Se Alex Hilman,della “Indy Hall” di Philadelphia è arrivato a sostenere che “il coworking non è un settore economico legato agli spazi di lavoro, ma un’industria della felicità”, un motivo ci sarà. Quale?
Sinergia, contatto tra professionisti e integrazione di competenze sono solo alcuni dei termini che raccontano il coworking rendendolo meritevole di aver messo al centro i lavoratori con le loro esigenze di collaborazione.
Il coworking, infatti, ha molti vantaggi, alcuni più tangibili come la riduzione dei tempi e costi di gestione di un ufficio, altri più legati alla dimensione umana e sociale di professionisti che lavorano in uno spazio condiviso, sovente anche in una condivisione di idee e progetti.
Si parte dal coworking space, inteso come servizio a pagamento, per poi trovarsi in un open space di idee, talenti ed emozioni, il più delle volte destinato a farcire una vera e propria comunità di coworker grazie alle capacità manageriali e di promozione dei gestori del coworking stesso.
Se interroghiamo la rete, Wikipedia parla del coworking come “il raduno sociale di un gruppo di persone che stanno ancora lavorando in modo indipendente, ma che condividono dei valori e sono interessati alla sinergia che può avvenire lavorando a contatto con persone di talento”. Per Google, invece, si tratta di “un metodo lavorativo che prevede l'integrazione di competenze diverse tra liberi professionisti. Un modello, adottato per lo più da liberi professionisti che usufruiscono di spazi condivisi in cui disporre di postazioni autonome e al tempo stesso interagire con altre persone”.
Onore al merito, l’accelerazione e la piena legittimazione dello smart working derivata dalla rivoluzione pandemica ha dato il via libera a soluzioni lavorative e professionali prima impensabili. Volendo mediare tra la possibilità di lavorare da remoto e la solitudine relazionale tipica dell’home-working, si giunge a una rivalutazione dei luoghi prossimi alla propria abitazione per patteggiare tra lo stress del lavoro da casa, tipico degli smart worker, e il contenimento dei costi di locazione e mantenimento di un ufficio autonomo. Con un’allettante ciliegina aggiuntiva su questa torta da condividere: i benefici di un ambiente lavorativo stimolante, abbandonando la modalità pigiama e ciabatte senza tuttavia vincolarsi a contratti che potrebbero trasformare un binomio poltrona-scrivania in una gabbia, a discapito della fame crescente di soluzioni flessibili.
Insomma, il coworking è a tutti gli effetti uno state of mind. Non un semplice luogo, ma un modo di lavorare radicato nella condivisione – pur nel rispetto delle singole identità, esigenze e disponibilità – e propedeutico a mettere in comune esperienze, competenze, talvolta i contatti e persino i clienti.
Tradotto in case history: Instagram è nata in un coworking. L’app di condivisione di immagini più famosa al mondo è stata partorita all’interno di “Dogpath Labs”, un coworking di San Francisco. E pure il colosso svedese della musica in streaming Spotify ha visto l’alba nel coworking “RocketSpace”, immerso anch’esso nella Silicon Valley.
Eppure il coworking non è pane solo per innovatori digitali, ma anche per singoli project manager, smart worker di grandi aziende e free lance di ogni genere. Oltre ad offrire una soluzione “leggera ma efficiente” ai liberi professionisti sprovvisti di ufficio e alla ricerca di un luogo di lavoro alternativo al domicilio privato, il coworking rappresenta un “lievito” prezioso per nuove opportunità di business nate per caso durante una pausa caffè, o semplicemente da un passaparola tra scrivanie.
Proprio Massimo Carraro, pioniere del coworkinmg italiano, ha approfondito l’argomento nel saggio “Ho fatto un coworking, anzi 100 - Se la relazione viene prima del business. Storia di Cowo” evidenziando i numerosi vantaggi dell’economia collaborativa abbinata alla forza della prossimità.
Fotografando il “fenomeno coworking” su scala globale, una ricerca condotta di recente da coworkingresources.org ne prevede un incremento del 158% entro il 2024, partendo dal 2020 come anno di riferimento. Sempre nello stesso periodo, anche il numero dei coworker aumenterà in maniera direttamente proporzionale rispetto ai coworking.
Zoomando all’Italia, il 60% risiede nel Nord -Ovest, con la Lombardia in testa. Ottime le performance di Veneto ed Emilia Romagna, con un andamento più lento per le restanti regioni del Centro (ad eccezione della crescita costante di Roma), mentre il Sud e le Isole sembrerebbero avere in seno la grande esplosione in divenire, soprattutto per effetto del forte sostegno da parte delle istituzioni regionali a partire dalla Puglia, seguita da Campania e Sicilia.
Ma il primato per presenza di coworking rispetto al numero di abitanti va, nell’ordine, a Milano, Roma e Torino. Spostandoci di circa sessanta km dal capoluogo piemontese, e raggiungendo via Piave n. 47 a Bra, troviamo un locale di 300 mq, modernamente attrezzato con 24 postazioni lavorative, una sala riunioni, rete wifi, stampante multifunzione, uno spazio relax e un coffee-break corner. Risponde all’insegna “BraInWorks”, il coworking creato e gestito dall’associazione “BraIn” (acronimo di Bra e internet), costituita dal Comune di Bra con Ascom Bra e il Consorzio di commercianti “La Zizzola” in collaborazione con la Camera di Commercio di Cuneo e con il supporto della Fondazione CRC e di Banca d'Alba.
Un workspace più tradizionale che, proprio nel 2022, è stato rinnovato con un “effetto WOW” per abbracciare le dinamiche dello sharing in un incastro perfetto tra flessibilità, collaborazione e benessere. Layout essenziale con integrazione tecnologica progettato con postazioni per favorire la concentrazione; aree meeting più conviviali e zone svago informali per rendere il luogo ancora più settato sul miglioramento del lavoro di squadra, da un lato, e sulla produttività individuale, dall'altro. Con la comodità di rinnovare, o meno, il proprio SI’ con il piano di abbonamento più adatto alle esigenze di ciascun coworker.
Quindi, la legge dell’attrazione funzione anche qui: strutture belle ed efficienti attraggono i talenti!