«Alla cima della collina era il palazzotto che sormontava la loro città. La sagoma bizzarra, a otto lati, di mattoni che il tempo aveva impallidito, appariva chiara e netta sotto la luna».
Scrivere un pezzo sulla Zizzola, ma perché? Lo sanno tutti che l’edificio così amorevolmente descritto da Giovanni Arpino è il simbolo di Bra.
Quante volte ci siamo ritrovati lì davanti e abbiamo preso dimora nel suo parco, ammirando all’orizzonte il suggestivo panorama!
A regalarci scorci inediti c’è l’associazione culturale Albedo, che l’ha eletta come tema e sede della rassegna d’arte collettiva, inaugurata lo scorso 9 settembre e che sarà visitabile gratuitamente fino al 1° ottobre sabato e domenica, dalle ore 11 alle ore 19.
In mostra opere di Maura Boccato, Paola Boccato, Giovanni Botta, Ivano Chiavarino, Manuela Fissore, Roberta Giacobbi, Franco Gotta, Giuseppe Greco, Maddalena Grosso, Francesco Marchino, Vittoria Negro, Bernardo Negro, Feny Parasole, Francesca Semeraro e Riccardo Testa.
Tutto molto bello, ma quanti di noi si sono chiesti quando e perché è nata la Zizzola?
Entriamo in modalità Superquark, grazie alle carte del compianto storico e amico fra Luca Isella (1944-2022) e proviamo a scoprire qualcosa in più. Ecco tutte le risposte alle vostre domande!
Dovete sapere che la Zizzola venne fatta costruire tra il 1844 e il 1845 quale villa o “casino di villeggiatura” dal braidese Tommaso Bruno, «Ricco mercante e filante di seta», proprietario, tra l’altro, di una fornace cittadina nella quale furono prodotti i mattoni utilizzati nella costruzione. Il Bruno volle edificare il singolare edificio ottagonale, così, informa lo storico Antonio Mathis, «Per la sua moglie, donna di gran lusso. Poi l’edificio andò, poco a poco alla malora e fu venduta all’avvocato Carlo Maffei e successivamente a Giulio Traversa e poi a un altro».
La Zizzola domina Bra da quasi cento metri di altezza e sorge su uno dei poggi superiori del Monteguglielmo, al limitare di un ampio spianato erboso, circondato da un viale che si chiude sul retro della costruzione.
L’appellativo di “Zizzola” denomina «Il frutto d’un albero che i botanici chiamano Ziziphus vulgaris. È albero pochissimo coltivato nel Piemonte, e credo non sia mai esistito sul poggio della Zizzola, troppo dominato dai venti e cogl’inverni non confacenti allo zizzolo» (Federico Craveri, aprile 1885, su L’eco della Zizola n. 7).
Il nome al luogo venne dato in realtà dai frati domenicani di Asti, che dal XVII secolo ebbero non lontano dal poggio una piccola casa per i religiosi che abbisognavano di convalescenza. Il posto ricordava loro una proprietà in Liguria denominato “Zizzola”, appunto perché ricco di zizzoli, in italiano anche giuggioli e così diedero nome al luogo. Con il piccolo frutto si otteneva un usuale liquore casalingo “il brodo di giuggiole”, da cui l’affermazione festosa «Andare in brodo di giuggiole».
Soppressi i Frati domenicani nel 1802, al luogo rimase il nome. L’edificio neoclassico a pianta centrale ottagona, ancora con reminiscenze formali barocche, non venne peraltro mai compiutamente ultimato, ha due piani fuori terra e una torre circolare centrale a terrazza. Come già detto, insieme alla vigna che la circonda, divenne in seguito proprietà dei Maffei, quindi dei Traversa e poi dei Fasola.
Ignoto tutt’ora è l’autore del progetto, solo alcuni disegni simili sono stati ritrovati nell’archivio del noto architetto braidese Carlo Reviglio della Veneria. «Dall’undici novembre 1962 donata dal dottor Guido Fasola al Comune di Bra per essere destinato a sede di convegni o di museo o di altre attività di carattere pubblico e il giardino quale parco pubblico» (Cfr. Lidia Botto, Tesori di Arte in Bra, p. 235). Nell’anno 1997 venne restaurata dall’architetto Antonio Botta.
Un’ultima curiosità. Oggi la Zizzola è diventata la “Casa dei braidesi” con un ricco Museo etnografico di tipo multimediale, dove sono custodite vecchie e nuove testimonianze della vita cittadina, che si intrecciano alle emozioni tradotte in opere artistiche.
La Zizzola si riscopre quindi una casa comune, un guscio che cristallizza e protegge la fragilità del ricordo nel flusso in costante evoluzione di Bra, dalle irrinunciabili memorie pubbliche alle vicende private e personali, che si legano e contribuiscono a comporre la storia ufficiale.
Il nome “casa” la rende familiare e ribadisce paradossalmente la monumentalità dell’edificio, facendone un archetipo, un simbolo, ma anche un monumento da ammirare e fotografare. La casa diventa, così, sia un contenitore che un oggetto da esporre, un tesoro da circondare con un involucro, che ne protegge e allo stesso tempo ne espone il contenuto.
Un ambiente che crea una differenza di potenziale tra i diversi stili di memoria che si intrecciano in un oggetto capace di misurarsi con una moltitudine di tempi e di dialogare con spettatori differenti, senza rinunciare a costruire una rappresentazione unitaria, suscitando una sensazione sorprendente, lenta e imprevedibile, dinamica ed immobile.
L’edificio approfitta della sua leggerezza ed eleganza, spirituale e fisica. Come archivio aperto e continuamente accessibile, grazie alle più recenti tecnologie, la “Casa dei braidesi” si lascia usare nei modi più imprevisti e informali.
Come volume enciclopedico o galleria artistica, essa mostra la sua inerzia, scegliendo di permanere come monito, come pietra miliare, messa ad ingombrare ed a ostentare la sua testimonianza. Che in fondo è anche la nostra.