In principio fu quello di Chieri e Carmagnola, ma il segnale è stato forte e ha creato adesione e imitazione fino a portare a 4 le realtà già attive in Piemonte, mentre altre due sono quasi al traguardo. Riflettori accesi sui Distretti del Cibo, strumento che dal 2020 ha un regolamento ufficiale per valorizzare territori e produzioni tipiche eccellenti. Progetti che mescolano economia, turismo, lavoro e cultura. E su cui la Regione vuole accelerare ancora.
No alla competizione tra territori
"I distretti del cibo rappresentano l'opportunità di mettere insieme le nostre produzioni e i nostri tesori - spiega l'assessore regionale all'Agricoltura, Marco Protopapa -. Vogliamo cambiare passo e dare nuove opportunità agli addetti ai lavori. La Regione vuole essere vicino a chi ha iniziato il percorso, soprattutto nelle difficoltà legate alla burocrazia".
"Non deve essere una competizione e una sovrapposizione di territori - aggiunge - ma un'opportunità omogenea e diffusa tra tutti, lavorando sul prodotto e sulla promozione".
Cuneo con Torino sugli scudi
Oltre al Distretto torinese, gli altri tre già operativi sono quelli cuneesi e astigiani del Roero, di Langhe-Monferrato e del Monregalese-Cebano (a indirizzo biologico). In arrivo, invece, il Distretto del cibo della Frutta (nel Saluzzese) e un altro torinese, quello della Serra Morenica e del Naviglio di Ivrea. Per dare corpo a un Distretto servono almeno 5 Comuni vicini tra loro.
Rispondere alle richieste dei turisti
Ma cibo ed economia sono anche turismo e commercio, ma pure cultura. Come spiega l'assessore regionale Vittoria Poggio, "è importante partire dal basso e dalla spinta dei territori. I distretti sono i portatori di una cultura e di una realtà omogenea del territorio e della sua identità, ma il cibo sa essere anche un traino per il turismo: i visitatori chiedono sempre di più elementi di questo genere per raccontare i nostri territori. Un mix di economia materiale e immateriale".