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Farinél | 12 marzo 2023, 11:07

Farinel/ Ogni volta che si spegne un’insegna storica, si cancella un po’ della nostra identità

Chiude la storica libreria Zanoletti e scompare l’ennesima insegna storica della città di Alba. Un processo che si può invertire solo facendo capire ai nostri giovani che aprire una bottega nella propria terra può regalare molte più soddisfazioni rispetto al reinventarsi lavapiatti in Australia o camerieri a Londra. Il coraggio è rimanere e mettersi in gioco, non andarsene

Farinel/ Ogni volta che si spegne un’insegna storica, si cancella un po’ della nostra identità

“Ogni volta che chiude una libreria si spegne una luce e quando saremo al buio non potremo guardarci negli occhi” recita una citazione che gira sul web. La notizia della settimana ad Alba e dintorni è stata sicuramente nell’annuncio della chiusura della storica libreria Zanoletti di via Cavour.

Nel caso di Alba il problema non sta, a differenza di gran parte del resto d’Italia, nella chiusura di una libreria, perché Zanoletti non chiude per difficoltà economiche e perché la vitalità delle librerie albesi, conosciute e d’esempio in tutto il Piemonte, non è in discussione. Per la Carità, nemmeno qui si sguazza nell’oro, con le attività strozzate tra tasse e burocrazia, ma le librerie albesi sono piccoli gioielli di creatività e di (quella parolaccia abusata chiamata) resilienza.

Il problema sta altrove, nella chiusura dell’ennesima insegna storica. Le botteghe hanno fatto la differenza nel nostro paese, lo hanno caratterizzato e reso unico. Sull’abilità di artigiani e commercianti italiani si è costruito il Rinascimento e si sono scritte migliaia di storie e mantenute milioni di famiglie, fino a oggi.

Se l’Italia fosse un paese governato da gente seria, avrebbe concentrato il dibattito politico sulle piccole botteghe e sulle piccole e medie aziende che sono il telaio economico che ha sempre tenuto in piedi la penisola, invece, nell’agenda politica questi temi sembrano non esistere.

Nel caso della chiusura della libreria Zanoletti il campanello d’allarme suona ancora più forte: l’attività si ferma non per difficoltà economiche, non per le tasse o la burocrazia che strangolano le piccole botteghe, nemmeno per la mancanza di lettori, ma perché manca un ricambio generazionale.

Se in una città pacificamente invasa da turisti, quest’anno già da fine febbraio, cosa mai vista, esempio di opulenza e intraprendenza a livello mondiale, in cui opera l’Aca, una delle associazioni commercianti più importanti, strutturate e attive d’Italia, in grado di assistere un giovane commerciante sotto qualsivoglia punto di vista, manca il ricambio generazionale, allora il problema è ancora più serio di cosa pensassimo.
In altre città del Piemonte il panorama è avvilente, i centri storici si svuotano ed è ovunque un fiorire di cartelli con scritto “Affittasi” o “Vendesi”.

Questo ad Alba non avviene perché Alba ha un nome talmente forte da poter attirare comunque investimenti in grado di rimpiazzare le insegne storiche, tanto che la nostra città è l’unica ad aver avuto un saldo positivo, nel 2022, di oltre 40 attività in più aperte.

Attività che si concentrano fuori dal centro storico o che si limitano, nella maggior parte dei casi, al settore del food, succede così che Via Maestra, fino a venti anni fa un crocevia di personaggi, di storie e di grandi commercianti, sia popolata di grandi marchi che rendono ogni città uguale all’altra e che restano comunque meglio dello spopolamento commerciale. Accanto a loro pochi Mohicani a cui dovrebbe andare il grazie di chiunque viva in questo territorio.

La politica nazionale potrebbe sicuramente fare di più, basta guardare alla vicina Francia e agli incentivi per gli under 35 che aprono un’attività, con il risultato in città come Lione, di aver ridato vita a interi quartieri, un tempo in mano alla malavita.
Proprio ieri l’altro leggevo su Facebook di una ragazza albese di 35 anni che scriveva orgogliosa di avercela fatta per essere diventata responsabile di un negozio nella periferia nord di Londra. “Io a differenza di tanti altri ho avuto il coraggio”, ha scritto. Mi farò una nemica, ma secondo me questa ragazza è proprio l’emblema di chi non ha avuto il coraggio di rischiare, di lottare e ha preferito cercare altrove un lavoro che avrebbe tranquillamente trovato in via Maestra o in via Cavour 10 anni fa senza dover pagare 2.000 sterline al mese di affitto facendo qualcosa di importante per la propria terra e di stimolante per lei stessa.

Chissà perché disprezziamo così tanto i migranti economici che arrivano nel nostro paese, come se fosse un’onta migrare per povertà e poi parliamo di coraggio se i nostri giovani vanno a fare i lavapiatti in Australia o i camerieri a Londra trovando condizioni, spesso, peggiori di quelle che vivrebbero in patria.

Non fraintendete, sono fermamente convinto che viaggiare sia fondamentale, per crescere, per aprire la propria mente, che sia importante imparare almeno l’inglese, che esperienze come l’Erasmus possano essere fondamentali nella crescita di un ragazzo, ma spieghiamo loro che l’America ce l’hanno in casa. Spieghiamo loro che aprire un’attività ad Alba e dintorni può essere più stimolante, rischioso e coraggioso di molte attività che si possano fare in giro per il Mondo.

Questo pezzo vuole essere dedicato a tutti i giovani (e meno giovani) che hanno deciso di restare, di crederci, di rischiare, vanno aiutati e sostenuti e l’appello che faccio è ad acquistare nelle botteghe del nostro territorio.

In fondo pensateci, ragazzi, la Ferrero è nata da una piccola bottega in via Maestra, la Miroglio da un negozio in via Manzoni e sono arrivate in tutto il Mondo, le vostre radici sono qui e c’è bisogno di voi per fare sì che Alba resti un esempio a cui guardare. Credetemi, ci sono riusciti i nostri nonni senza una lira, i nostri padri con mutui di trenta anni, potete farcela anche voi, servono solo coraggio e passione, ne abbiamo tutti bisogno per non restare al buio.


Marcello Pasquero

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