Mondo dell'educativa: abbiamo un problema.
Esiste oggi una emergenza per lo più poco affrontata dall'informazione main stream e che riguarda un mondo di competenze più o meno specifiche che tocca ognuno di noi, chi più chi meno, soprattutto in un periodo, quello post pandemico, che sta evidenziando un boom di accessi ai reparti di neuropsichiatria e un'impennata di dati numerici riguardanti l'aumento del disagio infantile e giovanile.
E' la silenziosa agonia del mondo dell'educativa, una situazione che vede un aumento esponenziale di allontanamento da parte degli educatori professionali dalla propria peculiare attività, magari per avvicinarsi al precariato negli istituti scolastici o addirittura per andare a condurre attività del tutto agli antipodi rispetto alla propria preparazione, ma che danno quanto meno delle certezze economiche di base, che il settore dell'educativa sempre più raramente offre.
A partire da una denuncia collettiva nata sui social da parte di un gruppo di educatori torinesi autodefinitisi "Comitato Diritti Educatori Professionali Piemontesi", istanza che si sta allargando ai territori delle varie province, tra cui la Granda, abbiamo provato a capirci di più, sentendo alcuni educatori cuneesi che sono in contatto con il comitato.
Andrea Silvestro, educatore professionale di Fossano (nella foto sotto), che svolge l'attività dal 2017 ci racconta alcune delle difficoltà del suo mondo professionale, a partire da riconoscimenti economici davvero incongrui, con un netto orario, in inquadramento D2, di poco superiore ai 7 euro. Inoltre sta nelle cose che si tratti di lavoro logorante, ma tutto questo non è mai stato riconosciuto, così come è palese che si tratti di un mondo molto variegato rispetto a organizzazione, contesti di lavoro, ventaglio di problematiche offerte dai vari tipi di utenza. La qual cosa potrebbe avere una valenza positiva, se esistesse una programmazione a livello politico di un certo investimento sulle specifiche specializzazioni. Invece il singolo educatore professionale rischia di avere a che fare, magari in tempi molto ristretti, con episodi psichiatrici, disagi dovuti alle dipendenze, migrazioni e disabilità infantili, tanto per citare alcune situazioni.
Da parte del mondo dell'educativa è forse mancata in questi anni una vera "coscienza sindacale", che potesse dare voce collettiva alle esigenze così peculiari di tale professione, e, a detta degli operatori, la nascita di un coordinamento regionale, e a seguire nazionale, potrebbe cominciare a porre delle basi per la nascita di una serie di istanze collettive.
Alessia Secci, educatrice che lavora a Scarnafigi presso la cooperativa Il Solco, che gestisce una comunità residenziale per persone con disabilità intellettuale medio-grave, anche da rappresentante sindacale di base, ci ha spiegato la situazione nel contesto cuneese.
Il documento elaborato dal Coordinamento ha individuato alcuni punti fermi per cui battersi, prima che sia troppo tardi, cioè, banalmente, prima che il mondo dell'educativa sia irreversibilmente depauperato della propria professionalità dalla crescente "emorragia" di operatori che stanno cambiando mestiere.
I punti basilari su cui gli enti e i rappresentanti politici vengono in queste settimane stimolati sono:
- il riconoscimento delle ore pagate in caso di assenza dell'utenza, infatti oggi nel caso in cui la persona con cui l'educatore ha in atto un percorso di progettazione sia non disponibile per malattia o per altri motivi, l'educatore viene "congelato" dall'ente di riferimento senza avere alcun riconoscimento economico e, anzi, scivolando in una situazione di "banca ore negativa".
- il riconoscimento delle ore di spostamento territoriale da un luogo di lavoro all'altro, anche come rimborso chilometrico, infatti capita spesso che la programmazione logistica dell'attività sia poco o per niente razionale e che dunque l'operatore debba spostarsi ogni giorno di parecchi chilometri anche in una serie di tragitti tutt'altro che geograficamente sequenziali.
- il riconoscimento del lavoro indiretto, cioè tutto il tempo passato a progettare e organizzare le attività con finalità ben precise a seconda dell'utenza con cui ci si trova a lavorare. Naturalmente più il "caso" è complesso, più l'operatore deve dedicare tempo a elaborazioni successive utili per affrontare e sciogliere i nodi del disagio e della situazione problematica. Tutto ciò non viene retribuito.
A questi, secondo il collettivo, si aggiungono alcuni punti generali che andrebbero affrontati a livello nazionale:
- il riconoscimento dell'attività come "lavoro usurante"
- l'elaborazione di un contratto unico nazionale equiparato al pubblico
- l'unificazione dei profili in un unico profilo, al fine di evitare grosse discrepanze tra le specializzazioni.
Il comitato, nato nell'autunno scorso, ha già affrontato alcuni incontri con enti territoriali della provincia di Torino e con alcuni rappresentanti del Consiglio Regionale del Piemonte: il neo-segretario regionale del Partito Democratico, nonchè consigliere regionale, Domenico Rossi martedi 7 marzo e, ancora prima, il 20 febbraio, il consigliere segretario dell'Ufficio di Presidenza, l'albese Ivano Martinetti, oggi coordinatore provinciale del Movimento 5 Stelle, i quali si sono detti entrambi disponibili ad agire a livello istituzionale per supportare le istanze del comitato.
Qui uno spezzone dell'intervento del Comitato alla giornata di sciopero organizzata l'8 marzo da "Non una di meno".
In chiusura ci pare di poter affermare che il combinato disposto dell'aumento esponenziale del disagio nell'epoca post pandemica, certificato dalle statistiche scientifiche, e i dati poco confortanti riguardanti il calo drastico di educatori professionali operanti sul territorio, dovuto alle problematiche riportate qui sopra, dovrebbe evidenziare la situazione come emergenza assoluta. Da parte nostra proveremo a seguirne l'evoluzione.