Riso sempre più amaro a causa della siccità. L’allarme arriva dalla Coldiretti che ha rilevato un problema con la pioggia. Già, perché mentre noi stiamo qui a goderci le temperature primaverili di questi giorni, gli esperti di questioni climatiche hanno osservato che la scarsità di piogge nel Nord Italia è stata aggravata dal meteo pazzo.
A rischio c’è uno dei piatti della tradizione di cui andiamo più fieri. Ecco perché viene spontaneo alzare le antenne quando si parla di riso, o meglio: della sua carenza. «Il riso - sottolinea la Coldiretti - è una coltura che per crescere e garantire l’equilibrio ambientale e faunistico di interi territori ha infatti bisogno di acqua». E se l’acqua è poca, come facciamo a coltivare il riso, che per crescere ha bisogno di tanta acqua?
Forse non lo sapete, ma il Piemonte è la regione più risicola d’Italia con il 50% della superficie nazionale a riso e comprende circa 70mila ettari in provincia di Vercelli, oltre 30 mila in provincia di Novara, 8mila in provincia di Alessandria, 4mila in provincia di Biella ed alcune piccole coltivazioni in provincia di Torino e Cuneo, dove è molto ricercato il Riso di Bra. Già a settembre 2022 in alcune zone la mietitura del riso ha subito perdite pari al 90%, specialmente nelle risaie più lontane a corsi d’acqua.
La situazione, adesso, pare possa solo peggiorare. Coldiretti ha fatto sapere che quest’anno verranno coltivati in Italia quasi 8mila ettari di riso in meno, per un totale di appena 211mila ettari. Ai minimi da trent’anni, rendiamoci conto.
Un vero shock con oltre 10mila famiglie tra dipendenti e imprenditori impegnati nell’intera filiera, ma anche per la tutela della biodiversità. Sono 200 infatti le varietà iscritte nel registro nazionale, dal vero Carnaroli, con elevati contenuto di amido e consistenza, spesso chiamato “re dei risi”, all’Arborio dai chicchi grandi e perlati che aumentano di volume durante la cottura fino al Vialone Nano, il primo riso ad avere in Europa il riconoscimento come Indicazione Geografica Protetta, passando per il Roma e il Baldo che hanno fatto la storia della risicoltura italiana.
Al di là della nostra esigenza di ordinare un bel risottino al ristorante, il problema economico (oltre che ambientale) è notevole, visto che l’Italia è il primo fornitore di riso dell’Unione Europea con 1,5 milioni di tonnellate all’anno, cioè metà dell’intera produzione.
E quindi, che si fa? «Di fronte al cambiamento climatico è necessario realizzare un piano invasi per contrastare la siccità ed aumentare la raccolta di acqua piovana oggi ferma ad appena l’11%», sostiene il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini.
Sicuramente tocca adattare il lavoro agricolo all’emergenza siccità. Il crollo di oltre il 30% della produzione di riso in Italia nell’ultimo anno a causa della scarsità di precipitazioni ha spinto molti agricoltori a sostituire il riso con la coltivazione di cereali tipo orzo e soia, che richiedono meno acqua. Anche perché si prevede un’estate calda e molto asciutta.
Insomma, pare che nell’immediato si possa fare ben poco. La produzione di riso è destinata a ridursi ancora e noi un po’ di scorta nella dispensa per i tempi bui ce le facciamo. Possiamo davvero rinunciare al risotto?