Alle parole preferiscono i fatti. Non hanno molta voglia di raccontarsi, preferiscono lasciare agli altri gli onori. Li accomuna anche la passione di essere volontari, di aiutare gli altri, l’urgenza di fare qualcosa di concreto, senza pensarci. C’è un filo rosso che da Gallo Grinzane lega Franco Sampò a suo figlio Matteo e arriva fino in Turchia, al confine con la Siria. Entrambi potranno dire di aver fatto il loro dovere nell’ospedale da campo allestito ad Antiochia dal coordinamento regionale di Protezione Civile, insieme al team sanitario della Maxiemergenza per soccorrere le persone colpite dal terribile sisma dello scorso 6 febbraio. Il primo, capogruppo Fidas di Gallo Grinzane, presidente dell’Asava (Associazione servizio autisti volontari ambulanza), una vita nella Protezione Civile, partirà oggi, sabato 4 marzo, per due settimane. Suo figlio gli ha lasciato il testimone, dopo aver fatto parte del primo gruppo di 40 volontari piemontesi che sono arrivati per preparare l’ospedale da campo Emergency medical team type 2.
Idee chiare, consapevolezza e un po’ di adrenalina sono gli elementi che colorano gli attimi prima della partenza di Sampò senior, in passato anche primo cittadino di Grinzane Cavour. “Troveremo una situazione difficile, ma la struttura è già stata attivata e dovremo fare soprattutto manutenzione, anche se non mancheranno gli imprevisti. Porto con me un bagaglio di esperienza che mi ha portato a fare missioni in Mozambico, l’Aquila, Norcia, Macerata. Dare una mano agli altri è qualcosa che hai dentro, che ti motiva per non sentire la stanchezza e che ti fa dimenticare tutto. Trovi poi persone fantastiche, gruppi coesi ed entusiasti, amici con cui hai vissuto momenti molto intensi e drammatici”, racconta Franco Sampò.
Il poter condividere questa passione con il figlio Matteo lo riempie di orgoglio. “È una cosa bellissima che emoziona tutta la famiglia. Collaboriamo anche all’interno dell’Asava, ma ognuno ha le sue competenze, come durante le missioni. In realtà spero che quello in Turchia sia il mio ultimo intervento. Ho quasi 70 anni e quando ci si muove in massa per soccorrere le popolazioni significa che sono avvenute delle tragedie. Preferirei non succedessero più”.
Matteo, dal canto suo, ha ancora negli occhi i 19 giorni vissuti sul campo. “È stata una delle esperienze più belle della mia vita. Mi porterò dentro la generosità e la gentilezza di questa gente che pur non avendo quasi più niente è capace di ringraziare e condividere con un cuore grande. I primi giorni in cui allestivamo il campo, abbiamo lavorato molto duramente. La sveglia era alle 5.30 e si tornava dormire a mezzanotte, ma il gruppo era molto affiatato e volevamo dare una mano a queste popolazioni colpite da così tanta distruzione”.
All'interno della missione non sono mancati i momenti difficili, come durante la fortissima scossa di lunedì 20 febbraio. “Non avevo mai sentito una scossa così forte. Sono stati i 40 secondi più lunghi della mia vita, ho provato un senso di impotenza: la terra si spostava sotto i piedi, come se fosse attraversata dalle onde del mare”. Il pensiero più delicato rimane per il padre. “Senza il suo esempio, non sarei mai entrato nel mondo del volontariato, lo ringrazierò tutta la vita. È uno spazio che mi fa stare bene e mi completa”.