da ritrovare e «lucidare», perché siano capaci di rinnovare la comunità.
In sintesi: meno Messe e meno dispersione di energie dei pochi sacerdoti, preferibilmente accorpando laddove possibile ed evitando celebrazioni contemporanee in chiese a stretto raggio tra loro, più o meno alla stessa ora. Una decisione che nella patria di San Giuseppe Benedetto Cottolengo si propone di dare vita ad una nuova tradizione, che peraltro la Chiesa e l’Arcidiocesi da tempo vogliono favorire.
Messa prefestiva del sabato: ore 17.30 al Santuario della Madonna dei Fiori; ore 17.30 ai Battuti Neri; ore 18.30 a Sant’Antonino. Messa domenicale e festiva: ore 9 a Sant’Antonino, San Giovanni e Santuario della Madonna dei Fiori; ore 9.30 Beata Vergine del Rosario (Bescurone); ore 10.30 Assunzione Maria Vergine (Bandito); ore 10.30 Santuario Madonna dei Fiori; ore 11 Sant’Andrea; ore 17.30 Santuario Madonna dei Fiori; ore 18 Battuti Bianchi.
Non sono interessate dal provvedimento le celebrazioni per le congregazioni religiose (Frati, Clarisse, Salesiani, Istituto Cottolengo) che mantengono i soliti orari. Restano invariati anche gli orari delle funzioni feriali.
Prima di esprimere malumori, commentando polemicamente «Non ci piace», aspettate almeno di approfondire un minimo. Nella lettera pastorale sul futuro delle Chiese dell’Arcidiocesi di Torino, “Quello che conta davvero” (disponibile in tutte le parrocchie braidesi e sul sito diocesano), monsignor Roberto Repole, offre orientamenti e riflessioni proprio sulle assemblee liturgiche nel giorno del Signore, che spiegano il perché di questi cambiamenti. In merito, eccone alcuni stralci.
Come cambieranno le parrocchie
Tutti sappiamo che tante esperienze ecclesiali hanno esaurito la loro stagione vitale. Eppure noi abbiamo bisogno, per essere Chiesa, di fare in modo che i tre criteri ora indicati continuino a essere i pilastri solidi della nostra vita.
A tal fine, dovremo cercare di mantenere vive le comunità laddove finora ci sono state parrocchie anche piccole, soprattutto se c’è ancora qualche elemento significativo, in modo che non si perda quell’esperienza di prossimità e di legame fraterno nel Signore che lì si può creare e custodire. Del resto, anche nei contesti più piccoli si possono tranquillamente svolgere alcune attività importanti: come, ad esempio, mantenere aperta la chiesa, pregare insieme al mattino e alla sera, disporre di un ufficio o di uno sportello in cui raccogliere le esigenze di diverso tipo, conservare qualche proposta catechistica, svolgere un’attività caritativa proporzionata alle forze disponibili e comunque raccogliere le esigenze che ci sono, incontrare gli anziani e prendersi cura dei malati.
Al contempo, però, è necessario che alcune altre dimensioni vitali siano svolte a un livello diverso, per testimoniare in maniera efficace la novità del Vangelo. In questo senso, dobbiamo guardare a territori più vasti, sempre più in sintonia con i luoghi di vita dei cristiani e di quelli ai quali vogliamo rivolgerci: penso, per esemplificare, ai complessi scolastici frequentati dai ragazzi e dai giovani; ai luoghi di lavoro in cui convergono gli adulti; ai centri sanitari e ad altri servizi a cui si fa riferimento nella vita di ogni giorno.
Anche in relazione a tutto ciò, possiamo immaginare che alcune dimensioni della nostra vita comunitaria possano trovare un respiro più ampio rispetto a quello delle parrocchie tradizionali. Si può pensare, per esempio, che un percorso serio e avvincente rivolto ai giovani non si esaurisca più a livello di singole parrocchie, ma coinvolga comunità diverse, scegliendo anche le strutture (per esempio l’oratorio) in cui convergere. Sempre per esemplificare, si può immaginare che un’attività caritativa che sia davvero l’espressione di una fraternità cristiana vissuta sia organizzata a livello di più comunità limitrofe, individuando risorse umane, organizzative ed economiche provenienti dalle diverse parrocchie e il luogo adeguato in cui convergere.
Dobbiamo curare l’Eucaristia
Qualcosa di analogo e di ancora più decisivo va detto in riferimento alla celebrazione eucaristica domenicale. Non possiamo più limitarci, come si è fatto spesso in passato, a garantire la possibilità della Messa domenicale più comoda, soprattutto se ciò ha come conseguenza celebrazioni poco curate (dalle letture, all’omelia e al canto), che non sono l’espressione di una comunità cristiana in tutte le sue componenti (dai ragazzi agli anziani) e che non permettono di esperire la gioia di incontrarsi tra fratelli.
Si deve pertanto avviare un processo che ci porti gradualmente a strutturare una rete di comunità presiedute da un prete, possibilmente coadiuvato da altri preti e da diaconi, costruita intorno a un “centro eucaristico”, cioè a quel luogo in cui le comunità convergono per la celebrazione eucaristica domenicale. So bene che questo obbligherà qualcuno a spostarsi; ma so altrettanto bene che viviamo in una società nella quale ci si muove per ogni cosa (dalla spesa, al lavoro, al medico…). Se ci teniamo alla nostra vita cristiana, potremo dare più rilievo al valore di una celebrazione eucaristica viva e coinvolgente che alla fatica di qualche spostamento.
Ora avete le idee più chiare?